È il tempo di essere uomini di pace. Don Primo Mazzolari diceva che il cristiano non è colui che è in pace, ma è un uomo che costruisce la pace.
Ed in questo momento più che mai sentiamo forte il dovere come giovani di farci promotori di una pace disarmata, disarmante, umile e perseverante, come papa Leone ci ha chiesto il primo giorno del suo pontificato.
I giorni di giubileo appena trascorsi sono stati incontro, gioia, e preghiera, sono stati gli abbracci di persone che non si vedevano da lunghi mesi, i balli improvvisati in una pizza gremita, i sorrisi condivisi e le lacrime asciugate. L’Azione Cattolica in questa cornice si è inserita creando anche uno spazio generativo in cui riflettere e confrontarsi con diversi ospiti in merito al tema della pace, che mai come ora risulta essere fragile e di cui tutti sentiamo forte la necessità.
Il talk che si è tenuto il 30 luglio di fronte a Chiesa Nuova di Santa Maria in Vallicella ha visto Gianni Borsa, corrispondente del SIR da Bruxelles e presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana, dialogare insieme a don Roman Demush, vice responsabile dei progetti della commissione della Pastorale Giovanile della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e al vescovo di Donetsk, E.R. Mons Maksim Ryabukha.
Come poter raccontare la guerra? Come trovare le parole giuste?
Non ci sente probabilmente mai adatti nel farlo, avendo nonostante anni e anni di esperienza alle spalle, ma Gianni Borsa ci ha ricordato ancora una volta come “prima di scrivere, sia fondamentale comprendere la realtà, indagarla: il giornalista ha il compito di raccontare il mondo, aiutando a comprendere il nostro tempo. Ma per comprendere la realtà non servono giudizi affrettati, serve tempo e pazienza”, per far sì che lo scrivere getti semi di speranza e di pace, non solo disperazione e distruzione.
Dal canto suo il lettore – sempre secondo Borsa – deve tenere a mente che il giornalismo non è una fonte inesauribile di verità e che, come in ogni ambito, ci sono interessi geopolitici in gioco che rendono alcune guerre più importanti di altre, alcuni Paesi più attenzionati rispetto ad altri.
E noi cosa possiamo fare?
Sono sicura che almeno una volta ognuno di noi si sia sentito impotente di fronte alle miriadi di notizie che ogni giorno vengono pubblicate, incapace di agire concretamente. Non passa giorno che io non mi senta inerme, piccola in confronto a quello che ci circonda, ma ho forse capito che conoscere, interrogarmi, dialogare e non dimenticare, siano alcuni tra i modi più efficaci per cercare di essere seminatori di pace e quindi di speranza, a casa nostra.
Padre Roman e Mons. Maksim Ryabukha durante il talk ci hanno ricordato che sperare in tempo di guerra non solo è possibile, ma è fondamentale per vivere ogni giorno la propria quotidianità. I giovani ucraini venuti al giubileo sono stati testimoni di fede e della presenza di Dio tra noi. Erano a Roma in rappresentanza del migliaio di giovani ucraini e non che si trovano in zone di conflitto e che non hanno potuto raggiungere la capitale. A loro vanno i nostri pensieri, le preghiere si innalzano e la mente fa spazio a tutte le vittime innocenti di stragi che sembrano non avere una fine.
Proprio la pace era un’urgenza invocata anche da Pier Giorgio Frassati, testimone attorno il quale l’Azione Cattolica ha costruito tutta la sua proposta per il giubileo, che ci ha lasciato una grande eredità: la sua vita come esempio di speranza radicata profondamente nella fede, attraverso i gesti, le opere concrete, le relazioni con il prossimo. L’augurio è che possiamo fare nostri gli insegnamenti di Frassati, ricordando sempre che la pace e la speranza vanno coltivate e custodite quotidianamente negli ambienti che viviamo, e ribadendo ancora una volta – come detto da Gianni Borsa – che in un contesto bellico si perde sempre e nessun popolo esce vincitore da una guerra. Il dialogo, la politica ed il confronto resteranno sempre la soluzione valida da preferire alle armi, alla violenza, alla guerra.