La disciplina del verde urbano nei regolamenti comunali: una ricognizione empirica / Giulio Profeta

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Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Vanvitelli

Lo studio è stato finanziato dall’Unione europea- Next Generation EU, Missione 4 Componente 1 CUP B5323016700006; CODICE PROGETTO 20228H7WF3.

Il presente contributo si inserisce nelle attività relative al Prin 2022 “Reloading city un nuovo approccio sistemico alla rigenerazione della città e del territorio”.

1. Il verde urbano nella dimensione comunale

Allo stato attuale, non è presente nell’ordinamento italiano una nozione di verde urbano pienamente soddisfacente; l’unica fonte, infatti, che ha provato a fornire una definizione è stato il d.l. 2 aprile 1968, n. 1444 coniugandola con la pianificazione territoriale, ma detto tentativo non ha comportato risultati proficui ed efficaci[1].

Come noto, il decreto ha introdotto un’accezione meramente quantitativa del concetto di verde urbano, declinandolo all’art. 3, comma 2, lett. c) in chiave negativa quale sottrazione di aree verdi dall’edificazione in territori urbani per una superficie pari a 9,00 mq da dedicare ad «aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade».

Di fatto, quindi, l’unica ricostruzione possibile del verde si esauriva in un parametro quantitativo rigido consistente nella superficie di 9,00 mq da adibire ad aree per spazi pubblici attrezzati a parco.

Negli ultimi decenni, tuttavia, si è affermata, pur in assenza di una elaborazione legislativa, una concezione prestazionale del verde, con la quale si tende a conferire rilevanza “in positivo” al verde urbano, indirizzando l’attività edificatoria verso finalità specifiche e, contemporaneamente, distinguendo le varie tipologie di verdi esistenti[2].

Questo processo si è affermato gradualmente a partire dalla legge 29 gennaio 1992, n. 113, identificabile quale antesignana e primo incubatoio di una logica prestazionale del verde urbano, per poi acquisire effettiva consistenza con la legge 14 gennaio 2013, n. 10[3].

Contestualmente, anche sul livello regionale si è verificato uno sviluppo dell’accezione prestazionale del verde urbano, probabilmente in modo più marcato e incisivo rispetto al piano nazionale; molte Regioni, difatti, hanno promulgato leggi nelle quali è stata fornita una definizione di verde urbano, così come sono state implementate misure in forza delle quali orientare l’attività edificatoria coniugandola con obiettivi di tutela e valorizzazione delle aree verdi[4].

La specificità delle singole situazioni regionali ha, tuttavia, creato un contesto articolato e fortemente eterogeneo privo di linee di tendenza univoche, molto influenzato da ciascun indirizzo politico regionale e dalle culture burocratiche locali.

La medesima propensione “caleidoscopica” a proposito della regolazione del verde urbano, forse anche con intensità maggiore, si può ritrovare nella dimensione comunale, contraddistinta dalla totale peculiarità di ogni singolo Comune, pure se appartenente al medesimo ambito territoriale regionale.

In particolare, vista la carenza di una potestà normativa comunale, il verde urbano al livello comunale trova una propria disciplina all’interno di due atti regolamentari tipici, da un lato il regolamento edilizio, dall’altro il regolamento del verde.

Nella trattazione si procederà ad un’analisi di questa tipologia di atti, allo scopo di identificare elementi ricorrenti; da ultimo, si proverà a ipotizzare misure concrete con le quali valorizzare ulteriormente la nozione di verde urbano esistente[5].

2. Il verde pubblico nei regolamenti edilizi[6]

Le attribuzioni comunali in materia di governo del territorio sono risalenti, essendo previste addirittura fin dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248 all’allegato A, il quale stabiliva all’art. 87, comma 6 che appartenessero ai Comuni le competenze inerenti ai regolamenti in materia di “edilità”[7]. Tale prerogativa è stata sempre confermata negli atti normativi successivi, tanto che la dottrina al riguardo ha avuto modo di affermare che «materie come la polizia locale, l’igiene e l’edilità sono tradizionalmente riservate alla potestà normativa dei comuni, che solo incidentalmente e per eccezione vengono toccate dalla legislazione statale, sino al punto di ritenere il potere regolamentare dei comuni una «specie di potestà legislativa secondaria, che in quella dello Stato, quando esiste, trova certo un suo limite insuperabile, ma che quando questo limite espressamente non incontra, si esplica in tutta la sua pienezza ed efficacia»[8].

