La trentesima Conferenza delle Parti (COP30) sui cambiamenti climatici, tenutasi a Belém, in Brasile, si è purtroppo conclusa come molti temevano: senza impegni concreti per ridurre le emissioni o la deforestazione.
Non è stato raggiunto alcun accordo vincolante su una tabella di marcia globale per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili (petrolio, carbone, gas).
La comunità internazionale sta perdendo l’ennesima opportunità di affrontare seriamente una delle principali cause dei cambiamenti climatici: l’ALLEVAMENTO INTENSIVO.
Nonostante un consenso scientifico ormai consolidato sulla sua responsabilità per le emissioni globali, la questione continua a essere marginalizzata nei negoziati e quasi del tutto assente dalle decisioni politiche concrete.
L’allevamento intensivo è responsabile di una quota significativa delle emissioni di metano, un gas serra con un potenziale di riscaldamento molto maggiore dell’anidride carbonica.
A ciò si aggiungono la deforestazione causata dalla coltivazione di mangimi, il massiccio consumo di acqua e l’inquinamento del suolo.
Eppure, nonostante il suo impatto sul clima, questo settore rimane schermato da una complessa rete di interessi economici e politici che ne rende impossibile la discussione aperta alle conferenze sul clima.
Alla COP30, come in molte edizioni precedenti, i tavoli negoziali sembrano più inclini a concentrarsi su energia e trasporti, evitando accuratamente il tema della produzione alimentare. Questa scelta tradisce una mancanza di coraggio politico e rivela una scomoda verità: discutere di allevamento intensivo significa toccare un modello economico profondamente radicato e culturalmente sensibile.
Le ragioni principali sono la pressione delle lobby agroalimentari e il timore di impatti socioeconomici (in molti paesi il settore zootecnico rappresenta una quota significativa dell’economia e dell’occupazione).
Una delle rivelazioni più inquietanti della COP30 riguarda la massiccia, e crescente, presenza dell’agrobusiness industriale nei negoziati.
Oltre 300 lobbisti associati all’agricoltura intensiva, all’allevamento intensivo, alla produzione di mangimi su scala industriale e all’uso di pesticidi hanno partecipato alla COP30. Alcuni di loro facevano parte di delegazioni ufficiali di vari paesi, altri avevano accesso privilegiato ai tavoli negoziali.
Questo peso influente ha finito per allontanare l’agenda climatica dalle politiche che sfidano il modello agricolo e zootecnico intensivo, un modello che numerosi studi indicano come causa significativa di emissioni, deforestazione, uso intensivo del suolo e consumo di acqua.
Uno dei principali presupposti degli accordi sul clima è che energia, trasporti e industria siano i grandi nemici da combattere. Tuttavia, come evidenziato dalla FAO e da diverse ONG, l’agricoltura, in particolare l’allevamento intensivo, è responsabile di una parte significativa delle emissioni globali, della deforestazione e del degrado ambientale.
Durante la COP30, tuttavia, questa questione è stata relegata in secondo piano. Secondo gli organizzatori della conferenza e le ONG ambientaliste, il risultato finale “non riflette l’urgenza di riformare i sistemi alimentari globali”.
Il simbolo del vertice era l’Amazzonia, un crocevia di biodiversità, pozzi di carbonio, popolazioni indigene e foreste secolari. Eppure, nonostante ciò, la COP30 non è riuscita ad approvare una tabella di marcia vincolante per fermare la deforestazione e ridefinire l’agricoltura intensiva come priorità globale.
I leader indigeni, guidati dalla loro cosmovisione, hanno ripetutamente invocato il concetto di salute planetaria a Belém: non può esserci salute umana senza ecosistemi sani. Proteggere la salute del pianeta è l’unica opzione che abbiamo per garantire la nostra sopravvivenza come specie umana.
Ancora una volta, saranno le persone a fare la differenza. Non possiamo aspettare che le istituzioni cambino. Dobbiamo guidare il cambiamento noi stessi. Ognuno di noi ha il potere di orientare le proprie scelte.
Cambiare il nostro modo di vivere, di pensare e soprattutto di mangiare può salvare il nostro pianeta. Fatelo per gli animali e per il pianeta.