2 ottobre 2025
Investimenti per muovere l’Italia – Rapporti di Previsione di Confindustria
Scenario internazionale
1. Lo scenario internazionale è indebolito: l’aumento delle barriere tariffarie e non tariffarie pesa sulle prospettive degli scambi. Gli ostacoli al libero commercio internazionale non provengono soltanto dalla politica commerciale USA, ma interessano la maggior parte dei paesi: nei primi otto mesi del 2025 le misure protezionistiche varate nel mondo sono ai massimi.
Gli scambi globali hanno accelerato nel 1° trimestre 2025 per il cosiddetto frontloading delle vendite negli Stati Uniti, cioè l’anticipo delle tariffe poi introdotte in aprile sulla quasi totalità delle merci in entrata; viceversa, nel 2° trimestre si è avuta una brusca correzione al ribasso.
Nello scenario del Centro Studi Confindustria (CSC), il commercio mondiale crescerà in media del +2,8% nel 2025, ma poi frenerà al +1,2% nel 2026 (Tabella A): rispetto al rapporto di aprile, la dinamica è rivista al rialzo nell’anno in corso proprio per l’effetto meccanico del frontloading a inizio anno, ma molto al ribasso nel prossimo.
Restano, inoltre, significativi rischi sfavorevoli, legati soprattutto a un eventuale inasprimento della contrapposizione economica e politica tra grandi blocchi di paesi a livello mondiale.
Incertezza
Un freno alla crescita mondiale viene anche dall’incertezza che resta su livelli elevatissimi: l’indice di incertezza delle politiche economiche a livello globale ha toccato un picco nell’aprile 2025, scendendo in estate, ma restando su un livello pari a quello registrato nel 2020, durante la pandemia.
Il contributo maggiore a tale incertezza proviene proprio dalla politica commerciale degli USA: nonostante il raggiungimento di accordi con i principali partner commerciali americani, che ha contribuito a chiarire la nuova situazione tariffaria con il primo acquirente mondiale, rimane sia il rischio di ulteriori cambiamenti, sia il mancato accordo con alcuni paesi.
Tale scenario incerto rende i mercati finanziari più volatili, penalizza le decisioni di investimento, in particolare quelle internazionali, e spinge a riconfigurare le catene di fornitura mondiali.
L’economia più danneggiata dai dazi è proprio quella degli Stati Uniti. Gli indicatori congiunturali sembrano suggerire ancora debolezza nella seconda parte di quest’anno.
La politica monetaria è un po’ meno restrittiva, ma il recente taglio dei tassi ufficiali farà sentire i suoi effetti positivi sugli investimenti solo tra qualche trimestre. Inoltre, le aspettative di inflazione suggeriscono un’accelerazione dei prezzi e mettono a rischio ulteriori tagli dei tassi e anche una crescita più robusta dei consumi.
Come risultante di tali fattori, si ipotizza che l’economia statunitense mantenga un ritmo di crescita molto più moderato di quello del 2024, per recuperare un po’ di slancio solo a fine 2026. Nello scenario del CSC la crescita del PIL è attesa in frenata al +1,7% nel 2025 e +1,6% nel 2026, dal +2,8% nel 2024. Viene rivista al ribasso nonostante il rimbalzo superiore alle attese nel 2° trimestre 2025, dopo il calo a inizio anno, un’altalena da attribuirsi all’introduzione dei dazi.
Le economia emergenti
Nonostante il deterioramento del contesto internazionale a causa delle politiche protezionistiche, le economie emergenti continueranno a vantare ritmi di crescita sostenuti, in aggregato al +4,1% per il 2025 e +4,2% nel 2026, seppur in ribasso rispetto alle previsioni CSC di aprile.
Questo è il risultato di una riconfigurazione negli scambi commerciali e degli investimenti, che si orientano sempre più verso il baricentro asiatico, trainato principalmente dalla Cina (che continua a espandersi a ritmi vicini al +5,0%) e anche dall’India (che registra la crescita maggiore tra i primi 20 emergenti).
La Russia, colpita dalle sanzioni occidentali ma sostenuta dal rafforzamento delle relazioni economiche con Pechino, è attesa stabilizzarsi su ritmi di crescita più moderati, ma in ogni caso positivi.