I regolamenti edilizi, assolvendo alla funzione di regolare l’attività edificatoria, hanno preso in esame indirettamente la tutela del verde urbano, dapprima in simmetria con la declinazione quantitativa tracciata dal d.l. n. 1444/1968; attualmente, tuttavia, grazie alla diffusione di una logica prestazionale, si possono riscontrare diverse funzioni correlate al verde.

Volendo adottare una classificazione del tutto convenzionale, queste sono rappresentate:

  1. un limite esterno all’attività edilizia, coerente con l’approccio quantitativo;
  2. una dimensione prettamente prestazionale, ossia una declinazione qualitativa, ricorrente soprattutto nei regolamenti maggiormente recenti;
  3. una finalità programmatica, che per quanto sia possibile inquadrare nei termini di una sub-specie della funzione prestazionale. se ne distingue nella misura in cui la tutela del verde passa da precisi meccanismi applicativi o elementi sanzionatori;
  4. di conformazione nei confronti degli interventi edilizi, in ciò differenziandosi rispetto alla n. 1 nella misura in cui il verde non rappresenta un limite esterno, ma un canone guida nell’edificazione, ed alla n. 2 dal momento che si indirizza esplicitamente all’attività edilizia;
  5. di raccordo tramite un meccanismo di rinvio ai regolamenti del verde, visto che, come anticipato, anche quest’ultimi regolano il tema[9].

Cominciando l’indagine e partendo dalle aree settentrionali, in Veneto si può notare uno scenario composito, nel quale solo a Verona, Padova, Treviso e Venezia, in cui il regolamento edilizio ha concluso il proprio iter di formazione tra il 2019 e il 2022, oltre all’approccio quantitativo si ha quello di raccordo, programmatico e qualitativo, ad esempio con esplicito rinvio ai criteri ambientali minimi prescritti in materia di contrattualistica pubblica[10].

In Lombardia, analogamente, il contesto appare estremamente disomogeneo, con capoluoghi di provincia contraddistinti da regolamenti edilizi non aggiornati ed altri caratterizzati da regolamenti edilizi di recentissima emanazione; non necessariamente quest’ultimi prendono in esame il verde urbano allo stesso modo dei primi. Ad esempio, Bergamo e Lodi, pur manifestando un approccio fondamentalmente quantitativo, presentano disposizioni espressive anche di un assetto qualitativo, programmatico, di rinvio al regolamento del verde e conformativo[11]. I Comuni di Brescia, Sondrio, Pavia e Milano possiedono regolamenti edilizi più recenti (entrati in vigore tra il 2014 e il 2023), anche se non tutti sono contrassegnati da un’identica attenzione al verde[12]; in particolare, spiccano quelli di Sondrio e Pavia, con quest’ultimo che agli articoli 86 e 87 prevede un’analitica e minuziosa disciplina delle aree verdi, tanto pubbliche quanto private, comprensiva ad esempio di un raccordo con altre fonti di tutela del verde, in specie regolamento del verde, conformazione dell’attività edilizia, programmatica e prestazionale[13].

In Piemonte si rinviene, invece, una tecnica amministrativa peculiare, rappresentata dal “regolamento-tipo”, ossia dalla predisposizione da parte della Regione di un modello tipo che, con alcuni adeguamenti, trova poi ricezione all’interno dei singoli Comuni, garantendo una certa uniformità di fondo[14]; il quadro risultante, per questa ragione, è, diversamente rispetto alla parte maggioritaria delle regioni italiane, relativamente omogeneo, pur essendo presenti alcune differenze. Di conseguenza, Verbania, Vercelli, Novara, Alessandria, Asti, Cuneo e Torino hanno adottato un regolamento edilizio in cui il verde assume diverse funzioni (in specie, quantitativa, di raccordo, programmatica e conformativa), anche se quella qualitativa non è sempre adeguatamente approfondita[15].

