Deficit di alfa-1-antitripsina: necessario indagare a fondo le varianti rare del gene SERPINA1

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Dott.ssa Ilaria Ferrarotti (Pavia): “Le analisi genetiche sono fondamentali per stabilire come il singolo paziente debba essere seguito e con quale terapia” 

Al termine “mutazione genetica” siamo soliti associare l’idea di un cambiamento ben evidente. Il cinema e la letteratura hanno spesso giocato con questo concetto in relazione all’acquisizione di nuove capacità - i fan del film “La Mosca” e i lettori della saga a fumetti degli X-Men ne sanno qualcosa - ma in biologia le cose sono meno eclatanti (seppur fantasiose): non tutte le mutazioni genetiche implicano un guadagno, qualcuna esprime una perdita e altre ancora non hanno un chiaro significato. Il deficit di alfa-1-antitripsina (DAAT), condizione che predispone all’insorgenza di patologie respiratorie ed epatiche, è un esempio ideale di questa situazione, dal momento che si presenta in seguito alla comparsa di mutazioni del gene SERPINA1, che codifica per la proteina alfa-1-antitripsina (AAT): ad oggi si conoscono oltre 500 alterazioni a carico di questo gene, alcune benigne e altre correlate a forme non funzionali, a ridotti livelli circolanti o a una completa mancanza di AAT, con conseguenze che devono essere sempre accuratamente soppesate.

UN GENE OGGETTO DI MOLTI CAMBIAMENTI

Bisogna tenere presente che il gene SERPINA1, contenente le informazioni che servono ad assemblare la proteina AAT, è altamente polimorfico: ciò significa che può dare origine a variazioni nel DNA senza effetti marcatamente negativi sul fenotipo, ossia sull’insieme di caratteristiche esteriori di un individuo. Questo spiega l’enorme numero di mutazioni note e contribuisce a far comprendere per quale ragione queste meritino di essere esaminate.

In Italia le varianti a maggior frequenza del gene SERPINA1 riguardano specificamente gli alleli S e Z”, chiarisce la dottoressa Ilaria Ferrarotti, biologa e Responsabile del Laboratorio di Biochimica e Genetica presso la S.O.C. di Pneumologia Molecolare dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. “Entrambe le mutazioni provocano alterazioni nella struttura dell’AAT che ne riducono la stabilità e ne aumentano la tendenza a polimerizzare; in entrambi i casi si riscontra una carenza della proteina AAT, ma questo effetto è più marcato nel caso dell’allele Z e più lieve nel caso dell’allele S”.

Oltre a ciò, sono state scoperte delle “varianti rare” del gene SERPINA1 con un impatto rilevante sulla salute delle persone: in un recente studio clinico firmato dalla stessa dott.ssa Ferrarotti, pubblicato sulla rivista Pulmonology, sono stati esaminati i dati del Registro Italiano sul DAAT (RIDA1) ed è emerso che il 23,3% dei pazienti con un deficit severo di AAT aveva almeno una variante rara di questo gene, ma la fetta potrebbe allargarsi notevolmente se si considerasse l’intera popolazione italiana. 

TANTE VARIANTI GENETICHE RARE DISTRIBUITE IN DIVERSI PAESI, COMPRESA L’ITALIA 

Quali sono, dunque, le nuove varianti del gene SERPINA1 da tenere sotto osservazione? “In Italia è piuttosto diffusa la variante M-Malton (p.F75del), particolarmente presente in Sardegna. Questa mutazione, soggetta al cosiddetto effetto del fondatore [per cui una malattia è più frequente in una data regione poiché la mutazione da cui è prodotta interessa un ristretto gruppo di persone o rimane confinata in un sito specifico, N.d.R.], è stata trovata anche in certe aree della Spagna e del Nord-Africa”, precisa Ferrarotti. “Poi ci sono le varianti M-Procida (p.L65P) e M-Wurzburg (p.P393S): la prima si presenta con frequenze più elevate nell’Italia centrale e meridionale, la seconda è invece soggetta all’effetto fondatore in Germania e in alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale ed è perciò più diffusa nelle regioni italiane toccate da movimenti migratori provenienti da queste aree”. Inoltre, la M-Wurzburg tende a sovrapporsi con l’area di diffusione della variante Z e questo favorisce la creazione di genotipi “composti”. 

Una così grande varietà genotipica è il motivo per cui determinare la concentrazione di AAT su siero e identificare le varianti di SERPINA1 mediante processi di fenotipizzazione o tecniche di genotipizzazione si rivela cruciale nella diagnosi di DAAT. “Le varianti M-Procida e M-Wurzburg non producono alterazioni della proteina AAT che siano evidenti già dal tracciato elettroforetico, perciò la ricerca deve essere condotta a livello molecolare”, precisa la biologa pavese, sottolineando la necessità di indagare l’eventuale presenza del DAAT nelle persone con sintomi respiratori e nei loro familiari.