In generale nei paesi emergenti prosegue il calo dell’inflazione, sono sotto pressione i tassi di cambio di diversi paesi, peggiorano i saldi commerciali, le politiche fiscali restano espansive.
Dazi USA
I dazi USA verso il resto del mondo stanno ridisegnando la geografia degli scambi globali, in particolare quelli con l’Europa. Il nuovo regime tra le due sponde dell’Atlantico ha acquistato connotazioni abbastanza definite: tariffe azzerate sugli acquisti UE di prodotti industriali USA; dazi al 15% su gran parte dell’import USA dalla UE (compresi auto, farmaci non generici, semiconduttori); tariffe USA nulle o quasi su altri prodotti UE in settori strategici (aerei, farmaci generici, alcune risorse naturali); restano i dazi al 50% su acciaio e alluminio.
L’accordo include impegni da parte europea di esito incerto, perché investono ambiti di competenza delle autorità nazionali e anche delle imprese private: acquisto dagli Stati Uniti di beni energetici, chip IA e attrezzature militari; investimenti diretti in settori strategici USA.
Questi dazi, insieme all’euro forte sul dollaro (che essi stessi hanno determinato), penalizzano molto la competitività di prezzo dei beni europei negli USA, soprattutto rispetto alle produzioni domestiche americane, e anche nel resto del mondo. Dopo il frontloading pre-dazi, l’import USA dalla UE è caduto del -8,7% annuo in giugno-luglio; quello dalla Cina del -39,9% (in linea con il peso delle entrate tariffarie per paese di origine). Nel lungo periodo, è forte l’incentivo a rilocalizzare alcune produzioni nel mercato USA: il rischio per l’industria europea è quello di perdere parti vitali del tessuto produttivo.
Lo scenario del”economia europea
2. L’economia europea risente del peggiorato scenario globale: la crescita del PIL dell’Eurozona nell’orizzonte previsivo è inferiore a quella americana, arrivando al +1,2% nel 2025 e al +1,1% nel 2026.
Per il 2025 si tratta comunque di un’accelerazione dopo il +0,9% del 2024, ma è spiegata soprattutto dalla decisa espansione nel 1° trimestre, drogata dal dato anomalo relativo all’Irlanda. Nell’Area, gli investimenti sono stati finora molto volatili, mentre i consumi sono più stabili ma su ritmi deboli.
Le esportazioni nette hanno beneficiato dell’effetto frontloading a inizio anno, ma poi hanno sofferto il rimbalzo negativo in primavera. Questo andamento altalenante si è riflesso anche sui dati relativi all’industria europea, che nel complesso ha registrato dei segnali positivi ma in gran parte per soddisfare a inizio 2025 la domanda proveniente dagli USA per anticipare i dazi. E senza aver risolto le difficoltà strutturali, come lo svantaggio sui costi energetici rispetto agli USA.
In prospettiva, gli indicatori congiunturali non promettono una ripartenza solida dell’economia europea. L’andamento nel prossimo futuro è legato all’attesa ripartenza degli investimenti, che ancora non hanno preso una direzione chiara e che potrebbero beneficiare nel 2026 dei minori tassi e del traino di settori in crescita, come la difesa.
Economia tedesca
Cruciale sarà la traiettoria su cui riuscirà a posizionarsi la prima economia dell’Area. Dopo due anni di lieve recessione nel 2023-2024, il PIL della Germania ha registrato un 1° semestre 2025 sostanzialmente piatto. In particolare, il calo nel 2° trimestre non è dovuto solo all’effetto di frontloading su export e import, visto che sono nuovamente scesi anche gli investimenti.
L’economia tedesca, dunque, non è ancora uscita dalla crisi, ma grazie agli effetti positivi delle recenti riforme è attesa rafforzarsi progressivamente, per tornare a crescere dal 2026 a tassi sopra il +1,0%. Infatti, il Governo di recente ha approvato un emendamento costituzionale al “freno all’indebitamento” e varato un programma di riforme strutturali per facilitare gli investimenti in infrastrutture e le spese per la difesa. È stato, inoltre, creato un fondo di 500 miliardi di euro per 12 anni, anch’esso escluso dal freno al debito, per migliorare le infrastrutture tedesche, tra cui ferrovie, strade, ospedali.
Nel corso dell’estate si sono incominciati a vedere segnali di una ripresa, seppur lenta, in numerosi indicatori, compresa la produzione industriale. Il consolidamento di questi segnali dipenderà dai tempi e modi in cui il Governo tedesco riuscirà a implementare il massiccio piano di investimenti.
