Brand Purpose e fiducia nel B2B - Dynamo Lab

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Brand Purpose e fiducia nel B2B

Brand Purpose e fiducia nel B2B

Se oggi chiedessimo a un imprenditore quale sia l’asset più importante della sua azienda, molti risponderebbero: “Il prodotto”. Altri direbbero: “Le persone”. Qualcuno: “Il brand”.
Tutte risposte giuste, ma tutte dipendono da un elemento che viene prima: la fiducia. Senza fiducia il prodotto non viene scelto, le persone non restano, il brand non si consolida. La fiducia è il moltiplicatore silenzioso di tutto il resto.

Lo confermano anche i dati dell’Edelman Trust Barometer: la fiducia nei confronti di politica, media e persino delle organizzazioni sociali è in calo. Le persone faticano a credere alle istituzioni tradizionali. L’unico attore che tiene — e in alcuni casi cresce — è l’impresa. Le aziende vengono percepite come soggetti più concreti, più capaci di incidere, meno ideologici. In un contesto in cui tanti parlano e pochi fanno, chi produce valore reale conquista spazio reputazionale.

Ed è esattamente in questo vuoto che entra in gioco il brand purpose.

Il purpose non è marketing, è direzione

Uno degli errori più diffusi è ridurre il purpose a una frase di branding.
“Il nostro scopo è migliorare la vita delle persone.”
“Vogliamo rendere il mondo più sostenibile.”
“Crediamo nell’innovazione.”
Frasi belle, ma spesso intercambiabili tra aziende molto diverse.

Il punto è che lo scopo non è ciò che scrivi, è ciò che dimostri.
Se resta a livello di dichiarazione istituzionale, è solo comunicazione.
Se invece guida le scelte, i prodotti, le partnership, i canali, allora diventa direzione strategica.

Nel B2B questo è ancora più evidente: qui le persone non comprano d’impulso, valutano nel tempo, parlano con più interlocutori, mettono in conto il rischio. In questo contesto la differenza non la fa il prezzo, ma la prevedibilità nel tempo del tuo comportamento. E questo lo dà solo uno scopo chiaro.

Il brand purpose, quindi, risponde a tre domande fondamentali:

  1. Perché esistiamo oltre il profitto?

  2. Per chi siamo davvero rilevanti?

  3. In che modo trasformiamo questo scopo in azioni visibili?

Se una di queste tre risposte manca, lo scopo resta una scritta sul sito.

Le tre caratteristiche di un purpose che funziona

Tu hai già individuato i tre criteri giusti, li allarghiamo un po’.

1. Autentico
Uno scopo autentico nasce dalla storia, dal mercato in cui operi, dai problemi che conosci meglio degli altri. Non è preso in prestito dal trend del momento (sostenibilità, AI, inclusion, ecc.) ma è coerente con ciò che fai davvero. Un’azienda che parla di “centralità delle persone” e poi non investe in formazione, smart working o welfare, mina la sua stessa credibilità.

2. Verificabile
Ogni purpose deve potersi tradurre in evidenze: numeri, casi, progetti, investimenti.
Se dici che “vuoi accelerare la transizione sostenibile del territorio”, devi poter mostrare:

  • quante colonnine hai installato,

  • quanta CO₂ hai evitato,

  • quanti fornitori locali hai coinvolto,

  • quali certificazioni hai ottenuto.
    Senza questi elementi, lo scopo è percepito come retorica.

3. Connesso
Lo scopo va raccontato con un linguaggio umano, non aziendalese.
Non deve sembrare scritto dal legale o dal reparto qualità. Deve essere comprensibile da chi ti segue su LinkedIn, da un giornalista, da un partner, da un nuovo assunto. Se lo capiscono solo i vertici, non è uno scopo: è una policy.

Purpose e operatività: come si vede nella pratica

La vera domanda è: dove si vede lo scopo?
Si vede:

  • nelle scelte di prodotto (cosa sviluppi e cosa no),

  • nelle partnership (con chi decidi di lavorare),

  • nelle persone che assumi,

  • nel tono con cui comunichi,

  • nei dati che scegli di pubblicare,

  • nel modo in cui rispondi nelle crisi.

Un’azienda che ha lo scopo di “rendere più accessibile l’innovazione” non può avere processi di assistenza farraginosi.
Un’azienda che dice di “abilitare la mobilità sostenibile” non può comunicare solo quando installa, ma deve anche educare il territorio, condividere insight, dare numeri.
Il purpose, insomma, deve sporcare le mani.

La fiducia come ROI (anche se non sta in Google Analytics)

Qui arriva il punto più sottile: la fiducia è un ritorno, anche se non è immediatamente misurabile come un clic.
Nel B2B la fiducia porta effetti molto concreti:

  • facilita il rinnovo dei contratti,

  • riduce le obiezioni sul prezzo,

  • aumenta le raccomandazioni,

  • apre le porte dei media (perché sei fonte attendibile),

  • attrae talenti migliori.

Non la vedi in tempo reale, ma la vedi nel tempo. È un ROI lento, ma duraturo.
E soprattutto: è cumulativo. Ogni atto coerente con il tuo purpose aggiunge un mattone. Ogni incoerenza lo toglie.

Per questo comunicare il proprio scopo non significa fare storytelling buonista, ma mettere in chiaro le proprie intenzioni e poi confermarle con i fatti. La reputazione non si costruisce in laboratorio: nasce dal modo in cui l’azienda agisce, risponde, partecipa e comunica. È una somma di micro-coerenze.

Purpose e media: perché interessa anche alla stampa

C’è un altro livello spesso trascurato: oggi i media sono molto più interessati ai valori intangibili rispetto al passato.
Non basta più dire “fatturiamo X”. È interessante anche sapere:

  • che impatto avete sul territorio,

  • come gestite le persone,

  • quali scelte di sostenibilità state facendo,

  • che ruolo volete avere nel vostro settore.

Questo perché, in un contesto di sfiducia generale, anche i media cercano storie che raccontino aziende responsabili.
Se il tuo purpose è chiaro e dimostrato con i dati, diventi più notiziabile.

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L’autore

Salvatore Viola - Co-founder dynamo-lab.com
Salvatore è giornalista, imprenditore ed esperto di marketing e comunicazione aziendale. Ha seguito con successo oltre 70 campagne campagne di fundraising sulle più importanti piattaforme di raccolta fin dal 2016, quando l’equity crowdfunding ha mosso i primi passi in Italia.
Oltre ad essere founder di Startup-News.it e co-founder di Dynamo-lab.com, Salvatore è anche investitore e consulente in diverse startup. Si occupa, inoltre, di business development, innovazione e digital strategy, è formatore e docente di marketing e comunicazione per enti, aziende e istituti universitari.

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2025-11-11T08:00:13+00:00

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