Amiloidosi e malattie rare nell’anziano: SIMG impegnata nella formazione dei medici di medicina generale

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L’intervista al Dr. Gaetano Piccinocchi, Giunta Nazionale SIMG: “Fino ad ora iniziative sporadiche, ora necessario un approccio sistematico” 

Riguardo la formazione dei medici di medicina generale nell'ambito delle malattie rare, specie quelle che colpiscono prevalentemente i pazienti anziani, fino ad ora non si è fatto abbastanza.” Sono le parole del Dr. Gaetano Piccinocchi, Giunta Nazionale SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) e Rappresentante SIMG al Comitato Nazionale Malattie Rare del Ministero della Salute. “Le iniziative sul territorio nazionale sono state molto sporadiche. Sarebbe necessario, quindi, adottare un approccio più strutturato e sistematico su questo tema. Attualmente la formazione dei medici di famiglia è demandata alle singole ASL: il nostro contratto ci obbliga a 40 ore annue di formazione, che dovrebbero essere organizzate dall'azienda sanitaria di appartenenza. Questo, in realtà, non avviene quasi mai.”

LA FORMAZIONE SULLE MALATTIE RARE DEVE ESSERE OBBLIGATORIA

Disattendere la formazione obbligatoria vuol dire venir meno a una norma contrattuale. “Il medico – spiega Piccinocchi – come tutti i professionisti sanitari, è obbligato a conseguire i suoi crediti formativi ECM (educazione continua in medicina). Ma se si lascia al singolo professionista la scelta del bisogno formativo, è ovvio che sceglierà quegli argomenti che reputa gli siano più congeniali, più interessanti, più consoni alla sua attività professionale. Se durante la mia attività lavorativa dedico la maggior parte del tempo alle patologie croniche, al diabete o all'ipertensione, è ovvio che sarò più portato ad aggiornarmi sui temi con i quali quotidianamente mi confronto. Le malattie rare sono un tema di nicchia, quindi non rappresentano un bisogno formativo da soddisfare, o almeno, in una ipotetica scala di priorità, non sono certo all'apice. Ecco perché occorrerebbe inserire questo argomento nelle 40 ore obbligatorie.

“Come componente del Comitato Nazionale Malattie Rare del Ministero della Salute, insieme al professor Limongelli e ad altri colleghi abbiamo proposto di sollecitare le regioni affinché nei piani formativi regionali (e quindi di conseguenza aziendali) siano inserite anche delle tematiche che riguardano non una singola patologia, ovviamente, ma in generale la problematica delle malattie rare.”

Anche le società scientifiche sono sensibili al problema: la SIMG (Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie), di cui Piccinocchi è responsabile nazionale per le malattie rare, ha promosso diversi corsi periferici, a partire da quelli organizzati anni fa nell'ambito del progetto formativo “Conoscere per assistere”, dedicato ai medici di famiglia delle varie regioni d'Italia. “Nel 2024 lo abbiamo ripetuto sotto forma di FAD (formazione a distanza), ma purtroppo non ha riscosso il successo che ci aspettavamo: evidentemente i corsi residenziali sono più graditi rispetto alla FAD, perciò stiamo pensando di tornare ai corsi in presenza sulle malattie rare, in collaborazione con le aziende sanitarie e le società scientifiche. Per quanto riguarda invece, nello specifico, l'amiloidosi cardiaca, procede con ottimi risultati il progetto che stiamo portando avanti in Campania con il prof. Giuseppe Limongelli (descritto nel capitolo 9 del libro bianco “Medicina di genere «anziano»: l’esempio dell’amiloidosi cardiaca”)”. 

IL PROGETTO DELLA CAMPANIA 

Il progetto coinvolge il centro del prof. Limongelli presso l'ospedale Monaldi e una cooperativa di 170 medici di famiglia che gestisco a Napoli. “Tutti questi medici sono informatizzati e collegati in rete: abbiamo un database di circa 200.000 pazienti napoletani. La possibilità di interrogare questo database ci permette di far emergere tutta quella popolazione di pazienti che presentano i fattori di rischio, i cosiddetti “red flags”. Il professor Limongelli ci ha sottoposto a un percorso formativo specifico sull'amiloidosi e poi ci ha invitato a estrarre dai nostri database tutti i pazienti che avessero determinate caratteristiche, che corrispondevano ai fattori di rischio dell'amiloidosi. Sono così emerse alcune centinaia di pazienti che presentavano questi criteri di inclusione e che ora stiamo inviando al centro di riferimento dell'ospedale Monaldi.” 