Ruolo della BCE
Intanto, la BCE ha completato il taglio dei tassi: a settembre 2025 li ha tenuti fermi al 2,00%, dopo un rapido percorso di otto tagli di un quarto di punto ciascuno da giugno 2024 a giugno 2025, partendo da un picco del 4,00%: l’allentamento monetario nell’Eurozona è stato pari a -2,00 punti. La BCE può contare su un’inflazione stabile negli ultimi mesi, vicino all’obiettivo del +2,0% e anche le aspettative di inflazione nell’Area sono stabili, sebbene restino numerosi rischi nello scenario, in particolare sui prezzi delle commodity. La stance monetaria, grazie ai tagli, non è più restrittiva e le condizioni di finanziamento sul canale bancario sono divenute più favorevoli.
Nel complesso, dai documenti ufficiali BCE si ricava il messaggio che in assenza di altri shock, la correzione di politica monetaria è sufficiente per il momento. Le attese dei mercati finanziari sono coerenti con tassi fermi nell’orizzonte di previsione. Perciò, lo scenario CSC ipotizza che non ci saranno ulteriori tagli dei tassi, anche se resta una probabilità positiva che la BCE decida, invece, di riprendere nei prossimi mesi il percorso dei tagli, per sostenere la debole crescita europea.
Il costo dell’energia
Riguardo al costo dell’energia, le notizie sono in parte positive. Il prezzo del petrolio Brent registra un trend di lieve calo, pur con significative oscillazioni che riflettono l’alternarsi di notizie sulle guerre in Ucraina e Medio-Oriente.
I valori recenti sono in linea con quelli storici di equilibrio per il mercato mondiale (60-70 dollari), a conclusione della lunga fase di aggiustamento del mercato fisico dopo il 2022. L’ipotesi prudente dello scenario CSC è che il Brent scenda in media a 67 dollari nel 2025 (da 81 nel 2024) e a 62 nel 2026. Anche il prezzo del gas in Europa è sceso, ma meno: 32 euro/mwh nell’agosto 2025, rispetto al massimo di 50 euro toccato a febbraio.
I timori di scarsità sui volumi di gas restano moderati e i mercati si aspettano ora il permanere dei prezzi vicino ai valori attuali. Tuttavia, le quotazioni del gas europeo restano molto alte rispetto ai livelli pre-pandemia (14 euro nel 2019), a causa della transizione attuata in Europa dal 2022 e ormai completata, verso il gas naturale liquefatto (GNL), più costoso, e verso paesi fornitori alternativi alla Russia, politicamente instabili.
Il prezzo in Europa resta, inoltre, molto più alto di quello negli USA, circa tre volte in più, visto che la quotazione sul mercato americano è tenuta bassa dal boom dell’estrazione di shale gas.
Accordi commerciali
Per l’Europa, la conclusione di accordi commerciali costituisce uno strumento essenziale per contrastare la frammentazione degli scambi internazionali. Il trattato di libero scambio tra UE e Mercosur è arrivato a conclusione, in attesa della ratifica politica. L’accordo rappresenta una liberalizzazione tariffaria asimmetrica: l’UE concede un accesso ai beni agricoli sudamericani contenuto e legato alle norme di sicurezza alimentare, mentre ottiene un’ampia apertura nei settori industriali e dei servizi.
Il Mercosur (in particolare Brasile e Argentina) svolge anche un ruolo cruciale come fornitore all’Europa di materie prime critiche, fondamentali per la realizzazione della transizione digitale ed energetica. L’area di libero scambio che si verrà a creare sarà formata da più di 700 milioni di persone, che producono circa un quinto del PIL globale: quasi il 40% in più in termini di popolazione rispetto all’USMCA (Stati Uniti, Messico e Canada), il 10% in meno in termini di PIL.
Tutto questo favorirà un’espansione significativa delle esportazioni UE, rafforzando anche i legami produttivi già presenti. Sono perciò attese in recupero le quote di mercato nei paesi del Mercosur da parte dei paesi UE, da poco superati dalla Cina come primo partner commerciale.
