Colangite biliare primitiva: “Una malattia semplice da diagnosticare e con varie opzioni terapeutiche, ma ancora poco conosciuta”

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

Intervista al Prof. Pietro Invernizzi, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e del Centro per le Malattie Autoimmuni del Fegato (MAF)

La colangite biliare primitiva (PBC) è una malattia del fegato, nello specifico una colangiopatia di natura autoimmune. Come molte malattie autoimmuni, colpisce più spesso le donne rispetto agli uomini, con un rapporto di circa 9-10 femmine ogni maschio; classicamente è una patologia dell'adulto e dell'anziano, che può esordire anche nei giovani adulti. Inoltre, è una malattia rara che, secondo gli studi epidemiologici condotti nel corso degli anni, in diverse aree del mondo, ha un'incidenza e una prevalenza stabili a livello globale.

Il sistema immunitario di chi sviluppa la PBC si comporta in modo anomalo e aggredisce i dotti biliari, un sistema di drenaggio della bile composto da piccoli tubicini che si trovano nel fegato. La loro funzione è quella di raccogliere la bile prodotta dal fegato e portarla nell'intestino, dove serve per assorbire i grassi; la bile è quindi uno degli elementi deputati alla digestione e all'assorbimento degli alimenti.

Nella PBC, ad essere colpiti sono solo i piccoli dotti biliari, e questo distingue la malattia da altri tipi di colangiopatie, come la colangite sclerosante primitiva, che invece interessa i dotti di tutte le dimensioni”, spiega il Prof. Pietro Invernizzi, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e del Centro per le Malattie Autoimmuni del Fegato (MAF). “La conseguenza è che la bile non può essere drenata fuori dal fegato e ristagna: questa condizione è chiamata stasi della bile, o colestasi. La bile è composta dagli acidi biliari, sostanze tossiche che, se ristagnano nel fegato, creano danni progressivi all’organo, danni che possono essere evidenziati nel sangue da due indicatori di colestasi, chiamati fosfatasi alcalina e gamma GT. Questi enzimi epatici, se elevati, ci consentono quindi di confermare la presenza della malattia e sono utili anche per monitorare l'efficacia del trattamento, perché la terapia ottimale, che controlla completamente la malattia, porta alla normalizzazione di questi indicatori”.

I SINTOMI DELLA PBC

“Come tutte le condizioni croniche di sofferenza del fegato, anche la colangite biliare primitiva è spesso asintomatica”, precisa Invernizzi. “Quando però compaiono dei sintomi, quelli più frequenti sono il prurito e l'ittero. Non conosciamo la causa precisa del prurito – un sintomo che si presenta in numerosi pazienti, anche se non in tutti – ma crediamo sia legata alla circolazione nel sangue degli acidi biliari”.

La stasi della bile comporta anche alti valori di bilirubina, e questo porta all'ittero, ossia alla colorazione giallastra della pelle, delle mucose e delle sclere degli occhi. Se invece il livello di bilirubina non è così elevato, il colore giallo è visibile solo nelle sclere, e questo quadro sintomatologico è chiamato sub-ittero.

Un terzo sintomo, che viene riconosciuto come molto specifico della presenza della malattia, è la cosiddetta “fatigue”, in italiano “astenia”. Fra i colleghi che si occupano di colangite biliare primitiva – prosegue l’esperto – c’è un po' di dibattito sul fatto di ritenerlo un sintomo dovuto alla semplice presenza della patologia: il mio parere è che sia più probabilmente legato allo stadio della PBC e ad altre problematiche, connesse, ad esempio, alla sfera psicologica dei pazienti gravati da una malattia cronica”.

L’IMPORTANZA DEL SOSPETTO DIAGNOSTICO

La diagnosi della PBC è molto semplice – spiega il Prof. Invernizzi – perché abbiamo la fortuna di avere dei marcatori nel sangue che sono molto specifici per la malattia: uno di questi è l'autoanticorpo anti-mitocondriale (AMA), che si trova in quasi tutti i pazienti (il 95% o più); inoltre, è presente solo nelle persone affette da questa malattia. Perciò, quando abbiamo un'alterazione degli enzimi epatici fosfatasi alcalina e gamma GT, che indicano colestasi, la positività degli AMA ci conduce alla diagnosi”.

