«Il mondo si divide fra chi pensa che i violenti Debbano essere trattati con violenza E chi pensa che con la violenza invece non si ottenga Nient’altro che violenza». Nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, queste parole di Brunori Sas risuonano con una forza particolare. Viviamo in un tempo attraversato da un’ondata costante di aggressività: la percepiamo nelle notizie, nelle discussioni pubbliche, perfino nelle relazioni quotidiane. Il rischio è quello di lasciarsi travolgere, permettere alla rabbia generata dal male che vediamo di trasformarsi in ulteriore male. Così si alimenta un circolo vizioso che sembra non avere fine. Eppure, interrompere questo meccanismo è possibile.
In una giornata così importante e delicata vorrei provare, insieme a te, lettrice o lettore, a partire da un invito che, in altri contesti di violenza, è stato espresso benissimo da papa Francesco mentre era ricoverato al Policlinico Gemelli: quello di disarmare le parole per disarmare le menti e impegnarci ad accogliere la complessità, aprendoci al dialogo senza cadere nel conflitto sterile.
Parlare di questi temi può essere faticoso
In quest’ottica, se, da donna, trasformassi questa giornata in un attacco verso gli uomini invece che in una riflessione sulla violenza di genere, rischierei di allontanare proprio chi dovrebbe essere parte della soluzione. Parlare di questi temi può essere faticoso: capita di non sentirsi comprese, di percepire distanza, di incontrare chi ancora fatica a riconoscere la gravità di certe esperienze.
È proprio lì che nasce la tentazione di chiudersi, evitare il confronto, o trasformarlo in uno scontro. Ma rinunciare al dialogo sarebbe una perdita enorme. Il cambiamento culturale non si costruisce solo con chi è già d’accordo con noi: si costruisce soprattutto nei passaggi più scomodi, con chi parte da un punto lontano dal nostro. È lì che il confronto diventa prezioso.
La comunicazione paziente può trasformare
Non per convincere l’altra persona a forza, ma per aprire spiragli, far filtrare un pezzo della nostra esperienza, innescare una riflessione. Il conflitto sterile chiude; la comunicazione paziente, invece, può trasformare. Parlare con chi è più distante non significa accettare tutto né farsi carico di sensibilità che non ci appartengono: significa scegliere di creare un terreno comune, anche quando sembra difficile. Perché la violenza di genere non riguarda solo le donne. Riguarda tutte e tutti. E solo coinvolgendo anche chi fatica a capire, uomini o donne che siano, possiamo sperare in un cambiamento reale.
Insieme, in un percorso condiviso
E dall’altra parte, se da uomo vivessi questa giornata come un’accusa personale, o come qualcosa che non mi riguarda, rischierei di perderne il senso. Non si tratta di mettersi da parte né di occupare spazio: si tratta di esserci, insieme, in un percorso condiviso. È importante ricordare che anche gli uomini sono vittime di una cultura patriarcale che per decenni ha chiesto loro di non mostrare fragilità e di non chiedere aiuto. Comprendere questa difficoltà non significa giustificare comportamenti problematici: significa riconoscere che trovare il proprio posto in un contesto che cambia può essere complesso.
A tal proposito consiglio l’ascolto di questa puntata del podcast Wilson, Il problema sono i maschi , che aiuta a esplorare questi nodi culturali e a capire quanto il sistema in cui cresciamo limiti non solo le donne, ma anche gli uomini. Proprio per questo, il potenziale di ciascun uomo è enorme: ogni volta che sceglie di non restare indifferente davanti a una battuta sessista, ogni volta che decide di intervenire quando vede un comportamento ingiusto, contribuisce in modo decisivo al cambiamento. Sono gesti quotidiani, piccoli solo in apparenza, che possono modificare gli spazi sociali che abitiamo. Quando un uomo sceglie di esserci davvero la trasformazione diventa possibile per tutte e per tutti.
In quest’ottica di collaborazione e condivisione, possiamo impegnarci a fare due cose oggi (e magari non solo oggi).
La prima cosa è informarci
In queste ore usciranno articoli, approfondimenti, testimonianze: prendere del tempo per leggerli è un gesto di responsabilità. Un punto di partenza fondamentale è il rapporto Istat La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia – Primi risultati anno 2025. Tra i dati, uno in particolare mi ha colpita per la sua capacità di raccontare due facce della stessa realtà: le richieste di aiuto ai centri antiviolenza sono raddoppiate.
È un numero duro, che ricorda quanto il fenomeno sia ancora dilagante: circa 6 milioni e 400mila donne tra i 16 e i 75 anni, il 31,9%, hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Ma questo aumento rivela anche una maggiore consapevolezza: sempre più donne riconoscono la violenza, cercano sostegno, conoscono strumenti e percorsi per contrastarla.
A questo spiraglio di speranza si affianca un passo avanti importante sul piano legislativo: il 12 novembre, la Camera ha approvato all’unanimità l’emendamento che introduce il principio del “consenso libero e attuale” nel reato di violenza sessuale, rivoluzionando la definizione giuridica di stupro in Italia.
Ripartire dalle scuole
Rimane invece acceso e fondamentale il dibattito sull’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. È evidente che proprio dalla scuola debba partire un cambiamento strutturale: educare al consenso, al rispetto, alle emozioni e alle relazioni non è un’aggiunta superflua, ma un passaggio necessario per prevenire la violenza alla radice. Su questo tema dobbiamo ancora fare molti passi avanti, perché una parte dell’opinione pubblica continua a fraintendere il senso di questa materia, confondendola con altro o temendola senza conoscerla davvero.
Mettiamoci nei panni di un’altra persona
Dopo aver guardato ai dati e ai nodi culturali, possiamo prenderci un impegno per così dire più pratico, da sperimentare oggi (e non solo) nella nostra quotidianità. Questo passo parte da un gesto semplice ma rivoluzionario: provare davvero a metterci nei panni di un’altra persona. Fermarci un momento e chiederci come si sente la persona che abbiamo davanti, uomo o donna che sia, di fronte a questo tema. L’empatia non è astratta: è un allenamento quotidiano, è la capacità di sospendere per un attimo il nostro punto di vista per fare spazio al vissuto altrui.
Ma oggi sentiamo di viverlo con coraggio, e allora perché limitarci a immaginare il pensiero di chi abbiamo di fronte, quando potremmo parlarne insieme? Se ti va, prova ad aprire questo confronto nei tuoi spazi di vita: al lavoro, tra le tue amicizie, nelle relazioni. Diamo vita a un dialogo sincero nel quale ciascuna persona possa sentirsi parte della stessa battaglia, sentendosi ascoltata, riconosciuta e coinvolta.
Che questa giornata, e ogni giorno, possa avvicinarci a un mondo in cui donne e uomini camminano insieme, scegliendo la non violenza come pratica quotidiana e il dialogo come forza trasformativa.