Prof. Andrea Zanichelli (Milano): “In un recente documento di consenso, esperti internazionali hanno fatto il punto su quella che rappresenta una delle forme più rare e complesse di angioedema”
Immaginate di trovarvi davanti a una malattia che non si lascia identificare da nessun test di laboratorio e che può essere potenzialmente fatale. È la realtà dell’angioedema ereditario con C1-inibitore normale (HAE-nC1INH), una condizione rara che con la forma “classica” di angioedema ereditario (HAE), quella dovuta alla carenza di C1-inibitore, condivide le manifestazioni cliniche ma se ne distingue, appunto, per la normalità dei livelli di C1-INH.
“La prima forma di angioedema con C1-inibitore normale è stata individuata nel 2000”, racconta il professor Andrea Zanichelli, responsabile del Centro Angioedema presso l’IRCCS Policlinico San Donato e vicepresidente di ITACA (Italian Network for Hereditary and Acquired Angioedema). “Inizialmente era stata chiamata angioedema ereditario di tipo 3, per distinguerla dal tipo 1 e 2, dovuti invece a un deficit di C1-inibitore, rispettivamente quantitativo e funzionale. Dal 2000 ad oggi sono state scoperte 8 diverse forme genetiche di angioedema ereditario con C1-inibitore normale”.
I sintomi di questa patologia sono in tutto e per tutto simili a quelli dell’HAE classico, con edemi ricorrenti che possono essere interessare la cute, le mucose o gli organi interni. Ma a rendere l’HAE con C1-inibitore normale ancora più insidioso è la difficoltà nella diagnosi: questo perché, eccezion fatta per l’analisi genetica, nessun test è in grado di identificarlo.
Un recente documento di consenso, pubblicato su Clinical Reviews in Allergy & Immunology ed elaborato da un team internazionale di esperti, tra cui lo stesso prof. Zanichelli, ha aggiornato criteri diagnostici, aspetti fisiopatologici e strategie di trattamento dell’HAE con C1-inibitore normale, sottolineando anche gli sforzi della comunità scientifica per individuare biomarcatori affidabili che permettano di agevolare l’identificazione della patologia.
LA DIAGNOSI DELLA PATOLOGIA
“La diagnosi dell’HAE con C1-inibitore normale è principalmente clinica”, spiega il prof. Zanichelli. “Solo la conoscenza approfondita della patologia, unita all’osservazione diretta del quadro clinico e al riscontro di familiarità per la malattia, consente di formulare un’ipotesi diagnostica fondata, che poi può essere confermata con l’analisi genetica. Tuttavia, con il test genetico possiamo cercare solo le mutazioni patologiche attualmente conosciute, ma non tutte sono state identificate”.
Al momento, si sa che alla base della patologia possono esserci alterazioni di geni come quello del fattore XII (gene F12), del plasminogeno (PLG), del chininogeno (KNG1), dell’angiopoietina-1 (ANGPT1), della mioferlina (MYOF), dell’enzima HS3ST6 (HS3ST6) e, più recentemente, i geni della carbossipeptidasi N (CPN1) e della proteina DAB2IP (DAB2IP). “Ciò nonostante, una quota molto ampia di pazienti - circa la metà - resta ancora classificata come ‘unknown’, cioè affetta da una malattia priva di una causa genetica finora nota”, sottolinea il professore.
Per ottimizzare le analisi genetiche e garantire risultati diagnostici affidabili, in Italia è stato adottato un modello centralizzato. “Attraverso il network ITACA abbiamo deciso di inviare i campioni biologici per i test, raccolti nei diversi centri di riferimento per l’angioedema, all’Università di Foggia, dove lavora il gruppo del professor Margaglione”, racconta il prof. Zanichelli. “Centralizzare le analisi consente di aumentare il numero di misurazioni, migliorare la qualità dei test e accumulare esperienza. Più materiale genetico analizziamo, più varianti possiamo individuare: è l’unico modo per far progredire la conoscenza di una malattia così rara”.
DIVERSI MECCANISMI PATOLOGICI MA UN UNICO RISULTATO: IL GONFIORE
Pur manifestandosi con gli stessi sintomi clinici dell’angioedema ereditario da deficit di C1-inibitore, l’HAE con C1-inibitore normale si distingue per la diversità dei meccanismi patogenetici che portano alla formazione degli episodi di gonfiore (edema). “Non ci sono differenze sostanziali nel modo in cui l’angioedema si manifesta”, chiarisce il prof. Zanichelli. “Ciò che cambia è il processo biologico che determina la formazione degli edemi, e che dipende dal tipo di mutazione genetica”.
Alcune mutazioni, come quelle nel gene F12, comportano un cosiddetto “guadagno di funzione” (gain of function), cioè rendono la proteina codificata da questo gene, ossia il fattore XII, più facilmente attivabile, con conseguente aumento della produzione di bradichinina, un ormone che ha un ruolo centrale nello sviluppo dell’angioedema. Altre mutazioni, come quelle del gene dell’angiopoietina-1 (ANGPT1), determinano invece una “perdita di funzione” (loss of function), cioè una riduzione dell’attività stabilizzante che questa proteina esercita sulla barriera dell’endotelio vascolare. “Sia nelle forme di HAE con C1-inibitore normale in cui c’è generazione di bradichinina, sia in quelle in cui la formazione dell’edema sembra avvenire direttamente a livello della parete endoteliale, la conseguenza finale è la stessa: l’aumento della permeabilità dei vasi sanguigni, la fuoriuscita di liquidi nei tessuti e il conseguente gonfiore”, sottolinea il professore.
