È l’ora di scegliere - Azione Cattolica Italiana

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Un anno fa Mario Draghi consegnava alla Commissione europea un rapporto che molti avevano letto come un grido d’allarme e insieme come una mappa per un nuovo cammino. Dodici mesi dopo, alla conferenza di Bruxelles che ha fatto il punto sul “Rapporto Draghi”, le sue parole risuonano persino più cupe: «Il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. Non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno».

Non è solo l’economia a tremare, è la stessa sovranità dell’Unione ad apparire fragile. Draghi ha ricordato con realismo la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti, che ci ha costretto ad accettare condizioni commerciali sfavorevoli, e la crescente pressione della Cina, divenuta un concorrente più forte e più veloce. Ha evocato la prospettiva di un debito pubblico europeo vicino al 93% del Pil, con margini di manovra sempre più ridotti e obiettivi fissati in anni passati che oggi sembrano distanti dalla realtà. L’esempio del settore automobilistico è emblematico: la transizione all’elettrico era stata concepita come un circolo virtuoso tra infrastrutture, innovazione e mercato. Ma le batterie, i microchip, la filiera industriale non hanno seguito il ritmo previsto. Il rischio è che gli obiettivi ambiziosi diventino velleitari e producano frustrazione invece che progresso.

Un’Europa incapace di tenere il passo del cambiamento

Non meno dure le parole sulla lentezza dell’Europa: «I cittadini e le imprese vedono che siamo incapaci di tenere il passo con la velocità del cambiamento altrove. Sono pronti ad agire, ma temono che i governi non abbiano compreso la gravità del momento». Draghi non si limita alla diagnosi: propone una strada, quella del debito comune per progetti comuni, come già accaduto con il Next Generation EU durante la pandemia. Non un artificio contabile, ma lo strumento per mettere in campo investimenti su scala continentale in ricerca, difesa, energia e innovazione tecnologica.

Ursula von der Leyen, dal canto suo, ha fatto eco a queste considerazioni con un richiamo altrettanto diretto: «La routine non basta più. Il business as usual non funziona. I cittadini europei si aspettano che la nostra democrazia decida, agisca e dia risultati». È un linguaggio insolito per la prudente dialettica comunitaria, ma rivela quanto sia stretto il crinale su cui si muove l’Unione.

Un passaggio politico e culturale

C’è un passaggio politico e culturale che non possiamo eludere. La globalizzazione sta cambiando volto, diventando più dura e conflittuale. Stati Uniti e Cina giocano da giganti, difendendo con forza i propri interessi. L’Europa, invece, appare impigliata nelle proprie divisioni, più preoccupata di non urtare gli equilibri interni che di attrezzarsi per la competizione globale. Ma la realtà bussa con urgenza: la guerra in Ucraina, le nuove barriere commerciali, la crisi energetica e le transizioni ecologiche e digitali che non possono più essere rimandate.

Il cuore della questione è politico: abbiamo bisogno di una nuova volontà comune. Non bastano regolamenti e direttive, serve una visione di futuro che ridia fiducia a cittadini e imprese. Draghi parla di «risultati nel giro di mesi, non di anni». Non è un capriccio da economista, ma la constatazione che la finestra per agire si restringe. Se l’Europa indugia, rischia di condannarsi a un declino irreversibile, marginale nello scacchiere mondiale.

Da cristiani sappiamo che la politica non è mera tecnica di potere, ma responsabilità verso le persone, verso i più fragili, verso il bene comune. Le sfide di cui discutono Draghi e von der Leyen non sono cifre astratte: riguardano il lavoro dei giovani, la tenuta delle famiglie, la speranza di un futuro in cui l’Europa resti spazio di diritti, di libertà e di pace.

Il messaggio che viene da Bruxelles è netto: è l’ora di scegliere. O l’Europa si unisce e accelera, oppure sarà condannata a inseguire gli altri, perdendo sé stessa. La sovranità di cui parla Draghi non è un concetto astratto: è la capacità di decidere del proprio destino. Per questo oggi più che mai serve un’Europa capace di ambizione, unità e urgenza. Perché il tempo, davvero, è poco.

Recapiti
Antonio Martino