Proprio ieri, 16 ottobre, è stato reso noto al pubblico il documento di sintesi del Cammino sinodale – Lievito di pace e di speranza – che la terza Assemblea sinodale delle Chiese in Italia approverà il 25 di ottobre. Né sappiamo esattamente attraverso quali scelte verrà data attuazione alle tante proposte e ai molti auspici contenuti in esso. Già adesso, però, possiamo dire con certezza che dall’insieme del cammino percorso, da tutte le occasioni di incontro, confronto e preghiera che esso ha generato emerge chiaramente un sogno comune. Un desiderio forte e condiviso di una Chiesa sempre più missionaria e sempre più sinodale, che sia «lievito di pace e di speranza» per l’umanità del nostro tempo.
Al di là dei tanti progetti da realizzare e delle singole iniziative da prendere, infatti, alcune linee, alcune caratteristiche di fondo della Chiesa che vorremmo essere appaiono molto chiare, e ci interpellano fin da ora, chiedendo di essere prese sul serio. Provo a soffermarmi, in particolare, su alcune di quelle che verranno affrontate nella prima parte del documento assembleare, per iniziare a capire, insieme, come lasciarci convertire da esse.
Una comunità fraterna
Un primo elemento che mi sembra sia emerso con decisione da tutto il cammino compiuto è l’aspirazione a dare forma a una Chiesa che sia sempre più una comunità fraterna. Una comunità in cui ci si conosce, ci si ascolta, ci si custodisce a vicenda, e per la quale la domenica è anche occasione di incontro, di festa e condivisione. Una trama di legami buoni, grazie ai quali nessuno debba affrontare la vita immerso in un senso di solitudine. Non però una comunità “tutta d’un pezzo”, uniforme, ma una realtà plurale e variegata, ricca di sensibilità, vocazioni, carismi ed esperienze differenti.
Una comunità nella quale modi diversi di vivere e pensare siano in grado di riconoscersi e stimarsi a vicenda, e in cui giovani e adulti, donne e uomini, laici e consacrati, gruppi, associazioni, movimenti, storie e appartenenze distanti tra loro scelgano di camminare insieme. Una comunità vera, insomma: una dimensione di cui a volte sottovalutiamo l’importanza, e la cui esistenza diamo troppo spesso per scontata. Si tratta invece di una realtà che chiede di essere accudita e alimentata, rigenerata quando appassisce e ricostruita quando crolla.
Una comunità accogliente
Quanto più sapremo costruire una comunità fraterna e plurale, tanto meno correremo il rischio che essa si chiuda in sé stessa, per essere, invece, aperta, accogliente, capace di porsi davvero in ascolto di ogni vita, di tutte le persone, con il loro bagaglio di esperienze, di bisogni, di speranze, di ferite, di dubbi e delusioni, anche nei confronti della fede e della Chiesa. Ed è questa, mi sembra, una seconda decisiva istanza che si è affermata nel corso del Cammino sinodale: vogliamo essere una casa in cui tutti possano stare senza sentirsi fuori posto, fuori luogo.
Dunque una Chiesa che ha imparato a riconoscere nell’ascolto non solo un atteggiamento corretto e rispettoso, dovuto a chiunque, ma una dimensione essenziale della missione evangelizzatrice. Non un passaggio da esperire preliminarmente, una premessa all’annuncio, ma un modo di porsi che è già in sé testimonianza evangelica, perché nasce dal riconoscere la presenza di Dio nella vita di ciascuno.
L’ascolto è stato decisivo
Non è un caso se proprio l’esperienza dell’ascolto ha rappresentato una delle componenti più decisive, più interessanti e belle, anche se più sfidanti, del percorso compiuto in questi anni. Un esercizio che non può terminare con la terza assemblea sinodale e l’approvazione del documento conclusivo. Abbiamo bisogno di continuare a rimanere in ascolto della realtà, delle domande che salgono dall’esistenza concreta delle persone di ogni età e di ogni condizione, in ascolto della cultura del nostro tempo e delle grandi questioni che la attraversano. Dobbiamo perciò capire insieme come continuare a creare occasioni di dialogo, capire di quali spazi e strumenti dotarci per non smettere di ascoltare lo Spirito che ci parla nelle pieghe della storia dentro cui camminiamo.
Una Chiesa che sa prendersi cura di chiunque
In ascolto per farci vicini e lasciarci coinvolgere dalla vita delle persone e dai bisogni del mondo. Ecco una terza priorità che mi sembra sia emersa con forza dal cammino compiuto: il desiderio di essere sempre più una Chiesa che sa prendersi cura di chiunque, partecipare alle gioie e alle fatiche di ogni esistenza, custodirne le fragilità e le attese, e proprio lì radicare la speranza che sgorga dall’amore del Padre. Proprio lì parlare del Vangelo, con il linguaggio della misericordia e della solidarietà, dell’amicizia e della gratuità, della lotta per la difesa della dignità di ogni persona.
Un compito che forse spetta innanzitutto a chi sperimenta e testimonia la gioia del Vangelo dentro i meandri della società, nei luoghi di lavoro e nel volontariato, in famiglia e nella trama delle relazioni amicali, negli spazi dell’impegno educativo, culturale e politico. È lì, innanzitutto, che c’è bisogno di una Chiesa formata da credenti che si fanno carico della sete di pace e di giustizia che sferza il nostro tempo.
La postura sinodale
Ma per poter essere sempre più una Chiesa che pensa e struttura la propria missione secondo queste intenzioni abbiamo bisogno anche di continuare a riflettere, discutere, pregare per capire insieme, cioè in maniera sinodale, come lasciarci interrogare e mettere in discussione dalle tante inquietudini che le persone portano nel cuore. Abbiamo bisogno di continuare a capire insieme come trovare vie nuove per arrivare ai “crocicchi delle strade”. Non dobbiamo cadere, perciò, nella tentazione di voltare pagina, pensando che le domande che hanno scandito il cammino fatto in questi anni abbiano trovato già risposta.
C’è ancora molta strada da fare in questa direzione, ed è una strada che potremo percorrere solamente se sapremo abitare in maniera costruttiva le divisioni che attraversano non solo la società e la politica, il mondo e le nazioni, ma anche la Chiesa: un’altra consegna cruciale che ci viene affidata dal Cammino sinodale, e di cui tutti dobbiamo avvertire la responsabilità, a partire da una realtà come l’Ac, vera e propria «palestra di sinodalità» (Francesco).