Con la risposta n. 199 del 4 agosto 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che lo Stato italiano, in qualità di Stato di residenza del lavoratore, ha diritto a tassare i bonus percepiti nei periodi d’imposta in cui il dipendente è fiscalmente residente in Italia, anche ai fini delle convenzioni internazionali. Di conseguenza, la stabile organizzazione italiana è tenuta ad applicare la ritenuta d’acconto sia sui bonus erogati direttamente dalla casa madre estera, sia su quelli corrisposti dalla stessa stabile organizzazione.
La posizione dell’Agenzia rappresenta un cambio di orientamento rispetto alla risposta n. 81 del 25 marzo 2025, nella quale il dipendente aveva svolto la propria attività lavorativa nel Regno Unito durante il vesting period. Pertanto, l’Agenzia richiama l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, firmata il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge n. 329/1990.
In particolare, l’art. 15 stabilisce che le retribuzioni corrisposte a un residente di uno Stato contraente per attività dipendente sono imponibili esclusivamente nello Stato di residenza, salvo che l’attività non sia svolta anche nell’altro Stato contraente. In tal caso, quest’ultimo Stato (cosiddetto “Stato della fonte”) può esercitare una potestà impositiva concorrente.
Il Commentario OCSE all’art. 15 conferma che la tassazione nello Stato della fonte è legittima quando la remunerazione è collegata a un’attività lavorativa svolta in tale Stato, indipendentemente dal momento in cui il bonus viene corrisposto. È essenziale, dunque, individuare la causa della remunerazione, in base alle circostanze del caso.
In applicazione di tali principi, i bonus riferiti ad attività lavorative svolte all’estero, anche se erogati in un periodo successivo in cui il dipendente è residente in Italia, sono imponibili in entrambi gli Stati. Sarà lo Stato di residenza (Italia) a dover eliminare l’eventuale doppia imposizione mediante il credito d’imposta ex art. 165 del TUIR.
Redazione redigo.info