di Aldo Bonomi   Microcosmi – Il Sole 24Ore

Eventi e turismi sono flussi leggeri e pesanti per chi li ritiene intrattenimento o addirittura alternativa possibile ad un declino industriale. Ci aiuta a metterci in mezzo a retoriche da aut aut l’annuale rapporto Federculture su impresa ET cultura che ci dà numeri e riflessioni sul turismo culturale in Italia. Numeri delle risorse ministeriali di cui si chiede un riorientamento «se oltre il 50% delle motivazioni turistiche, internazionali e nazionali, hanno caratteristiche culturali». Anche a supporto dei comuni con risorse scarse e con i privati e le fondazioni che ci investono producendo i numeri che ci collocano al terzo posto europeo come attrattivi dei turismi. Non dimenticando i numeri di quelli che lavorano comunicando interroganti nel loro essere per metà 47,6 autonomi di cui 41,3 partita iva individuale e il 43,5 dipendenti. Una nebulosa che stimando un po’ di sommerso e di lavoro volontario mette al lavoro più di 1milione di addetti che strutturano la società dello spettacolo. Numeri che letti con gli occhiali del Novecento ci fanno dire che l’aut aut tra Made in Italy da eventi e turismi o da manifattura non ha senso come non lo aveva quello tra piccolo e grande nella manifattura.
La lettura disincantata del rapporto ci invita a riflettere senza ironia da società dello spettacolo che in tempi di AI struttura ed anticipa comportamenti collettivi. La lettura fredda dei dati sui lavori svela quella faglia generazionale per cui la metà degli assunti tocca i 50 e l’altra metà sono giovani lavoratori della cultura e della creatività con microimprese che tengono assieme tanto senso del far cultura e spesso poco reddito. E il rapporto ci indica anche dove guardare per capire quando i flussi degli eventi e dei turismi precipitano nei luoghi creando “nuove fabbriche” territoriali: i festival culturali che sono stati nel 2024 oltre 3mila.I festival sono espressione di due tipi di contesti territoriali: da un lato, delladimensione urbana e della vocazione turistica di città medie e grandi con forti dotazioni di patrimonio storico, istituzioni del sapere, infrastruttura ricettiva e culturale; dall’altro lato, crescono nei territori del margine, dove nei piccoli comuni-polvere il festival diventa percorso dove fare condensa dell’identità locale, rigenerare l’immagine dei luoghi e la loro attrattività.

Sul piano organizzativo sono sempre mix di volontariato e dimensione di impresa culturale, in vitro o già dispiegata, con i problemi che caratterizzano le condizioni del lavoro già raccontate. Le testimonianze raccolte nel rapporto sottolineano due traiettorie. I grandi eventi metropolitani o anche di città medie, generati da coalizioni istituzionali e cresciuti come grandi macchine dell’industria culturale (da qui la corsa per essere Capitale della Cultura) e gli eventi esito di un movimentismo territoriale dal basso che diventano forme di aggregazione e costruzione di una dimensione territoriale oltre la comunità locale. In quanto eventi sono solo la parte emersa e visibile di un iceberg costituito dalla piattaforma culturale sottostante che innerva e sostiene il progetto culturale di cui il festival è espressione. Il festival-evento e il festival-piattaforma sono dimensioni inscindibili. Se il primo si regge sulla capacità di mettere a valore il capitale sociale di reti di fiducia delle città, l’urbanità, l’altro ridisegna nei territori la densità della prossimità. Partono dalla cultura per costruire piattaforme che superano il singolo luogo per creare reti di area vasta, e questo vale sia nelle aree interne che nelle città. Questo rimanda alla capacità dei festival di rigenerare legami e coesione sociale assumendo quasi il significato di una tendenza neomunicipalista ed allargandosi in alcuni casi a sperimentare un ruolo di welfare culturale. Rispondendo anche all’esigenza di cercare momenti di autocoscienza e di ricostruzione della sfera pubblica, in tempi di crisi della rappresentanza e della politica sembrano tratteggiare forme e tracce di corpi intermedi del sentire. Magari attraverso eventi prepolitici di racconto, di sussurri da ascoltare delle tendenze sociali e anche di riposizionamento delle rappresentanze nelle economie dei territori; oppure ancora come vettori che portano i temi, i saperi e i protagonisti della scena culturale dei centri globali nel locale. Momenti di rappresentazione per provare a riscoprire il valore politico dell’essere in comune che guardando ad alcune delle esperienze raccontate da Federculture, tracciano nuove forme di istituzione culturale. Utili per mettersi in mezzo in tempi di verticalizzazione.