Le settima Conferenza Nazionale Dipendenze voluta, realizzata e gestita in prima persona dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano in quanto direttore del Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze, è stato un investimento politico importante di questo Governo, con la partecipazione di centinaia di esperti, con luci e ombre significative, e ha espresso alcune aperture su questioni delicate della tematica droghe, ma anche ribadito tradizionali chiusure e preconcetti ideologici piuttosto difficili da rimuovere.
La Conferenza, che si è tenuta a Roma il 7 e 8 novembre scorsi, ha scelto da subito la sua direzione, non aprendo i lavori alle rappresentanze di una parte significativa della società civile (Forum Droghe, Lila e altri), del volontariato delle carceri (Antigone, ad esempio), dei Comuni (rete Elide) e delle associazioni degli utenti (ItaNPUD), per concentrarsi soprattutto su una rilettura dell’ormai datato (Dpr 309 del ’90) sistema di intervento (Serd e comunità), evidenziando molti temi raccolti nei documenti elaborati dagli otto gruppi di lavoro che hanno preparato la Conferenza, partecipati per sei mesi da più di 200 operatori del pubblico e del terzo settore.
La Conferenza si è mossa a partire da un confronto ampio tra gli esperti che non ha mai cercato il puro scontro ideologico ed è confluito nell’evento in alcuni documenti e proposte nate dai lavori che ha visto la presenza di dieci tra ministri e sottosegretari. Come CNCA riteniamo che queste siano le aperture più significative:
– la riaffermazione della necessità di applicazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) sulla Riduzione del danno, che compaiono ufficialmente nei lavori e vengono rilegittimati come interventi necessari da garantire in tutte le Regioni;
– l’adesione al principio di non abbandono delle persone che non vogliono o non riescono a smettere, che vanno avvicinate tramite servizi a bassa soglia non giudicanti e accoglienti;
– l’importanza di operare per accorciare i tempi di accesso ai sistemi di cura, un tempo che tra consumo problematico e servizi è attualmente di circa 10 anni.
– la riaffermazione di un sistema di intervento con pari titolarità reale tra servizio pubblico (soprattutto Servizi ambulatoriali) e terzo settore (comunità, servizi di bassa soglia e interventi di prevenzione e inserimento sociale), con tavoli stabili di co-programmazione e co-progettazione per innovare insieme il sistema;
– la necessità di sviluppare in tutta Italia un nuovo sistema di intervento sulla prevenzione per quanto riguarda il gioco d’azzardo e le dipendenze digitali.
Toccherà alle Regioni realizzare i LEA sulla Riduzione del danno in tutta Italia e non lasciarli solo sulla carta come avviene dal 2017.
Le chiusure permangono su tutto quello che è a monte dell’operatività del sistema dei servizi. Non s’intende decriminalizzare il consumo e, quindi, modificare l’articolo 73 che comporta la carcerazione di molte persone consumatrici per spaccio di marijuana e hashish. Si preferisce piuttosto aumentare la capienza dei posti nelle carceri, con la costruzione di nuovi istituti penitenziari. Rimane esclusa ogni ipotesi di legalizzazione della cannabis, ribadita da questo governo anche con la chiusura dei cannabis shop che avevano la licenza di vendere prodotti solo con lo 0,6% di principio attivo. Rispetto al concetto stesso di prevenzione, il principio evidence-base che dovrebbe essere alla base degli interventi stride con ciò che è stato invece mostrato dagli influencer ingaggiati nella sessione sulla comunicazione che Mantovano tanto ha apprezzato, pur nei suoi contenuti semplificatori e paternalistici. Nelle conclusioni è stata riconosciuta l’autonomia del Serd rispetto alla Psichiatria, ma il tema è stato posto come oggetto di riflessione per il futuro.
Segnaliamo, poi, due punti che ci sembrano particolarmente gravi, discussi all’interno della Conferenza:
– l’accesso diretto in comunità senza la certificazione dello stato di dipendenza, ritornando così a tempi passati in cui il sistema di presa in carico era meno diffuso e organizzato, con il rischio enorme di ricovero in strutture non adeguate e pericolose, come accaduto negli anni Ottanta e Novanta;
– la questione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO come in psichiatria) per i minorenni con dipendenza e atteggiamenti disfunzionali all’interno delle famiglie, una proposta lontana da qualsiasi evidenza scientifica.
Sarà nostro impegno da subito fare in modo che le molte proposte e piste di lavoro emerse non restino impantanate in discussioni ideologiche sterili e preconcette. L’evoluzione dei fenomeni che riguardano il mondo droghe renderebbe questo errore imperdonabile.
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