Un paese sospeso: il Libano tra crisi interna e conflitto regionale

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Sono molti e diversi i fattori di instabilità nel Libano di oggi. Oltre ad essere un Paese coinvolto nella crisi regionale che vede il perpetrarsi, dall’ottobre del 2023, della guerra in corso a Gaza e in Cisgiordania, il Libano sta affrontando anche le conseguenze del cambio di governo siriano  -con i ritorni in uscita dei rifugiati siriani e l’arrivo in entrata di comunità e minoranze a seguito di scontri interni intercomunitari-,  oltre alla annosa crisi economica, politica e sociale che tiene in ostaggio il Paese dal 2019.

Quelle in corso, inoltre, sono settimane di tensione per via dell’intreccio, sempre più stretto, tra politica interna ed estera, che, come ultimo atto, si è palesato con la decisione del governo libanese di centralizzare i corpi militari sotto l’autorità dello Stato, disarmando, di fatto, qualsiasi altro gruppo non riconosciuto dalle istituzioni governative. Le eventuali conseguenze dell’attuazione di un simile piano rischiano di scuotere il già fragile equilibrio politico e sociale del Paese.

Intanto, la crisi umanitaria ha subito un peggioramento dall’inizio del 2025, come dimostrano i numeri diffusi dalla Banca Mondiale: i danni causati dal conflitto ammontano a circa 14 miliardi di dollari, di cui 11 miliardi necessari per la ripresa e la ricostruzione. Tutto questo accade in un territorio dove, secondo l’ultimo Lebanon Response Plan approvato dalle Nazioni Unite, sono 3,6 milioni i cittadini libanesi che hanno bisogno di ricevere aiuto umanitario, e dove ci sono ancora più di 700 mila rifugiati siriani, di quelli registrati, e 200.000 rifugiati palestinesi. 

Crisi economica devastante, insicurezza alimentare in aumento

Allarmante è lo stato di salute della sicurezza alimentare della popolazione, che continua ad essere compromessa dalle ripercussioni del conflitto, dall’inflazione, dalla stagnazione economica e dall’aumento del deficit. Le ultime analisi prevedono un aumento delle persone coinvolte dalla crisi a 1,24 milioni  (il 23% della popolazione), persone che si troveranno in una situazione di grave insicurezza alimentare entro ottobre 2025, rispetto agli 1,17 milioni dei mesi precedenti.

Come organizzazione umanitaria operativa nel Paese da anni, INTERSOS è diretta testimone della crisi libanese, delle enormi difficoltà che affliggono la popolazione, soprattutto nelle aree del sud, dove, nonostante il cessate il fuoco entrato in vigore nel novembre 2024 e il ritiro parziale di Israele da alcune zone meridionali, le ostilità non si sono mai arrestate. 

Un conflitto mai terminato nel sud del Libano

Ad oggi, infatti, Israele detiene ancora sette posizioni nel Libano meridionale e, dal gennaio 2025, oltre 200 persone hanno perso la vita a seguito di attacchi militari. Il numero degli sfollati interni -coloro che hanno dovuto abbandonare le loro case e villaggi andati distrutti a seguito dei raid-  ammonta a circa 82.700, mentre coloro che, negli ultimi mesi, hanno fatto ritorno è di circa 981.500 persone (dati aggiornati a giugno 2025).  

Molto critica è la sopravvivenza nei villaggi situati entro 4 km dalla linea blu – la linea tracciata nel 2000 dalle Nazioni Unite per separare il sud del Libano dal nord d’Israele- che ad oggi risultano terre alla mercé del conflitto. Le forze israeliane intendono impedire il ritorno dei cittadini libanesi nei villaggi di confine, e agiscono colpendo direttamente anche la popolazione civile con attacchi alle comunità di contadini, di pastori e di pescatori, oltre a imporre restrizioni alla riabilitazione o ricostruzione delle case.

Il caos siriano e l’impatto in diverse aree del Libano

Complessa è anche la situazione nelle zone del nord, caratterizzate da crescenti tensioni intercomunitarie amplificate dall’afflusso dei nuovi arrivi dalla Siria, che pesano sulla già fragile convivenza con le comunità ospitanti e sulla precaria condizione economica dell’area coinvolta. 

Gli accadimenti in Siria, con gli ultimi episodi di scontri tra comunità nella regione siriana di al- Suwaida, hanno comportato l’arrivo di circa 100 mila siriani in Libano, specialmente nelle aree con maggior presenza di comunità druse, aggravando la già difficile risposta di sostegno alle comunità di rifugiati presenti nel Paese.

Il governo libanese, intanto, ha presentato e approvato un piano di ritorno per i rifugiati siriani tra luglio e settembre 2025. Parallelamente, l’ Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati -UNHCR- ha avviato due percorsi per il rimpatrio volontario. Entrambe le iniziative forniscono consulenza e assistenza per la documentazione e prevedono un contributo una tantum di 100 dollari in contanti per ogni persona che fa ritorno dal Libano, oltre ad un’assistenza aggiuntiva all’arrivo in Siria. Questi programmi sono coordinati in stretta collaborazione con le autorità libanesi. Eppure, le condizioni attuali all’interno della Siria rendono improbabile un ritorno sostenibile su larga scala nel breve termine. 

Il nostro lavoro per chi ne ha bisogno, non si arresta

In questo contesto, continua il lavoro che ogni giorno gli operatori e le operatrici umanitarie di INTERSOS portano avanti in diverse aree del Paese. La risposta è molteplice e trasversale, supportando le comunità di siriani e di libanesi con beni materiali di prima necessità distribuiti nei vari centri collettivi che ospitano gli sfollati interni e i rifugiati siriani, con programmi di cura delle persone sotto diversi aspetti: dal comprendere i bisogni primari e psicologici, al garantire alloggi sicuri, acqua potabile e servizi igienici. Sosteniamo le persone più vulnerabili con percorsi psico-sociali, con particolare attenzione a persone sopravvissute a violenza di genere, coinvolgendo donne e ragazze in attività all’interno di spazi sicuri. 

In diverse aree del Paese organizziamo attività ricreative e scolastiche con minori, inoltre un team specializzato si occupa anche di fornire supporto legale sia ai cittadini libanesi sfollati che ai rifugiati siriani. Da mesi ci impegniamo nella riabilitazione e ristrutturazione delle abitazioni danneggiate dal conflitto nel sud, anche attraverso un supporto economico che possa dare la possibilità di affittare un alloggio a chi ne è rimasto privo.

Tuttavia, i bisogni delle persone continuano ad essere urgenti, ci riferiamo soprattutto a tutti quegli sfollati che vivono da mesi in situazioni precarie come i rifugi adibiti nelle strutture scolastiche, spesso inadatte ad accogliere un grande numero di persone e prive di tutti i servizi di base essenziali. Preoccupa, inoltre, l’inizio dell’anno scolastico per il prossimo 15 settembre, che costringerà queste famiglie a dover trovare soluzioni abitative alternative, la maggior parte di loro, però, non ha le capacità economiche per poter affittare un alloggio. 

Queste persone necessitano di migliori condizioni di vita, di cibo, di assistenza medica, di accesso all’acqua potabile e a servizi igienici adeguati, oltre a garantire un ritorno all’istruzione a tutti quei bambini e adolescenti costretti a interrompere la scuola a causa del conflitto.

Recapiti
Chiara De Stefano