Se in Italia, in questi giorni, studentesse e studenti sono tornati in classe, a Gaza, invece, le porte delle scuole rimangono chiuse: per il terzo anno consecutivo i bambini e i ragazzi non possono tornare a sedersi sui banchi, e non hanno insegnanti da ascoltare.
Se in molte città italiane si sono levati appelli al digiuno come gesto di solidarietà e richiesta di pace, a Gaza il digiuno non è una scelta ma la condizione imposta da decisioni prese altrove, da logiche di potere che schiacciano i più deboli.
«Siamo sull’orlo del baratro, l’escalation fa paura», ha ammonito nei giorni scorsi il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano. E ha aggiunto: «Tutte le operazioni umanitarie che possono servire ad aiutare sono utili, le valutiamo positivamente». Sono parole che vanno raccolte come un mandato: in un tempo segnato da venti di guerra che non fanno che soffiare più impetuosi, ogni gesto di impegno e di solidarietà è un mattone di pace, ogni sforzo per accendere un lumicino contro la violenza delle armi è un atto di resistenza al buio delle barbarie che avanzano in ogni conflitto.
Non ci sono più margini per l’indifferenza
È in questo scenario che prende il largo la Global Sumud Flotilla, la flotta internazionale che intende portare cibo e medicinali a un popolo stremato da mesi di violenza e assedio, e stabilire un corridoio umanitario. Navi provenienti da diversi Paesi, con equipaggi di nazionalità differenti, salpano unite da un’unica convinzione: a Gaza bisogna osare la pace. Non ci sono più margini per l’indifferenza, per interpretazioni di comodo o per divisioni sterili: a Gaza è urgente osare la pace.
Guardando con speranza alla Flotilla, ci auguriamo che la sua impresa possa aprire – oltre al corridoio marittimo – un corridoio nelle nostre coscienze. La Flotilla, infatti, è un simbolo di impegno civile che interroga ciascuno di noi, chiamandoci a spalancare un varco innanzitutto dentro le nostre coscienze anestetizzate. È un invito a non ridurre la pace a una vaga aspirazione, ma a viverla come impegno personale e politico, come costruzione quotidiana.
Lo ricorda con forza la stessa scelta del nome: global, perché la solidarietà non conosce confini; flotilla, perché il mare diventa cammino comune, respiro collettivo; sumud, termine arabo che significa “resilienza”, “fermezza”, e che racconta l’anima profonda di questo gesto. Non una semplice spedizione di aiuti, ma la testimonianza di una tenacia che tiene insieme chi naviga, chi sostiene e chi attende, con la consapevolezza che non si può vivere la pace se si rimane in pace: occorre, per dirla con don Primo Mazzolari, essere uomini e donne di pace.
Per Gaza, pace e giustizia. E la nostra determinata vicinanza e preghiera
In Terra Santa, i patriarchi Pierbattista Pizzaballa e Teofilo III hanno scelto di restare accanto al loro popolo, condividendone rischi e fatiche, aprendo i complessi parrocchiali della Sacra Famiglia e di San Porfirio a chi cerca rifugio. Anche questo è sumud: non abbandonare, non cedere, non smettere di prendersi cura. E noi vogliamo non abbandonare nel dimenticatoio le persone che abitano a Gaza; non vogliamo cedere alla tentazione di delegare ad altri la costruzione della pace; non vogliamo smettere di prenderci cura dei palestinesi attraverso la preghiera e la richiesta di giustizia per tutti, ancor più dopo che ha avuto inizio una nuova operazione di distruzione e occupazione.
Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Leone XIV ha indicato come prioritaria la via di una pace «disarmata e disarmante». È su questa strada che ci invita a camminare: disarmando innanzitutto le parole, rinunciando alla retorica dell’odio, ritrovando linguaggi capaci di custodire la dignità di ogni persona. La pace non può essere mai un’utopia, perché è una costruzione quotidiana, che coinvolge tutti, dal basso, è il lavoro artigianale della politica in ogni democrazia. È difficile oggi capire da dove cominciare, anche il diritto internazionale sembra ignorato e vilipeso, la diplomazia è continuamente spiazzata dalle continue prove di forza che vengono da molte delle forze in campo. Ma la strada verso il Bene comune si può ritrovare cominciando dalla parte più vulnerabile: a nostro parere è prioritario iniziare dall’ascolto e dal grido delle vittime innocenti, a cominciare dai più piccoli.
Quale futuro sta predisponendo per sé l’umanità?
Ricordando le vittime innocenti di tutti i conflitti, a Gaza, in Ucraina, in Sudan, il presidente Mattarella nei giorni scorsi si è posta una domanda drammatica che dobbiamo porci tutti con grande urgenza: quale futuro sta predisponendo per sé l’umanità? La condizione dei più piccoli in questi conflitti, ha ricordato in occasione della consegna del premio Burgio, «rappresenta un peso di inciviltà, insostenibile per la comunità internazionale».
Siamo molto grati, pertanto, verso tutte quelle iniziative umanitarie e generose che la società civile sta mettendo in campo, come lo è la Global Sumud Flotilla, che devono essere occasioni per ritrovare percorsi condivisi di solidarietà e di fraternità. Auspichiamo anche che i governi e le istituzioni osino la pace con coraggio e creatività. Che si cominci, davvero tutti, a disarmare le parole, e le coscienze di ciascuno si aprano alla fraternità. Che i gesti di pace, concreti, possano finalmente unire e non dividere.
La Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana