Dal palazzo di Cristallo di New York, sede delle Nazioni Unite dove in questi giorni si sta svolgendo l’Annuale Assemblea Generale, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump è tornato a calcare la scena mondiale mostrando il volto più arrogante e pericoloso della politica contemporanea. Il suo recente discorso rivolto alla plenaria delle Nazioni Unite è infatti stato un sussiego di dichiarazioni sconfortanti sia per il contenuto, sia per la sua capacità di cambiare idea dalla sera al mattino. Ha definito patetiche le pale eoliche. Ha etichettato l’impronta ecologica come una truffa. Ha detto che se i Paesi non si sbarazzeranno delle energie rinnovabili saranno destinati al fallimento. Ha accusato l’immigrazione (additandola come invasione) e le politiche energetiche europee di causare la distruzione del continente. In ultimo ha puntato il dito sulla Cina che, a suo dire, produce più CO2 di tutte le nazioni cosiddette sviluppate messe insieme.
Tutto questo è avvenuto in pochi minuti, con un piglio, una scelta di vocaboli, un uso che definirei quasi ossessivo del pronome “io” con cui Trump ha provato a far passare il messaggio di essere l’unico depositario della verità assoluta; come se la sua voce fosse onnipotente e incontestabile. È evidente che ancora una volta siamo davanti a un’operazione politica che ignora volutamente la realtà dei numeri esprimendosi con i toni delle chiacchiere da bar e con i contenuti da lavaggio di cervelli e conclusioni assurde e contraddittorie: infatti dopo aver negato la crisi climatica dice “L’Europa perde ogni anno più di 175.000 persone a causa del caldo perché i costi dell’energia sono talmente elevati da non poter accendere un condizionatore”.
I dati scientifici però raccontano una storia, anzi una verità (perché le parole sono importanti) ben diversa che è essenziale tenere sempre da mente se non vogliamo cadere nella trappola delle fake news. Partiamo dal fondo: se è vero che oggi la Cina è il paese che in valore assoluto più contribuisce alle emissioni di CO2, la lettura corretta dovrebbe includere anche il dato procapite. Stando ai dati forniti dalla Banca Mondiale, nel 2023 un cittadino statunitense ha emesso in media 13,9 tonnellate di CO2, mentre uno cinese 9,4.
Quindi, se i cinesi vivessero come gli americani, ad oggi avremmo sicuramente già oltrepassato il baratro della crisi climatica. Trump quindi non solo non può essere giudice, ma il Paese che governa porta sulle spalle una responsabilità storica e presente nei confronti della crisi climatica che non si può negare. Proseguiamo: secondo gli ultimi report dell’ONU l’energia prodotta dal sole e dal vento è attualmente quasi sempre l’opzione meno costosa, più veloce da implementare ed efficiente. Questo dato è come uno spiraglio in fondo al tunnel del riscaldamento globale. Dico questo anche alla luce di un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature che dimostra due fatti abbastanza sconcertanti. La prima: quasi un quarto delle ondate di calore degli ultimi decenni sarebbe stato “praticamente impossibile” senza il riscaldamento globale trainato dall’uomo. La seconda: metà dell’aumento delle temperature registrate tra il 2000 e il 2023, e i relativi fenomeni meteorologici estremi a esse connessi, sono direttamente riconducibili alle emissioni delle grandi compagnie fossili. Si tratta di allarmi ben precisi che trovano riscontro nella quotidianità. Limitandosi all’America di Trump gli incendi che hanno colpito la città di Los Angeles a inizio 2025 hanno causato oltre 30 morti e danni per 65 miliardi di dollari. Mentre l’alluvione in Texas del luglio di quest’anno, durante la quale in poche ore è caduta l’equivalente di mesi di pioggia, è costata la vita a 135 persone. Come si può anche solo pensare di usare la parola “truffa climatica” di fronte a tragedie simili?
Trump nel suo discorso non si è limitato solo ad attaccare e negare la crisi climatica, ma ha anche definito le migrazioni un’invasione da respingere. E qui sta forse il controsenso più grande: migrazioni e clima sono infatti strettamente legati. La siccità, la desertificazione, gli incendi, le alluvioni, l’innalzamento dei livelli dei mari lasciano le persone senza altra possibilità al di fuori del lasciare le proprie terre. E se continuiamo a non fare abbastanza per contrastare e adattarci alla crisi climatica entro il 2050 i migranti climatici potrebbero essere centinaia di milioni. Questo richiederebbe, sin da ora, l’implementazione di politiche strutturali per la gestione dei flussi, dell’accoglienza e dell’integrazione affinché queste persone riescano davvero a migliorare la propria qualità di vita e al contempo siano una risorsa per il Paese che li accoglie. Parlare invece di invasione riferendosi a delle vite umane è profondamente svilente, vergognoso e politicamente ottuso.
Il vero dramma è che l’atteggiamento di Trump, e di chi la pensa come lui, si porta appresso conseguenze negative per tutti gli 8 miliardi di viventi. Ogni ritardo nella transizione ecologica, ogni attacco alle politiche di riduzione delle emissioni, si traducono in conseguenze planetarie. Aggiungo: ottant’anni fa, quando venne firmata la Carta delle Nazioni Unite che ne sanciva la nascita, non c’era ancora consapevolezza della questione ecologica. Oggi però sappiamo che la crisi climatica è probabilmente il campo più importante dove si gioca la partita della sopravvivenza della nostra specie. Rinnegarla è di per sé anacronistico. Rinnegarla nella sede dell’Organizzazione che è nata con l’obiettivo di promuovere la pace, la sicurezza e la cooperazione nella risoluzione dei problemi globali è anche un insulto a tutte le persone che, con speranza, dedizione e buona volontà, ogni giorno si impegnano nella costruzione di un futuro condiviso.
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