“Il test degli AMA è molto diffuso e disponibile in tutti i laboratori, ma il vero problema è che in presenza di colestasi bisogna pensare alla possibilità di trovarci di fronte alla colangite biliare primitiva”, sottolinea l’esperto. “Essendo una malattia rara, la missione di chi se ne occupa è farla conoscere sempre di più, perché questi specifici marcatori di autoimmunità vengono testati solo quando c'è un sospetto clinico. L’obiettivo di noi specialisti, condiviso con le associazioni dei pazienti, è quindi quello di diffondere la conoscenza della malattia, non solo fra gli epatologi di primo livello, ma anche fra i medici di medicina generale”.

“Oltre agli autoanticorpi anti-mitocondriali, ci sono anche altri due autoanticorpi antinucleo specifici della PBC, chiamati anti-GP210 e anti-SP100, ma meno spesso presenti nel sangue dei pazienti (40-50% dei casi)”, prosegue Invernizzi. “Quando presenti e positivi, sono molto utili non solo per fare la diagnosi, ma anche perché hanno un riconosciuto ruolo prognostico: indicano che quel paziente avrà una storia di malattia un po' più veloce e una forma di malattia un po' più aggressiva”.

IL TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA

Tutti i pazienti con diagnosi di PBC vengono trattati con un farmaco di prima linea che appartiene alla categoria degli acidi biliari: l'acido ursodesossicolico (UDCA), oppure l'acido tauroursodesossicolico (TUDCA), composto dall’acido ursodesossicolico e dall'aminoacido taurina”, chiarisce il Prof. Invernizzi. “L'UDCA è l'unico acido biliare che non è tossico, ma rappresentando, nell'uomo, solo l'1% degli acidi che compongono la bile, non è sufficiente a ridurre la tossicità complessiva di questo fluido. Una curiosità: si chiama ursodesossicolico perché la sua percentuale nella bile degli orsi non è l'1% ma l'80-90%. La bile degli orsi viene utilizzata da tantissimo tempo come componente della medicina tradizionale cinese e purtroppo, ancora oggi, nel sud-est asiatico ne esiste una produzione e un commercio illegale”.

“L'acido ursodesossicolico – continua Invernizzi – ha lo scopo di diluire la tossicità della bile ed è molto efficace: fino al 60-70% dei pazienti in terapia con questo farmaco ottiene un controllo adeguato e duraturo della malattia. Oltre a ciò, ha un costo bassissimo ed è sostanzialmente privo di effetti collaterali. Tuttavia, il 30-40% dei pazienti non risponde in modo adeguato a questa terapia. Oggi, la modalità per definire la risposta del paziente come adeguata o meno si basa sul valore della fosfatasi alcalina dopo 12 mesi di trattamento di prima linea: se i livelli della fosfatasi alcalina rimangono sopra la norma di almeno 1,5 o 1,67 volte (a seconda dei valori di soglia utilizzati nei diversi Paesi), allora occorrerà passare a un farmaco di seconda linea”.

NUOVE TERAPIE DI SECONDA LINEA

Per diversi anni, in numerosi Paesi del mondo, compresa l'Italia, come terapia di seconda linea per la PBC è stato utilizzato l’acido obeticolico (OCA), farmaco che ha rappresentato a lungo l'unica opzione per i pazienti non responsivi all'UDCA. Oggi, però, il medicinale non è più disponibile, perché è stato ritirato dal mercato europeo nel settembre 2024.

Negli ultimi mesi, tuttavia, due nuove terapie di seconda linea hanno ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata in Europa, dopo aver superato con successo le rispettive sperimentazioni cliniche di Fase III”, sottolinea il Prof. Invernizzi. “Le due molecole, chiamate elafibranor e seladelpar, sono degli agonisti dei recettori PPAR (Peroxisome Proliferator-Activated Receptors) e hanno una storia di sviluppo che li distanzia di pochi mesi l'uno dall'altro. Prima sono stati messi a disposizione dei medici, anche in Italia, tramite programmi di accesso anticipato; poi, nel maggio scorso, elafibranor ha ottenuto la rimborsabilità da parte dell’AIFA, e ora ci aspettiamo che l'Agenzia Italiana del Farmaco approvi a breve anche seladelpar. La disponibilità di questi due nuovi farmaci – conclude l’esperto – permette quindi agli epatologi di avere a disposizione un valido armamentario terapeutico per contrastare una patologia potenzialmente grave come la colangite biliare primitiva”.


SCARICA E LEGGI L’INSTANT BOOK DEDICATO ALLA COLANGITE BILIARE PRIMITIVA

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Francesco Fuggetta)