29/10/2025
Redazione
La tappa di Milano ha chiuso il Roadshow dell’Oscar di Bilancio. Si è parlato della necessità di rendere conto, con trasparenza e coerenza, dell'impatto di imprese, istituzioni e terzo settore.
C’è un filo che unisce mondi apparentemente diversi – l’impresa, le istituzioni, il terzo settore – nel cammino della sostenibilità: la necessità di rendere conto, con trasparenza e coerenza, del proprio impatto. È attorno a questo filo che si è intrecciato il confronto nella tappa lombarda dell’Oscar di Bilancio, ospitata dalla Fondazione Cariplo, con al centro il tema “Il tempo non si ferma. Il reporting nella transizione”.
Un incontro che ha riunito Filippo Nani, Presidente FERPI, Annalisa Prencipe, Professoressa ordinaria di Financial Accounting presso l’Università Bocconi, Cristiana Rogate, Presidente di Refe – Strategie di sviluppo sostenibile e Direttrice scientifica dell’Oscar di Bilancio, Andrea Razeto, Direttore CSR e Sostenibilità di Hitachi Rail e Coordinatore dell’Oscar di Bilancio, Dario Bolis, Direttore Comunicazione Fondazione Cariplo, Matteo Tanteri (Director Sustainability and Social Impact di Snam), Pier Attilio Superti , Vicesegretario generale Regione Lombardia) Yuri Santagostino, Presidente Gruppo CAP e Confservizi Lombardia. Le conclusioni sono state fatte da Matteo Colle, Consigliere nazionale FERPI e direttore relazioni esterne e sostenibilità di Gruppo CAP.
Un sistema in movimento ma non ancora maturo
Dopo i saluti di Filippo Nani, un'introduzione di Andrea Razeto che ha raccontato la sfida oramai più che cinquantennale di Ferpi nella costruzione dell’Oscar di Bilancio, la mattinata ha restituito una fotografia coerente di un sistema che, pur attraversato da incertezze, continua a muoversi verso una maturità nuova nella cultura del rendere conto.
Come ha mostrato Annalisa Prencipe, oggi esiste una chiara distinzione tra le imprese che hanno già integrato la sostenibilità nella propria governance e quelle che vi si stanno affacciando da poco. Le prime non si sono fermate, continuano a innovare e migliorare i propri strumenti di rendicontazione; le seconde, invece, mostrano una certa freddezza, come se la complessità normativa e la rigidità del nuovo quadro europeo (CSRD) rischiassero di frenare la volontà di proseguire.
Su questa linea si sono intrecciati i contributi di altri relatori, delineando un quadro polifonico ma coerente. Dario Bolis ha posto l’accento sull’importanza della rendicontazione per il mondo delle fondazioni e del sociale, non solo come strumento di trasparenza, ma come chiave di comprensione dell’impatto generato dalle scelte di finanziamento. Rendere conto significa qui restituire senso, costruire fiducia, dare visibilità ai risultati oltre i numeri. Pier Attilio Superti, dal versante delle istituzioni, ha insistito sulla necessità di valutare gli outcome delle buone politiche: non basta descrivere i processi, occorre misurarne gli effetti, tradurre la buona amministrazione in cambiamento percepibile per i cittadini.
Nel mondo delle imprese, Matteo Tanteri ha richiamato una criticità concreta: le aziende si trovano oggi di fronte a complessità spesso eccessive. Le norme spingono verso una rendicontazione più sofisticata, ma anche più onerosa, e non sempre la spinta alla trasparenza coincide con la capacità di comunicare valore. È una tensione che attraversa molti settori e che chiede una riflessione su come rendere la sostenibilità accessibile, senza ridurla a mero adempimento tecnico. Yuri Santagostino in rappresentanza del mondo dei servizi pubblici, ha ricordato come la rendicontazione, per aziende che gestiscono beni comuni, sia prima di tutto uno strumento di dialogo con i cittadini. Il bilancio di sostenibilità diventa così un patto di fiducia, un modo per raccontare come le scelte industriali e operative si traducono in valore collettivo.
Infine, Cristiana Rogate ha richiamato il valore originario del reporting come linguaggio di fiducia: un racconto condiviso di obiettivi, risultati e relazioni. Rendere conto non significa solo rispettare una norma, ma restituire visione e coerenza, trasformando dati e indicatori in narrazioni che coinvolgono persone e comunità.
Il nodo della fiducia
Dalle voci dei relatori emerge un punto comune: la rendicontazione non è un fine, ma un mezzo. È la traduzione misurabile di un principio più ampio – la responsabilità– che, per essere efficace, deve poggiare sulla fiducia. Eppure, qualcosa si è inceppato nel percorso della transizione verde: come ho sottolineato nelle conclusioni, non c’è stato sufficiente dialogo con gli stakeholder. La transizione è andata avanti, ma spesso senza un racconto capace di accompagnare il cambiamento, rassicurare, ingaggiare. Le imprese, e ancora di più le istituzioni europee, hanno agito con determinazione tecnica, ma spesso in solitudine. È in questo vuoto relazionale che si è creata distanza, sfiducia, talvolta stanchezza. La sostenibilità, per tornare a essere leva di progresso, ha bisogno di relazioni: tra imprese e cittadini, tra istituzioni e territori, tra chi decide e chi vive le conseguenze delle decisioni.
Il ruolo dei relatori pubblici
Oggi più che mai, serve una nuova grammatica della comunicazione. I relatori pubblici non sono mediatori dell’immagine, ma architetti di fiducia: costruiscono legami, interpretano i mutamenti, aiutano organizzazioni e cittadini a comprendersi. “Il tempo non si ferma” – diceva il titolo dell’incontro – e il tempo della sostenibilità chiede ora di andare oltre la rendicontazione formale. Serve un reporting che non si limiti a descrivere ciò che è stato fatto, ma che generi dialogo, consapevolezza e responsabilità condivisa. Perché la vera misura del progresso non sta solo nei numeri, ma nella capacità di tradurli in fiducia. E solo un sistema che sa comunicare e ascoltare, insieme, può davvero costruire un futuro sostenibile.