Gli edemi si possono localizzare in varie sedi dell’organismo, determinando conseguenze più o meno gravi: possono svilupparsi su mani o piedi, dove provocano ‘solo’ fastidio o difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane; possono sfigurare il volto, gonfiando le labbra e le palpebre; in altri casi ancora possono riguardare l’addome, causando dolori intensi accompagnati da vomito e diarrea. “Gli attacchi più pericolosi, però, sono sicuramente quelli localizzati alla gola, per il rischio di soffocamento”, spiega il prof. Zanichelli. “In questi casi, disporre di una terapia specifica ed efficace, da somministrare tempestivamente, può fare davvero la differenza tra la vita e la morte”.
IL TRATTAMENTO DELL’ANGIOEDEMA REDITARIO CON C1-INIBITORE NORMALE
Le strategie terapeutiche per l’HAE con C1-inibitore normale sono le stesse utilizzate per l’angioedema da deficit di C1-inibitore, anche se ancora mancano studi clinici randomizzati che abbiano effettivamente testato l’efficacia di tali trattamenti in questa particolare forma di malattia. “Nello specifico, si utilizzano farmaci come l’icatibant, che blocca l’azione della bradichinina, o il C1-inibitore derivato da plasma, entrambi impiegati in fase acuta”, spiega il prof. Zanichelli. “Alcuni pazienti assumono acido tranexamico come profilassi a lungo termine e, più recentemente, sono stati impiegati gli anticorpi lanadelumab e garadacimab per la prevenzione delle recidive. Nelle donne si valuta l’utilizzo di antiestrogeni, che possono avere un ruolo nel prevenire gli attacchi, soprattutto nelle pazienti portatrici di mutazioni del gene del fattore XII”. Il ruolo degli estrogeni come elemento scatenante degli episodi di angioedema è infatti ben documentato, ed è ormai noto che gli attacchi della malattia tendono a diventare più frequenti e più intensi durante la gravidanza o in corso di terapie ormonali.
La risposta al tipo di terapia, inoltre, può avere anche un valore orientativo nella diagnosi. “In alcuni casi, la mancata risposta a terapie standard, come gli antistaminici o il cortisone, e il miglioramento dopo la somministrazione di un farmaco come icatibant, può suggerire che si tratti di una forma di HAE mediata dalla bradichinina”, afferma il prof. Zanichelli. “Non si tratta di una prova definitiva, ma di un indizio clinico che può contribuire a orientare il sospetto diagnostico”.
LE PRIORITÀ DELLA RICERCA: BIOMARCATORI DI MALATTIA E CONFERME TERAPEUTICHE
Come già evidenziato, nell’HAE con C1-inibitore normale la diagnosi resta un punto cruciale, ma l’assenza di marcatori biochimici specifici per la patologia costituisce un tallone d’Achille. “Purtroppo, ad oggi non ne disponiamo, e la diagnosi può essere confermata solo dai test genetici”, ribadisce Zanichelli. In teoria esistono dei biomarcatori, misurabili nel sangue, come la bradichinina stessa o i prodotti di clivaggio del chininogeno ad alto peso molecolare. La loro applicazione nella pratica clinica, tuttavia, è complessa: la bradichinina, ad esempio, ha una vita media brevissima, dell’ordine di pochi secondi, prima di essere degradata, e questo rende praticamente impossibile dosarla; per quanto riguarda la misurazione del chininogeno clivato, poi, i test non sono ancora standardizzati né tantomeno disponibili nei comuni laboratori di analisi. Una nuova metodica in corso di sperimentazione è rappresentata dalla misurazione dell’attivazione del sistema delle chinine in seguito all’esposizione al freddo, ma serviranno ulteriori indagini per poter contare su questo metodo per la diagnosi dell’HAE con C1-inibitore normale.
Sul fronte clinico, invece, la sfida è dimostrare in modo rigoroso l’efficacia dei trattamenti attualmente disponibili. “Vista l’eterogeneità delle forme di angioedema con C1-inibitore normale e le diverse mutazioni genetiche che possono esserne all’origine, l’osservazione di una buona risposta clinica durante un attacco, per quanto incoraggiante, non è sufficiente a comprovare l’efficacia di una terapia”, sottolinea il prof. Zanichelli. “Servirebbero studi controllati per testare questi farmaci, così come è avvenuto per l’angioedema ereditario da deficit di C1-inibitore”. Una raccolta sistematica dei dati clinici dei pazienti affetti da HAE con C1-inibitore normale potrebbe sicuramente aiutare ma, data la rarità della patologia, questo è possibile solo grazie alle reti dei centri specializzati, come ITACA, e ai registri nazionali e internazionali dei pazienti. “Questo lavoro di collaborazione e condivisione è fondamentale - conclude l’esperto - perché permette di mettere insieme informazioni ed esperienze per ottenere risultati che, da soli, sarebbero impensabili”.