Per completare il quadro dell’area settentrionale, nella Regione Speciale della Valle D’Aosta è conferita importanza al verde in un’accezione quasi esclusivamente conformativa[16]; infine, i Comuni Capoluogo del Friuli-Venezia-Giulia e del Trentino, pur avendo in taluni casi regolamenti edilizi anche recenti, presentano una tutela del verde urbano prettamente quantitativa[17].

Scendendo verso le zone centrali, in Liguria, i regolamenti edilizi dei Capoluoghi di Provincia sono mediamente recenti (tutti introdotti tra il 2015 e il 2017, anche se per Imperia e Genova sono stati modificati nel 2020) e, fra questi, spicca in modo particolare quello del Comune capoluogo di Regione di Genova, in cui si rinvengono tutte le funzioni correlate al verde, tra cui un singolare meccanismo di contributi incentivanti per innalzare la qualità prestazionale del verde con interventi edificatori[18].

Specularmente a quanto ricostruito nell’ambito degli impianti normativi regionali, in Emilia-Romagna si ritrova mediamente un’accentuata sensibilità per la tutela del verde nei regolamenti edilizi, che si articola in plurime funzioni.

In particolare, i regolamenti edilizi sono stati tutti emanati tra il 2009 e il 2023 e le funzioni del verde urbano sono presenti in base ad un assetto variegato nei Comuni Capoluogo di Provincia di Rimini, Ravenna, Ferrara, Modena, Reggio-Emilia, Parma, Piacenza e Bologna; ad esempio, nel Comune Capoluogo di Regione di Bologna si nota una funzione di raccordo, conformativa e prestazionale[19].

Costituisce, invece, una parziale eccezione Forlì, in cui il regolamento edilizio manifesta un approccio essenzialmente conformativo[20].

In Toscana la maggior parte dei Comuni Capoluogo di Provincia, ossia Firenze, Prato, Arezzo, Siena, Grosseto, Massa e Pistoia, si è munita di nuovo regolamento edilizio tra il 2016 e il 2023, mentre solo Lucca, Pisa e Livorno hanno un regolamento edilizio anteriore.

Ad ogni modo, salvo Lucca, il cui regolamento edilizio, tuttavia, risale ben al 1996, Pisa e Prato, i regolamenti edilizi sono tutti comprensivi delle varie funzioni correlate al verde. In particolare, il Comune di Firenze presenta una situazione singolare, dal momento che prevede una regolazione del verde urbano tanto nel regolamento edilizio, quanto nelle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, “in attuazione degli indirizzi contenuti nel Piano Strutturale”[21]; peraltro, elemento del tutto originale, è la vera e propria definizione nel regolamento urbanistico del verde urbano, identificato ex art. 29, comma 1 quali aree a «diversa estensione e sistemazione, possono essere individuate come parchi o giardini, ma sono comunque connotate dalla presenza importante di vegetazione e dalla decisa prevalenza di suoli permeabili. Possono avere un carattere naturalistico, paesaggistico, ornamentale oppure ospitare attrezzature per lo svolgimento di attività ludiche e sportive leggere svolgendo pertanto funzioni ecosistemiche, paesaggistiche e sociali. In relazione ai tipi di utenza prevalenti, esse possono essere concepite come spazi disponibili per il gioco dei bambini e lo sport dei ragazzi o come spazi disponibili per lo svago e lo sport in forma libera degli adulti. Tali aree concorrono alla dotazione territoriale specifica (standard d.m. 1444/1968)»[22].

Per rimanere nelle zone centrali, nella Regione Marche, contrariamente alla Toscana e all’Emilia-Romagna, i Capoluoghi di Provincia possiedono regolamenti edilizi non aggiornati, che, conseguentemente, rivelano un’attitudine prettamente quantitativa in merito al verde urbano.

