Il simbolismo della Grande Madre mediterranea in Storia di Geshwa Olers

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L’archetipo del femminile terribile nel Mediterraneo fantastico

Nella saga di Storia di Geshwa Olers, l’archetipo della Grande Madre assume connotazioni oscure e primordiali attraverso la figura di Aissa Maissa, incarnazione narrativa del femminile distruttivo che permea l’immaginario mediterraneo da millenni. Questa scelta non si riduce a una semplice caratterizzazione antagonistica, ma è il frutto di una consapevole elaborazione delle stratificazioni simboliche che collegano le dee madri del Mediterraneo antico, dalle Gorgoni greche a Kâli dell’Oriente ellenizzato, da Ecate triforme alla Lilith semitica, in un continuum archetipico che trascende le singole culture per radicarsi nell’inconscio collettivo.

L’ambientazione del Mondo di Stedon nell’ultima glaciazione wurmiana non è casuale: colloca la narrazione in un’epoca liminale, quando l’umanità emergeva dalle caverne-utero per affrontare un mondo ostile. È precisamente in questo contesto che Aissa Maissa emerge come Magna Mater invertita, non più nutrice ma divoratrice, non più protettrice ma minaccia esistenziale che costringe l’eroe a confrontarsi con l’aspetto più terrificante del principio femminile.

La geografia sacra del femminile ctonio

La topografia sotterranea che caratterizza molti passaggi cruciali della saga non si riduce ovviamente a un mero scenario, poiché rappresenta una mappatura simbolica dell’inconscio femminile nelle sue manifestazioni più arcaiche. Le caverne (ivi compresi i regni gnomici), i passaggi sotterranei (come quello percorso da Geshwa Olers nel sesto volume o da Asshar nel terzo volume), le grotte rituali che costellano il percorso di Geshwa e dei suoi compagni (come per esempio quella che conduce ai Maghi ribelli nel primo volume) riproducono la struttura e le funzioni archetipiche dell’utero terrestre: un luogo di gestazione e morte, di trasformazione e rinascita.

Questa geografia ctonia richiama direttamente il simbolismo dei dolmen mediterranei, strutture megalitiche che nella loro essenzialità architettonica (due pilastri verticali sormontati da un elemento orizzontale) rappresentano la porta primordiale, il passaggio tra i mondi. Non è coincidenza che nei momenti di maggiore tensione narrativa, i personaggi attraversino soglie fisiche che replicano questa struttura: archi naturali, passaggi tra rocce, ponti di pietra (uno su tutti, il Ponte di Makut). Ogni attraversamento diventa rito di passaggio, morte simbolica e rinascita sotto l’egida ambigua della Grande Madre.

Il serpente, animale sacro alla dea in tutte le sue manifestazioni mediterranee, appare nella saga come simbolo polivalente: cintura che stringe e soffoca, cordone ombelicale che lega alla terra, ouroboros che divora se stesso in un ciclo eterno di distruzione e rigenerazione. Quando Aissa Maissa manifesta il suo potere, il serpente diviene estensione del suo essere, incarnazione della forza ctonia che può dare o togliere la vita con uguale indifferenza.

Kâli nel ghiaccio: la danza della distruzione creatrice

L’accostamento di Aissa Maissa all’iconografia di Kâli non è superficiale sincretismo, ma riconoscimento di un substrato simbolico comune che lega il Mediterraneo all’Oriente attraverso le vie carovaniere dell’immaginario (ma frequentate anche fisicamente già dai tempi antichi). Come Kâli danza sul corpo di Śiva nella cosmologia tantrica (vedi immagine qui sotto), così Aissa Maissa si erge sui cadaveri degli eroi caduti, non per sadismo gratuito ma come manifestazione del principio femminile che governa i cicli di nascita e morte.

La collana di teschi che adorna Kâli trova eco nei trofei macabri che segnano il passaggio di Aissa Maissa; la lingua protesa della dea indiana si riflette nelle invettive e maledizioni pronunciate dall’antagonista; la molteplicità delle braccia divine si traduce nell’ubiquità minacciosa con cui il potere femminile oscuro permea la narrazione. Non si tratta ovviamente di imitazione, ma di variazione su un tema archetipico: la Grande Madre che divora i propri figli per rigenerare il cosmo.

Ecate ai crocicchi del destino

Se Kâli rappresenta l’aspetto dinamico e violento del femminile terribile, Ecate ne incarna la dimensione magica e liminale. Signora dei crocicchi e delle soglie, la dea triforme greca presiede ai momenti di scelta che determinano il destino. Nella saga, questa funzione ecatèa si manifesta attraverso le figure femminili o maschili che, pur non essendo direttamente Aissa Maissa, ne rappresentano emanazioni o riflessi: sibille, veggenti, guardiane di passaggi cruciali. Un esempio su tutti, il Profeta Bemònelut.

