Farmaci innovativi: la revisione dei criteri di valutazione dell'AIFA tra accessibilità e regolazione - I-Com, Istituto per la Competitività

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Negli ultimi anni l’accesso dei cittadini europei ai nuovi farmaci ha registrato un leggero calo rispetto al periodo pre-pandemico. L’Italia si conferma tra i Paesi che rendono disponibili il maggior numero di medicinali innovativi, ma persistono criticità legate ai lunghi tempi di immissione sul mercato, aggravati da una forte frammentazione regionale.

Secondo l’ultima edizione del Patients W.A.I.T. Indicator, che ha analizzato la disponibilità dei 173 farmaci approvati con procedura centralizzata dall’EMA tra il 2020 e il 2023, nel 2024 solo il 46% di questi medicinali era effettivamente accessibile nei 27 Stati membri dell’UE, un dato in calo rispetto al 48% registrato nel 2019. Ancora più marcato il calo dei farmaci completamente rimborsabili dal sistema pubblico: solo il 29% nel 2024, contro il 42% del 2019. Al contempo, aumenta la quota di farmaci disponibili con restrizioni: dal 6% al 17% nello stesso periodo.

L’Italia si posiziona al secondo posto dopo la Germania per ampiezza dell’accesso: 143 farmaci su 173 risultano disponibili nel nostro Paese, pari all’83% del totale (contro il 90% della Germania). Tuttavia, i tempi necessari per rendere effettivamente accessibili i farmaci ai pazienti rimangono un elemento critico. Tra l’autorizzazione centrale europea e la disponibilità nazionale trascorrono in media 578 giorni, un dato in crescita rispetto all’anno precedente. Il confronto con gli altri Paesi evidenzia una notevole eterogeneità: si passa dai 128 giorni della Germania agli 840 giorni del Portogallo. L’Italia, con 439 giorni, si colloca al di sotto della media UE, ma resta lontana dai benchmark migliori.

In tutte le principali aree terapeutiche – oncologia, farmaci orfani e terapie combinate – i tempi medi di attesa sono aumentati. Per i farmaci oncologici, in particolare, l’attesa si è allungata di 33 giorni rispetto al 2023 e di 66 giorni rispetto al 2022. A complicare ulteriormente il quadro italiano è la frammentazione regionale: dopo l’approvazione nazionale, l’accesso regionale ai farmaci richiede in media 65 giorni, ma può oscillare tra 1 e 773 giorni, generando disuguaglianze significative tra territori. I pazienti del Nord Italia, in generale, accedono prima ai nuovi farmaci rispetto a quelli del Sud, evidenziando una persistente asimmetria nell’effettiva fruizione dell’innovazione terapeutica.

Ripartizione della disponibilità totale dei farmaci innovativi al 5 gennaio 2025 (%, molecole approvate nel quadriennio 2020-2023) – Fonte: EFPIA

Tempo di attesa per la disponibilità del farmaco (molecole approvate nel quadriennio 2020-2023) – Fonte: EFPIA

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha recentemente aggiornato i criteri per la valutazione dell’innovatività terapeutica dei medicinali, introducendo una cornice normativa più strutturata, selettiva e ancorata a parametri tecnico-scientifici. Il nuovo documento – redatto ai sensi della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 – rappresenta un importante intervento di policy nell’ambito della governance farmaceutica, con implicazioni dirette sull’accesso all’innovazione, sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale e sull’attrattività dell’Italia per la ricerca e lo sviluppo farmaceutico.

A ciò si aggiunge un secondo blocco normativo dedicato alla gestione dei farmaci antinfettivi contro germi multiresistenti, con una disciplina separata che mira a rispondere in modo più mirato all’emergenza sanitaria globale dell’antibiotico-resistenza.

UN NUOVO MODELLO DI INNOVATIVITÀ “SELETTIVA”

L’innovatività, come stabilito dal documento AIFA, è ora definita attraverso un modello multidimensionale che si fonda su tre criteri principali:

  • Bisogno terapeutico
  • Vantaggio terapeutico aggiunto
  • Qualità delle prove scientifiche

La valutazione è affidata alla Commissione Scientifica ed Economica (CSE) dell’Agenzia, che emette un parere vincolante sulla base di questi parametri. È interessante notare come l’approccio sia volutamente restrittivo, limitando la qualifica di “farmaco innovativo” a indicazioni terapeutiche gravi e con impatto epidemiologico medio-basso, escludendo patologie ad alta prevalenza come diabete, artrosi o ipertensione.

Questo rappresenta un cambio di paradigma importante: non tutta l’innovazione clinica è rilevante per il sistema pubblico. Per essere riconosciuto come innovativo, un farmaco deve rispondere a bisogni clinici non ancora soddisfatti, apportare un chiaro beneficio rispetto alle terapie esistenti, e basarsi su evidenze robuste e trasferibili alla pratica clinica.

Il nuovo approccio offre maggiore trasparenza e oggettività nel processo di valutazione. Il criterio del bisogno terapeutico, ad esempio, distingue tra “massimo” (assenza di opzioni), “importante” (opzioni non efficaci o non sicure), e fino ad “assente” (opzioni efficaci e sicure già disponibili). Analogamente, il vantaggio terapeutico è graduato su cinque livelli, da “massimo” ad “assente”, mentre la qualità delle prove è valutata con il sistema GRADE (Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation), un metodo già utilizzato a livello internazionale.

In sintesi, l’AIFA punta a valorizzare l’efficacia clinica documentata, scoraggiando le richieste di innovatività basate su differenziali marginali o prove deboli. Ciò dovrebbe, in teoria, indirizzare meglio le risorse del Fondo Farmaci Innovativi, evitando dispersioni e favorendo interventi ad alto valore aggiunto per i pazienti.

Dal punto di vista dell’industria farmaceutica, i nuovi criteri presentano elementi di razionalizzazione ma anche possibili criticità. L’aumento del rigore scientifico nella valutazione potrebbe rallentare o ostacolare l’accesso al fondo per alcune categorie di farmaci, soprattutto in assenza di studi comparativi diretti; una condizione particolarmente difficile da soddisfare nei casi di malattie rare o ultra-rare, dove il reclutamento di pazienti è strutturalmente limitato.

L’AIFA riconosce questa complessità, ammettendo livelli più bassi di qualità delle prove per farmaci orfani. Tuttavia, resta aperto il tema della compatibilità tra esigenza di rigore scientifico e promozione dell’innovazione in ambiti ad alto rischio e basso ritorno economico, come appunto le patologie rare.

Inoltre, il nuovo schema esclude dai benefici normativi i farmaci che:

  • abbiano perso la copertura brevettuale;
  • propongano una nuova indicazione dopo oltre 10 anni dal primo riconoscimento;
  • siano antibiotici di tipo “reserve” secondo la classificazione OMS.

IL CASO DEGLI ANTIBIOTICI “DI RESERVE”: ESCLUSI DALL’INNOVATIVITÀ, MA INSERITI IN UN CANALE PARALLELO

Il documento introduce una disciplina autonoma per gli agenti antinfettivi attivi su germi multiresistenti, escludendoli dalla qualifica di farmaci innovativi in senso stretto. Questi medicinali, considerati critici per la salute pubblica ma spesso destinati a un uso limitato, rientrano in un elenco specifico e possono essere rimborsati tramite il Fondo Farmaci Innovativi, ma solo entro un plafond di 100 milioni di euro annui e fino alla scadenza della protezione brevettuale o normativa.

Si tratta di un compromesso importante. Da un lato, si evita di incentivare un uso estensivo – e quindi rischioso – di antibiotici “reserve”; dall’altro, si garantisce il supporto economico necessario a giustificarne la produzione e lo sviluppo, in un settore in cui il fallimento commerciale è spesso la regola. L’impostazione è coerente con le linee guida dell’OMS e rappresenta un tentativo – raro in Europa – di affrontare la crisi della antibiotic pipeline con strumenti di politica farmaceutica nazionali.

La revisione dei criteri AIFA si inserisce in un più ampio processo di riorganizzazione della governance farmaceutica in Italia. L’obiettivo dichiarato è duplice: garantire l’equità nell’accesso alle cure e mantenere la sostenibilità finanziaria del SSN.

Tuttavia, affinché questo nuovo assetto funzioni, sarà necessario:

  • garantire tempi rapidi nelle valutazioni da parte della CSE;
  • assicurare coerenza interpretativa tra le diverse richieste;
  • promuovere una maggiore integrazione con le valutazioni europee (HTA), anche alla luce dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2021/2282.

Dal punto di vista dell’attrattività del Paese per la ricerca clinica, il nuovo impianto potrebbe rappresentare un elemento positivo, a patto che si riesca a trasferire chiarezza normativa e decisionale anche nei confronti degli attori internazionali. È noto, infatti, come la prevedibilità delle regole e la qualità delle valutazioni siano fattori fondamentali per attrarre investimenti nel settore life sciences.

CONCLUSIONI

Il nuovo impianto normativo elaborato da AIFA per la valutazione dell’innovatività terapeutica rappresenta un tassello importante nel processo di modernizzazione della governance farmaceutica italiana. L’introduzione di criteri più oggettivi, strutturati e selettivi è un passo avanti nella direzione di un utilizzo più efficiente delle risorse pubbliche, orientato alla qualità dell’innovazione piuttosto che alla quantità.

Tuttavia, affinché queste novità si traducano in un reale beneficio per il sistema salute, sarà necessario un impegno coordinato da parte di tutti gli attori coinvolti – istituzioni, industria, enti regolatori e comunità scientifica – per garantire che l’innalzamento dell’asticella metodologica non diventi un ostacolo all’accesso o un disincentivo alla ricerca, soprattutto nei contesti clinici più fragili, come le malattie rare o i bisogni non ancora soddisfatti. La sfida è trovare un equilibrio tra rigore valutativo e flessibilità regolatoria: valorizzare l’innovazione dove serve davvero, anche quando non supportata da numeri ampi ma da evidenze solide e contestualizzate.

Sarà quindi essenziale monitorare attentamente l’impatto di questi criteri nel medio-lungo periodo, valutarne l’efficacia, e contribuire a un dibattito pubblico e tecnico su come misurare il “valore” di un farmaco nel contesto contemporaneo, tenendo insieme i tre pilastri fondamentali: evidenza scientifica, sostenibilità economica e diritto universale alla salute.

Recapiti
Gabriele LICHERI