Difatti, Ascoli, Fermo, Pesaro e Ancona hanno tutti approvato il proprio regolamento edilizio tra il 1989 e il 2000; rappresenta, invece, una parziale eccezione Macerata, che ha approvato il regolamento edilizio nel 2000 (modificandolo poi in più occasioni, la cui ultima risale al 2010) che prevede un Titolo XVII-bis (“Tutela del verde pubblico”), all’interno del quale si coglie una logica conformativa degli interventi edilizi e, soprattutto, latu sensu qualitativa, con la elaborazione di una peculiare definizione all’art. 97-ter di verde “ornamentale”, consistente in «un insieme armonico di elementi vegetali, paesaggio, arredo e strutture ludiche» munito di alcuni attributi come la natura di «sistema organico di aree e siti composti fondamentalmente da elementi vegetali armonizzati con manufatti e arredi ed in stretta relazione, non solo fisica» e la funzione, che concorre a innalzare gli standard qualitativi della vita urbana[23].

Contesto molto simile alle Marche è quello dell’Umbria, con Perugia e Terni caratterizzate da un regolamento edilizio ispirato da una logica quantitativa, per quanto approvato nel primo caso nel 2005, nel secondo nel 2008, anche se ambedue modificati successivamente[24].

Ancora, in Abruzzo i regolamenti edilizi di Teramo, Chieti e L’Aquila sono stati varati tra il 1970 e il 1984, con il verde declinato su di un versante solo quantitativo, mentre a Pescara l’approvazione risale al 2019, ma, ciononostante, rispetto alla impostazione quantitativa ricorrente negli altri atti e a fronte del suo carattere maggiormente recente, si rinviene un’unica disposizione nella quale emerge la funzione di raccordo al regolamento del verde comunale[25].

Infine, per completare lo spaccato sulle Regioni centrali, nel Lazio, analogamente alle Marche, all’Umbria e all’Abruzzo, i regolamenti edilizi attualmente vigenti sono tutti, salvo il caso di Frosinone che lo ha approvato nel 2023, risalenti, addirittura nel caso di Roma il processo di formazione si è concluso nel 1934; non casualmente, Rieti, Roma, Viterbo e Latina richiamano il verde secondo un significato solo quantitativo, con Frosinone che affianca a questo assetto anche una funzione programmatica e latamente conformativa[26].

Passando, per concludere, alle Regioni meridionali, il quadro permane caratterizzato da una disomogeneità di fondo, dipendente in larga parte del momento risalente in cui è stato approvato il regolamento edilizio.

Ad esempio, in Campania si spazia da Comuni capoluogo con regolamenti edilizi del 1987, come nel caso di Caserta, ad altri più recenti quale Benevento, il cui regolamento edilizio è stato approvato nel 2016. Tale contesto, per l’appunto, vede i regolamenti edilizi dei Comuni di Napoli, Caserta ed Avellino non menzionare il verde urbano o declinarlo secondo un’impostazione quantitativa, mentre Salerno e Benevento richiamare anche le funzioni conformative, programmatiche e di raccordo, anche se non affiora una funzione propriamente qualitativa-prestazionale[27].

Analoga esiguità di funzioni si rinviene in Molise, sia ad Isernia che a Campobasso, per quanto nella prima il regolamento edilizio sia stato varato nel 2006, mentre nel secondo nel 1972 (anche se adeguato da ultimo nel 2008), dal momento che i regolamenti edilizi fanno trasparire solo una funzione conformativa nei confronti degli interventi edilizi[28].

Da ultimo, la Calabria presenta, analogamente al resto delle Regioni, un quadro marcatamente eterogeneo, in cui domina la varietà delle situazioni. Fra i Comuni in cui il regolamento del verde dispiega una dimensione non prettamente quantitativa vi è Crotone, il cui regolamento del 2018 declina il verde in una logica anche di raccordo e conformativa, Reggio Calabria, le cui norme tecniche di attuazione, le quali hanno sostituito dal 2024 il precedente regolamento edilizio, nominano il verde a scopo conformativo, e Catanzaro, dove curiosamente il regolamento edilizio contiene un

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