Lì vengono sottoposti a indagini di secondo e terzo livello, come la scintigrafia e altre ancora, per appurare se questi pazienti siano poi realmente affetti. “In tal caso saranno messi in terapia con i farmaci che il prof. Limongelli riterrà opportuni”, prosegue l’esperto. “Abbiamo già avuto dei casi confermati, fra i quali uno è proprio un mio paziente, che curavo da tempo per lo scompenso cardiaco. Aveva avuto anche il tunnel carpale, ma allora né io, né il collega cardiologo con cui da anni condividevo la gestione del paziente, sapevamo che il tunnel carpale abbinato allo scompenso fosse un fattore di rischio per l'amiloidosi. Purtroppo non ci si è accesa la lampadina e non abbiamo pensato di approfondire, e questo è emblematico rispetto al problema della formazione, che dev'essere fatta a tutti i livelli, anche a livello specialistico.”

“I pazienti che hanno presentato almeno due fattori di rischio (circa 400) verranno quindi visitati, a partire da quelli – una quindicina – con ben quattro fattori di rischio, ovvero una percentuale piuttosto elevata di probabilità di patologia. Il prof. Limongelli, addirittura, sta lavorando per avere un ambulatorio dedicato esclusivamente a questo progetto: fino ad oggi, infatti, i pazienti confluivano in quella che è la normale routine ambulatoriale del centro.”

UN PROGETTO REPILICABILE FACILMENTE

Questo metodo potrebbe essere applicato anche ad altre malattie: “Avendo a disposizione questi enormi database, una volta che lo specialista ci dice quali sono gli indicatori da ricercare, possiamo fare una query su qualunque tipo di patologia. I dati ci sono, tutto sta nel saperli estrarre. Adesso stiamo facendo lo stesso lavoro con i nefrologi, in modo da evitare di inviare loro tardivamente i pazienti ipertesi e diabetici, che possono andare in insufficienza renale. Anche in questo caso, incrociando i fattori di rischio come l'ipertensione, il diabete e una creatininemia superiore a un determinato livello, abbiamo individuato un gran numero di pazienti che stanno lentamente scivolando verso l'insufficienza renale.” 

L’AGEISMO: UN PROBLEMA DA NON SOTTOVALUTARE

Un altro problema è il cosiddetto ageismo, ovvero il fatto che il paziente anziano non venga seguito e trattato a dovere. “Forse è un tema che ci riguarda un po’ meno rispetto agli specialisti: i nostri ambulatori sono frequentati per tre quarti da pazienti anziani, quindi questa problematica è un po' meno sentita. Il tema è però un po’ più complesso: molte patologie si manifestano con sintomi e segni che sono aspecifici e comuni ad altre patologie. L'esempio dell'amiloidosi è eclatante, perché in un paziente ultra-settantacinquenne scompensato, la dispnea, l'affanno, gli edemi agli arti inferiori, sono tutti sintomi legati allo scompenso cardiaco, quindi si ritiene normale che il paziente abbia i piedi gonfi o l'affanno quando sale le scale. Non siamo portati a ricercare un'ulteriore diagnosi, avendone già una che soddisfa tutti i criteri. Mentre nel giovane non si possono trascurare sintomi come l'affanno e la stanchezza, nel paziente anziano c'è una maggiore difficoltà nel fare diagnosi di malattia rara.”

Occorrerebbe quindi maggiore attenzione, e questa nasce necessariamente dalla formazione. “Ricordiamoci che non spetta al medico di medicina generale fare diagnosi di malattia rara; spetta a noi, però, sospettarla, nel momento in cui ci troviamo di fronte a qualcosa di non comune. La formazione rivolta ai medici di medicina generale, quindi, dovrebbe essere basata sulla cultura del sospetto.”

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Francesco Fuggetta)