La pace giusta è quella duratura. Nello show degli accordi, gli assenti sono i palestinesi - Partito Socialista Italiano

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di Andrea Follini

La tregua è arrivata. Se la pace “giusta” deve essere quella duratura e senza altro sangue, è giusto gioirne, ma con qualche però. La tregua arriva per gli ostaggi israeliani liberati e per le loro famiglie, che possono finalmente riabbracciarsi e da lì ricominciare a guardare avanti dopo l’incubo durato due anni. Arriva per la popolazione palestinese, che può cominciare il controesodo dal sud della Striscia verso nord, per tornare a quelle che un tempo erano le loro case, intraprendendo un viaggio della speranza tra montagne di macerie che qualcuno comincia già a sgombrare. Riprendono ad entrare gli aiuti umanitari, e questo contribuirà a placare la fame ed a portare qualche sollievo a chi attende cure sanitarie da mesi ed e sopravvissuto alle privazioni di questi due anni. Una tregua che non ha ancora i contorni di una pace duratura, ma che è un’ottima premessa perché questa arrivi. Restano da piangere i mille e duecento morti israeliani del 7 ottobre ed i sessantamila morti palestinesi. Un’atrocità inutile e vigliacca. Sullo sfondo di queste ultime settimane che hanno portato ad azzittire i cannoni, il lavoro delle delegazioni diplomatiche. Quelle arabe, guidate dai qatarioti, e quella americana. Senza il loro lavoro, iniziato già molti mesi fa, non si sarebbe a questo punto. Quanto ha contato la mobilitazione internazionale sul divenire della tregua a Gaza? Certo non poco: gli occhi puntati su un conflitto così ingiusto hanno contribuito, con le pressioni degli Stati che non hanno voluto girare la testa dall’altra parte, a creare le condizioni perché l’affondo finale statunitense potesse trovare ascolto. Chi ha ascoltato il discorso di Trump alla knesset, il parlamento israeliano, dove il tycoon è stato accolto come un eroe nazionale, non ha potuto non rabbrividire di fronte a delle affermazioni del presidente che certo faranno discutere per i giorni a venire: «Netanyahu mi ha chiesto insistentemente le migliori armi; io gliele ho concesse e lui le ha usate bene». E ancora «Avete vinto. La pace tra Israele e… come si chiama…ce l’ho sulla punta della lingua… boh, non mi viene è più di un’ora che parlo e non mi viene il nome di quella terra dove sono due anni che vai avanti a uccidere uccidere uccidere… come si chiama…». Ma forse il passaggio più inquietante, che la dice lunga su come il diritto sia considerato dal soggetto, è stato quando ha chiesto al presidente israeliano Herzog di concedere a Netanyahu la grazia per i crimini commessi nel suo Paese. Aberrante, considerando che stiamo parlando di un uomo sulle cui spalle pesa ancora anche un mandato di cattura internazionale per crimini contro il diritto internazionale umanitario. Trump durante il suo discorso rivolto ai parlamentari israeliani è stato interrotto dalle proteste di due di questi, Ofer Kassif e Ayman Odeh, che hanno alzato due cartelli con la scritta “genocidio” e “riconoscere la Palestina”, subito bloccati dalla sicurezza e trascinati fuori dall’aula. Ma il lore gesto dice molto, rispetto al clima generale del Paese, al di là della sceneggiata a favore del presidente americano. Lo show di Trump è proseguito poi a Sharm el-Sheikh, dove, assente la delegazione israeliana e quella iraniana, erano presenti i rappresentanti di ventidue Paesi: Italia, Regno Unito, Francia, Spagna, Germania, Canada, Giappone, India, Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Pakistan, Indonesia, Azerbaigian, Armenia, Ungheria, Grecia, Cipro. Il premier spagnolo Sanchez ha ribadito l’embargo nei confronti di Israele sulla vendita di armi sino al raggiungimento di una pace consolidata. Per la presidente Meloni, avvenuta la liberazione degli ostaggi e raggiunta la tregua, dovrebbe essere il momento di mantener fede alla promessa di riconoscere lo Stato palestinese: «Se viene attuato il piano di pace Usa, il riconoscimento si fa più vicino. Punto al riconoscimento dello Stato della Palestina, quando ci saranno le condizioni che sono state poste anche dal Parlamento». Alle solite, quindi. In questa giornata di festa e di show, mancano dei protagonisti importanti: i palestinesi. Sulla cui testa è stato calato il piano in venti punti promosso da Trump, dove non si parla della nascita di uno Stato palestinese, non si cita la necessità di dar corso al più presto a nuove elezioni, con le quali i palestinesi potrebbero dar seguito a quel principio (l’autodeterminazione dei popoli) che evidentemente spaventa più di qualcuno. Il piano prevede anzi il mantenimento del controllo israeliano sul 53% del territorio della Striscia, quello di fatto dove si trovano le terre coltivabili. Per dire.

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