Dazi, l’accordo segna una resa politica più che un’intesa economica - Partito Socialista Italiano

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di Marco Strada

Il patto, siglato tra Donald Trump e Ursula von der Leyen a Turnberry (Scozia), prevede l’imposizione di un dazio uniforme del 15% su gran parte dei beni esportati dall’Ue agli Stati Uniti. In cambio, si evita una guerra commerciale più ampia e si introducono alcune eccezioni su prodotti strategici (come aeromobili, alcune materie prime e medicinali). È un compromesso squilibrato e punitivo. L’accordo nasce da una posizione di forza degli Usa, che minacciavano dazi ancora più alti (fino al 30%). L’Ue ha accettato l’imposizione del 15% per “evitare il peggio”, ma non ha ottenuto reali contropartite: né riduzioni sui dazi preesistenti su acciaio e alluminio (rimasti al 50%), né aperture verso una liberalizzazione più equa. L’Italia è uno dei paesi Ue più esposti sul fronte export verso gli Usa, in particolare per settori ad alto valore aggiunto. L’ export italiano verso gli Stati Uniti è di 75 miliardi dollari. Ciò comporta una riduzione della competitività: i prodotti Made in Italy diventano più costosi del 15% sul mercato statunitense. I settori più penalizzati come la meccanica, la moda, l’alimentare e vino italiano, subiranno una contrazione prevista tra il 9% e il 22%, questo comporta una perdita di export stimato in 4 – 9 miliardi di euro all’anno con un rischio occupazione stimato, secondo Confindustria, di circa 140.000 posti di lavoro. Trump ha sfruttato il negoziato per rafforzare l’approccio “America First”, riducendo l’Unione europea ad una controparte debole, più che ad un alleato strategico. L’Ue si è mossa senza un piano di sostegno alle imprese che subiranno danni da questo accordo. In definitiva, questo accordo è, di fatto un successo negoziale per Trump, che ha consolidato il suo messaggio di forza; un insuccesso politico per Bruxelles, incapace di difendere l’industria europea; un danno economico concreto per l’Italia, che vede colpiti i suoi settori più forti e strategici.

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