«Siamo come smarriti davanti a tanto male, e sentiamo che la bomba atomica tanto temuta sull’orizzonte dell’umanità e simbolo di apocalittiche distruzioni, in realtà è già scoppiata al centro del cuore dell’uomo»[1]. Quando Carlo Carretto scrive queste parole sono gli anni Ottanta: il mondo vive nell’ombra della Guerra Fredda, sospeso tra arsenali nucleari e sogni di progresso illimitato. Eppure, quelle righe risuonano come un giudizio sul presente. Perché quella bomba – simbolo del male che deflagra dentro – è ancora la cifra della nostra epoca: guerre diffuse come metastasi, un pianeta esausto sotto il peso del profitto, la tecnica divenuta potenza senza sapienza.
Carretto intuisce che la crisi dell’uomo non è politica né economica, ma spirituale: una frattura interiore, una dimenticanza del cuore. Il suo sguardo profetico non denuncia solo l’apocalisse possibile, ma la desertificazione dell’anima, quella condizione di smarrimento dell’uomo in un mondo che non respira più. Le sue parole, nate nell’esperienza dell’Azione cattolica e irrobustite nel deserto del Sahara e di Spello, non gridano contro la modernità: la interrogano. E ci costringono a chiederci se abbiamo ancora la forza di credere nel rinnovamento dell’umanità, o se viviamo solo di «una triste speranza, [quella di] una pace che si regge sulla paura»[2] più che nell’amore.
Dio conosce l’abisso del cuore umano
Di fronte alla constatazione del male di cui l’uomo è capace, Carretto non si dà tregua. Non può accettare che il mistero dell’iniquità cancelli la parola originaria di Dio, la benedizione racchiusa in Genesi (cf. Gen 1, 31). «Affermare che il cielo e la terra sono cose buone nonostante i terremoti, passi; ma dire la stessa cosa parlando dell’uomo, e in più con l’aggiunta era cosa molto buona, si è portati a dubitare. Perché l’uomo non è soltanto Adamo, è Caino, non è soltanto cosa buona, è cosa perversa: è mafia, camorra, lussuria, violenza, tenebra, guerra e cose del genere»[3]. Proprio in questa vertigine Carretto scorge la profondità dell’amore di Dio, il quale conosce l’abisso del cuore umano e tuttavia lo ama; non nega il male, ma lo attraversa.
È l’atto di fede di un padre verso i suoi stessi figli, un rischio d’amore che continua a sostenere la storia. Se Dio ha detto che l’uomo è «cosa molto buona», allora questa bontà non può essere cancellata nemmeno dal peccato. È la fede stessa che obbliga a credere nell’uomo, non per ingenuità antropologica, ma per fedeltà teologica. Perché credere nella possibilità che l’uomo sia salvo significa credere in Colui che lo salva. «Gesù è il Figlio di Dio e salva l’uomo»[4]. La fede non è altro che un atto di adesione all’Amore che si è fatto umano. Credere nell’uomo, allora, significa riconoscere in lui la traccia del trascendente, la possibilità sempre aperta di una risurrezione.
L’uomo è salvato perché è amato
L’uomo è salvato perché è amato. È questo l’asse portante della teologia di Carretto: la fede come abbandono fiducioso nell’Amore che precede ogni merito e ogni peccato. Carretto è l’amato che ama. Tutto in lui ruota attorno a tale passione ardente: lasciarsi amare da Dio per poterlo amare in ritorno. «Per possedere la vita che è Dio stesso bisogna amare. È la vocazione di tutti e la mia vocazione […] È il gioco dell’amore. Dio sollecita in noi gusti che sono i suoi gusti, poi ce li fa chiedere e donandoceli ci accontenta e fa ciò che non può fare a meno di fare: la sua divina volontà. Così capita nell’amore!»[5]. È il paradosso dell’amore divino: Dio desidera che l’uomo desideri la Sua volontà, e in questo scambio si compie la salvezza. Tuttavia, Carretto sa per esperienza che l’amore di Dio non è una presenza costante e rassicurante, ma un dialogo tra assenza e desiderio.
D’altronde «l’amore ha sempre qualcosa di irrazionale; e un po’ di quello che noi chiamiamo pazzia c’è sempre in questa sintesi di misteri»[6]. Carretto arriva a toccare la verità più profonda del cristianesimo, «l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (DCE, 1). Ne diviene testimone, facendo della fede un atto d’amore, della speranza un atto di fiducia, e dell’amore stesso una forma di conoscenza. È quanto afferma scrivendo che «la fede è come la placenta che avvolge il feto»[7]: essa è il grembo in cui Dio e l’uomo imparano a respirare insieme.
Chi è toccato dall’amore di Dio non può che farsi dono
La sua parola allora non è quella di un asceta distaccato dal mondo, ma di un amante ferito e fedele. Egli ha creduto che, se «Dio è Amore» (1Gv 4,8), allora tutto ciò che rimane all’uomo è lasciarsi amare, persino nel buio. Perché la fede è «l’autentica prova dell’amore»[8]. Nella «pazzia del credere»[9] c’è la verità più lucida del Vangelo: Dio salva amando, e l’uomo si salva accettando di essere amato. Da questo amore siamo rigenerati, trasfigurati e resi capaci di amare a nostra volta. Chi è toccato dall’amore di Dio non può che farsi dono, «pane per dare la vita, vino per dare la gioia»[10].
È la sintesi di una fede che contempla e agisce, che prega e costruisce: la stessa che Carretto ha vissuto nella propria biografia, mai sottraendosi alle responsabilità del tempo, mai rifugiandosi in una spiritualità evasiva, ma ponendosi ogni giorno quale discepolo alla sequela del maestro. In questa fedeltà operosa si misura la forza del suo messaggio, che oggi più che mai interpella la Chiesa e il mondo. In questa direzione va infatti il desiderio dell’Ave, casa editrice dell’Azione cattolica, di ridare slancio alla sua figura e al suo pensiero attraverso la pubblicazione dei suoi scritti: strumenti vivi per formare una coscienza cristiana più profonda e autentica, capace di leggere i segni dei tempi e di rispondere con coraggio alle urgenze della storia.
[1] C. Carretto, E Dio vide che era cosa buona, Ave, Roma 2008, p. 23.
[2] C. Carretto, Io, Francesco, Ave, Roma 2025, p. 21.
[3] C. Carretto, E Dio vide che era cosa buona, Ave, Roma 2008, p. 19.
[4] C. Carretto, Io, Francesco, Ave, Roma 2025, p. 24.
[5] C. Carretto, Diario nel deserto. El-Abiodh, appunti spirituali 1954-1955, Ave, Roma 2024, p. 88.
[6] C. Carretto, Il Dio che viene, Ave, Roma 2023, p. 91.
[7] C. Carretto, Il Dio che viene, Ave, Roma 2023, p. 95.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] C. Carretto, Diario nel deserto. El-Abiodh, appunti spirituali 1954-1955, Ave, Roma 2024, p. 61.