Esistono poi le varianti P-Lowell (p.D280V) e I (p.R63C) che, pur essendo patologiche, non danno luogo a un deficit grave come quello spesso innescato dalla presenza di varianti Z”, prosegue. “Ma se P-Lowell e I si combinano con le varianti Z diventano più difficoltose da studiare. Possono così crearsi svariate combinazioni con conseguenze persino sul grado di polimerizzazione, un aspetto che può provocare danno a livello epatico”. Infine, esistono le varianti Null (Q0), estremamente rare e localizzate prevalentemente in certe zone dell’Italia settentrionale e centrale e della Sicilia: in una lettera appena apparsa su ERS Open Research, la dott.ssa Ferrarotti, insieme a un gruppo di studiosi di diverse università europee, ha tracciato la carta d’identità di alcuni pazienti con un genotipo Q0Q0 osservando come essi siano più giovani rispetto alla media dei pazienti a cui viene diagnosticato il DAAT, con un Body Mass Index (BMI) più basso, un ridotto indice di FEV1 (volume espiratorio massimo nel 1° secondo) alla spirometria e più frequente riscontro di enfisema.

QUALI CONSEGUENZE A LIVELLO CLINICO?

Di certo, la distribuzione delle varianti rispecchia quella delle persone e concorre a scrivere un’affasciante pagina di genetica delle popolazioni, ma quali sono le conseguenze a livello fenotipico di una variante rara? Cioè, come si manifesta clinicamente l’informazione genetica legata a una data variante del gene SERPINA1? “In primo luogo va considerato l’effetto quantitativo di una nuova variante, cioè quanto è stabile la proteina ad essa associata e quante sono le possibilità che la sua carenza generi un danno polmonare”, chiarisce Ferrarotti. “Quelle fortemente instabili vengono riconosciute più rapidamente dai meccanismi di degradazione cellulare ed eliminate. Ne consegue una carenza plasmatica e, di conseguenza, polmonare. Le varianti che si presentano in eterozigosi, cioè in combinazione con un allele normale benigno, non producono deficit marcato di AAT. Altre ancora, in eterozigosi composta (cioè insieme ad un altro allele che causa deficit di AAT) possono produrre una carenza grave di AAT”.

Allo studio delle combinazioni va aggiunto quello sui meccanismi di polimerizzazione che differiscono da una variante all’altra e incrementano gli effetti infiammatori tipici del DAAT. “Abbiamo capito che esistono profonde differenze tra gli individui portatori di varianti più o meno rare a cui si sommano abitudini come il tabagismo e l’abuso di alcol o effetti ambientali come l’inquinamento”, specifica Ferrarotti. “Per tutte queste ragioni occorre che le persone con problematiche respiratorie si sottopongano al test per la verifica del DAAT e poi, eventualmente, procedano con il dovuto approfondimento genetico. Infatti, il dato biochimico costituisce l’inizio del percorso, mentre quello genetico stabilisce se il paziente abbia o meno una suscettibilità di danno epatico o polmonare, come debba essere seguito e con quale terapia”. 

UNA TERAPIA PER LE FORME SEVERE DI DAAT

Di fatto, una terapia di sostituzione enzimatica è oggi disponibile per quanti sono affetti da una carenza severa di AAT, a prescindere dal genotipo: il deficit di AAT è infatti considerato un fattore di rischio per condizioni, come l’enfisema, estremamente debilitanti. Qualunque genotipo che provochi una carenza severa di AAT può dare accesso alla terapia sostitutiva. Pertanto, il test genetico è una priorità. “Non tutti i pazienti con genotipo ZZ sono in terapia e non tutti hanno un danno polmonare”, spiega Ferrarotti. “Ma alcuni portatori di varianti patologiche rare possiedono caratteristiche fenotipiche tali da richiedere l’avvio al trattamento. Finché si pensava che esistessero solo poche mutazioni da ricercare l’accesso alla terapia era ristretto, ma oggi si sa che le mutazioni del gene SERPINA1 sono tante, alcune benigne, altre patologiche, altre ancora di significato incerto”. Dare il giusto significato a queste varianti significa trovare il percorso terapeutico più efficace.

“La risposta diagnostica deve essere il più accurata possibile”, conclude Ferrarotti. “Il genotipo è il criterio di ingresso ma l’osservazione clinica rimane quello di scelta della terapia. L’aumento delle conoscenze in campo genetico ci sta dunque portando a seguire i pazienti nel miglior modo possibile, sia dal punto di vista clinico che prognostico e terapeutico”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Enrico Orzes)