Il colosso americano Meta ribadisce la sua decisione di luglio di non diffondere la pubblicità politica sulle sue piattaforme da ottobre 2025.
Tutti i post, video, immagini, testi che avranno come contenuto forme di inserzione politica a pagamento, riguardanti temi sociali o elezioni non potranno essere pubblicati nell’Unione europea.
La tensione tecnologica e giurisdizionale tra Ue e USA continua e stavolta il limite del terreno tecnico sembra sconfinare nel costituzionale. Infatti, una simile decisione da parte di Meta sembra non appartenere al potere decisionale di una azienda privata, ma piuttosto pare sconfinare nella censura e nel non rispetto della trasparenza e della democrazia europea.
TTPA, la pietra dello scandalo
La decisione di Meta segue l’entrata in applicazione dal 10 ottobre 2025 del TTPA, il Regolamento (UE) 2024/900 sulla trasparenza e sul targeting della pubblicità pubblicità politica. La norma approvata lo scorso anno impone trasparenza e chiarezza sui finanziatori, sul deposito dei dati in archivi. Impone inoltre limiti di targeting, come per minori e categorie sensibili per etnia, religione e orientamento sessuale.
Appunto per la grande quantità di obblighi che l’Ue pretende con il TTPA, Meta ha risposto chiudendo le porte a ogni tipo di advertising politico in Ue. Infatti, Meta ha definito il piano normativo “inattuabile” e pieno di “complessità operative” e “incertezze politiche” che non permettevano un’erogazione efficace dei contenuti politici e sociali.
La reazione dell’Ue è stata di bollare la mossa di Meta con la parola “censura”. L’eurodeputato Sandro Gozi parla di una “profonda allergia alla trasparenza e alla responsabilità democratica”.
Incompatibilità costituzionale
Di fatto, nel TTPA si fanno delle precisazioni, come per esempio:
“La libertà di espressione e di informazione, come sancita all’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali, include la libertà di opinione politica e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni politiche e di condividere idee politiche. Ogni limitazione a tale libertà deve ottemperare all’articolo 52 della Carta dei diritti fondamentali. Possono essere apportate modulazioni e limitazioni laddove siano necessarie e giustificate dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico e rispettino i principi generali del diritto dell’Unione, quali la proporzionalità e la certezza del diritto. Ciò vale anche nelle situazioni in cui le idee politiche sono comunicate tramite prestatori di servizi di pubblicità politica. La libertà di espressione e di informazione è una delle pietre angolari di un vivace dibattito democratico”.
E inoltre, si presuppone che secondo la definizione di pubblicità politica descritta nel TTPA “è opportuno prevedere una maggiore granularità degli obblighi di trasparenza a carico degli editori di pubblicità rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento (UE) 2022/2065, segnatamente le piattaforme online di dimensioni molto grandi. Ciò riguarda in particolare le informazioni sul finanziamento dei messaggi di pubblicità politica”.
Da parte sua, Meta come tutte le istituzioni americane del momento, definiscono le norme europee come “orwelliane” e fin troppo restrittive. Ecco dunque che il dissidio si sposta sul piano costituzionale e giuridico.
La normativa Ue e i paradossi tecnici
Per assurdo e teoricamente, una piattaforma online potrebbe realmente eliminare la pubblicità politica e giustificare l’azione come mitigazione dei rischi sistemici. Una mossa teoricamente prevista dal DSA (Digital Services Act), quella di valutare e mitigare eventuali rischi per l’integrità dei processi elettorali per evitare ogni incertezza o forma di disinformazione.
Tuttavia, la decisione di Meta non è compatibile con i pilastri fondanti dell’Ue, come la libertà di parola, stampa, espressione. E soprattutto trasparenza e democrazia.
Articolo di T.S.
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