C’è una verità semplice e insieme decisiva che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha consegnato con il suo intervento alla V edizione degli Stati generali della Natalità: la demografia non è un grafico, ma un giudizio sul futuro di un Paese. È lo specchio della sua libertà, della sua capacità di costruire speranza, del modo in cui concepisce il bene comune. Il Capo dello Stato lo ricorda con la sobrietà delle parole essenziali: la natalità è un «tema vitale», non soltanto per l’Italia, ma per l’intero continente europeo. E ciò che oggi il nostro Paese rivela – con l’invecchiamento non compensato da nuove generazioni, con i territori che si svuotano e i giovani troppo spesso frenati nelle scelte decisive della vita – non è un destino, ma un segnale. Un segnale che chiama alla responsabilità.
La libertà di generare come compito dello Stato
Mattarella ribadisce un punto raramente posto con tale chiarezza nel dibattito pubblico: la natalità non è un fatto privato, ma un banco di prova della qualità democratica di una nazione. In uno Stato che si riconosce nella propria Repubblica – dice – il compito delle istituzioni è mettere ciascuno «nella condizione di esprimere in piena libertà la propria vocazione alla genitorialità». Non è un favore, è un dovere costituzionale. E di fronte ai dati che raccontano un Paese che si rigenera solo in parte, questo dovere torna ad essere urgente.
Giovani “in ritardo”, ma senza colpa
Il Presidente nomina con precisione la spirale che rallenta i progetti di vita delle nuove generazioni: precarietà lavorativa, bassi redditi, difficoltà ad accedere a una casa, servizi insufficienti per conciliare lavoro, famiglia e cura degli anziani. In una società dominata dalla velocità – osserva – i giovani sono «costretti a essere in ritardo», ma non per colpa loro. Ritardo nel lavoro stabile, nell’autonomia, nel mettere su casa, nel desiderare figli. Quando le condizioni oggettive impediscono ciò che il cuore e il buon senso suggerirebbero, la libertà si svuota, e la natalità diventa un lusso. Mattarella invita a riconoscere questa ingiustizia generazionale.
La natalità come indicatore di speranza
In uno dei passaggi del suo intervento, il Capo dello Stato richiama le parole pronunciate da Papa Francesco proprio agli Stati generali di due anni fa: «la natalità è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo». Non è un tributo spirituale: è una constatazione civica. L’apertura alla vita non si misura solo in numeri, ma nella qualità delle relazioni, nella percezione della sicurezza e della fiducia, nella capacità di una società di «non chiudere gli orizzonti nel presente». Perché il futuro – ricorda Mattarella – è parte del presente: lo si costruisce nelle scelte che compiamo oggi.
Il custode della Costituzione richiama l’articolo 31
Con un gesto eloquente, il Presidente rilegge per intero l’articolo 31 della Costituzione, quello che impegna la Repubblica ad agevolare la formazione della famiglia, a proteggere maternità e infanzia, a sostenere le famiglie numerose. È un ritorno alle sorgenti: non un nostalgico richiamo, ma un invito a verificare la distanza tra ciò che abbiamo scritto come ideale e ciò che riusciamo a realizzare come Paese.
Natalità e migrazioni: non c’è contrapposizione
Di particolare rilievo è la puntualizzazione sul tema delle migrazioni, spesso abusato nel dibattito politico: sostenere la natalità italiana non è in contraddizione con l’integrazione dei migranti. Le famiglie migranti – ricorda Mattarella – contribuiscono con lavoro prezioso, spesso di cura, al benessere della comunità. Il Presidente restituisce verità e misura a una discussione troppo spesso caricata ideologicamente.
Non siamo condannati al declino. Un monito che interpella tutti
«Il nostro domani è nelle nostre mani». La generatività – ci dice il presidente della Repubblica – è un valore umano e sociale: nasce da un clima favorevole, da reti di solidarietà, da comunità che non hanno paura di accogliere. Una società che sceglie la vita è più forte già oggi, non solo domani. Il Capo dello Stato ci invita a non cedere alla rassegnazione: non siamo condannati al declino. Ma per evitarlo occorre ciò che l’Italia chiede da tempo: politiche lungimiranti, responsabilità condivisa, un’idea alta di bene comune. Perché ogni vita che nasce non è solo un dono per una famiglia: è un dono per l’intero Paese, la misura più autentica della sua speranza.