Oggi i primi due paesi europei per quota di mercato nel Mercosur sono la Germania e l’Italia, soprattutto come fornitori di beni strumentali. Questi due paesi sono le economie europee maggiormente beneficiarie dell’abbattimento dei dazi con il Mercosur, poiché presentano una specializzazione merceologica nei settori in cui la riduzione delle aliquote tariffarie sarà più forte.
La crescita in Italia
3. Penalizzata dal difficile contesto globale ed europeo, la crescita in Italia resterà bassa nell’orizzonte di previsione (Tabella B): secondo lo scenario CSC, si avrà un incremento annuo del PIL pari ad appena il +0,5% nel 2025, inferiore di 0,1 punti a quanto previsto nello scenario di aprile. La crescita italiana è attesa accelerare di poco nel 2026, a +0,7%, tornando sui ritmi del 2024.
La dinamica annua dell’economia è frenata in particolare dalla battuta d’arresto nel 2° trimestre 2025, quando il PIL italiano è diminuito di 0,1%, a causa della caduta delle esportazioni. La debole dinamica del PIL, sia nella media del 2025 che nel 2026, sarà sostenuta prevalentemente dagli investimenti, in minor misura dai consumi delle famiglie, mentre contribuiranno negativamente le esportazioni nette.
Commercio internazionale
La componente più debole della domanda in Italia sono le esportazioni. Nello scenario CSC, la crescita dell’export di beni e servizi, già molto debole nel 2023-2024, si attesterà su ritmi vicini allo zero nel 2025-2026; in particolare, le vendite di beni sono previste in calo. Le importazioni, invece, saranno in aumento e di conseguenza l’export netto offrirà un contributo molto negativo alla variazione del PIL.
Il profilo dell’export è rivisto significativamente al ribasso rispetto al rapporto di aprile, a causa del balzo delle barriere tariffarie USA sui prodotti europei e dell’inasprirsi delle tensioni geopolitiche mondiali. L’export di beni, inoltre, perde terreno anche rispetto al commercio mondiale, perché è ancora debole la domanda in Europa (principale destinazione dei prodotti italiani) e perché l’euro forte penalizza la competitività dei prodotti di tutta l’Eurozona.
Le prospettive non sono buone, visto che l’attività industriale europea è attesa risalire solo gradualmente e i freni protezionistici e geopolitici appaiono duraturi. In positivo, la ratifica dell’accordo UE-Mercosur aprirebbe importanti mercati di sbocco, a parziale compensazione delle barriere sul mercato USA.
Gli investimenti fissi
Viceversa, la componente di domanda più robusta in Italia sono gli investimenti fissi. Dopo il rallentamento nel 2024 (+0,5%), la loro dinamica è tornata a rafforzarsi tra fine anno scorso e prima metà del 2025. Sono attesi rimanere in espansione nella seconda parte di quest’anno (+3,0% in media) e rallentare il prossimo (+1,9%). Oltre che giovarsi della politica monetaria non più restrittiva, che avrà un impatto attenuato l’anno prossimo, gli investimenti sono stati stimolati efficacemente dagli incentivi fiscali.
Quelli in costruzioni residenziali, caduti nel 2024 ma in ripresa quest’anno, sono sostenuti da Ecobonus e Bonus Ristrutturazioni, pur depotenziati rispetto al passato; quelli in macchinari e attrezzature e intangibili, da Transizione 4.0 e, dopo le ultime semplificazioni, anche da Transizione 5.0; il PNRR sta trainando gli investimenti in fabbricati non residenziali, un traino che si affievolirà nel 2026 per il termine a metà anno del Piano.
Consumi delle famigli
I consumi delle famiglie italiane hanno frenato nella prima metà del 2025, in particolare la domanda di beni, mentre la spesa per servizi è cresciuta a ritmi moderati.
Nello scenario previsivo del CSC, i consumi sono attesi avere una crescita modesta anche nei prossimi trimestri, arrivando a +0,5% nella media del 2025 e a +0,7% nel 2026. La causa principale di tale dinamica debole è l’alta propensione al risparmio, causata dall’anomala incertezza, che quest’anno frena l’effetto positivo dell’espansione del reddito delle famiglie; per il prossimo anno, il modesto calo ipotizzato per il tasso di risparmio lascia, invece, un po’ di spazio all’espansione dei consumi.
Le famiglie, dunque, mostrano abitudini di consumo e risparmio strutturalmente più caute, dati gli elevati risc