I “trivii” narrativi – momenti in cui i personaggi devono scegliere tra tre vie possibili – riproducono la struttura sacra degli incroci dedicati a Ecate nel mondo antico. La torcia della dea, che illumina le tenebre senza dissiparle completamente, trova una corrispondenza nei momenti di rivelazione parziale che costellano la saga: verità che emergono dall’oscurità solo per generare nuovi enigmi, forse mai completamente risolvibili, illuminazioni che conducono a oscurità più profonde.

Le Gorgoni e lo sguardo pietrificante

L’elemento gorgonico in Aissa Maissa si manifesta non tanto nell’aspetto fisico quanto nel potere paralizzante della sua presenza. Come lo sguardo di Medusa tramutava in pietra chi osava fissarla, così il confronto con il femminile terribile nella saga produce una paralisi esistenziale che solo l’eroe, armato degli strumenti simbolici appropriati (lo specchio di Perseo trova eco negli oggetti riflettenti e negli inganni ottici utilizzati dai protagonisti), può superare. La sensazione disorientante che la magia stedonica (la lingua onoferica) provoca in chi la subisce, con quel senso di nausea e un’incapacità momentanea di reagire, è diretto riferimento a questa “qualità” simbolicamente presente nelle Gorgoni.

La decapitazione di Medusa, gesto fondativo della civiltà olimpica che sottomette il femminile ctonio, viene rielaborata nella saga attraverso i tentativi, mai completamente riusciti, di neutralizzare il potere di Aissa Maissa o di altre fade e/o anguane: creature che sfuggono al totale potere di controllo del maschile. Il fatto che l’antagonista sopravviva e si rigeneri nell’ottavo volume, riflette la consapevolezza postmoderna che l’archetipo della Grande Madre terribile non può essere definitivamente sconfitto, solo temporaneamente contenuto o trasformato.

I rituali di passaggio e l’iniziazione al femminile

I rituali di passaggio femminili disseminati nella saga non sono ornamenti folklorici ma strutture portanti del simbolismo iniziatico. Le giovani donne che attraversano prove legate al sangue, all’acqua e al fuoco replicano i misteri eleusini e i culti della Grande Madre mediterranea. Il menarca come momento di acquisizione del potere generativo/distruttivo; l’immersione nelle acque sotterranee come morte e rinascita; l’attraversamento del fuoco come purificazione e trasformazione.

Questi rituali, lungi dall’essere prerogativa esclusiva dei personaggi femminili, coinvolgono anche gli eroi maschili che devono confrontarsi con l’anima, la componente femminile della psiche. Geshwa stesso, nel suo percorso verso l’individuazione, deve integrare aspetti del femminile che inizialmente rifiuta o teme. Il confronto con Aissa Maissa diviene così non solo scontro esterno, ma un primo importante momento del processo di integrazione psichica.

Il serpente come cintura del mondo

Il simbolismo ofidico permea la saga a livelli multipli. Se nel mito greco il serpente Pitone custodiva l’omphalos di Delfi prima che Apollo lo uccidesse per instaurare il culto solare, nella narrativa di Valenza il serpente rimane invitto, simbolo della Grande Madre che resiste all’avvento del principio maschile ordinatore.

Il serpente-cintura che stringe il mondo richiama il Leviatano biblico e il Miðgarðsormr nordico, ma nella sua accezione mediterranea assume valenze specifiche: è il serpente del caduceo che unisce gli opposti, il serpente-arcobaleno che collega cielo e terra, il serpente che si morde la coda rappresentando l’eterno ritorno. C’è un altro serpente in Il viaggio nel Masso Verde, costituito dall’anguana che Geshwa Olers e Nargolìan Asergnac incontrano alla tenuta di zia Alsi.

Conclusioni: verso una sintesi mediterranea

Il simbolismo della Grande Madre in Storia di Geshwa Olers rappresenta una sintesi delle molteplici manifestazioni del femminile archetipico nel bacino mediterraneo.

Aissa Maissa emerge non tanto come un banale villain bidimensionale, ma come forza naturale personificata, terribile nella sua indifferenza al destino individuale eppure necessaria per il funzionamento del cosmo stedonico. La sua presenza costringe i personaggi – e i lettori – a confrontarsi con aspetti dell’esistenza che la modernità tende a rimuovere: la morte come parte della vita, la distruzione come prerequisito della creazione, il caos come matrice dell’ordine.

In questo senso, la saga trascende i confini del fantasy commerciale per inserirsi in quella tradizione di letteratura iniziatica che, dai misteri eleusini all’Asino d’oro di Apuleio, dalla Divina Commedia al Faust, utilizza il meraviglioso come veicolo di trasformazione interiore. Il lettore che attraversa le prove insieme a Geshwa non assiste semplicemente a un’avventura ma è invitato a partecipare a una sorta di nuovo rito di passaggio che, attraverso il confronto con la Grande Madre mediterranea in tutte le sue manifestazioni, promette una comprensione più profonda dei misteri dell’esistenza.

Recapiti
Fabrizio Valenza