L’associazione PFIC Italia Network: “La ricerca deve comunque andare avanti: una parte dei pazienti non è responsiva ai nuovi trattamenti ed è quindi orfana di opzioni terapeutiche”
Il numero di casi italiani di colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC) continua ad aumentare: un dato che può essere spiegato sia dall'opera di sensibilizzazione sulla malattia che è stata fatta negli ultimi anni, sia dal cospicuo numero di famiglie straniere che arrivano nel nostro Paese per avere accesso alle cure. Spesso, dai centri di riferimento italiani, i pazienti che giungono dall’estero vengono poi messi in contatto con l'associazione PFIC Italia Network, nata nel 2020 per dare voce alle persone affette da questa rara malattia epatica di origine genetica.
È di soli tre mesi fa la vicenda di Ayeda, la bambina afghana di due anni affetta da PFIC, rifugiata in Iran con la sua famiglia, che in seguito a una grande mobilitazione è riuscita ad arrivare a Palermo, dove sta ricevendo le cure che le erano necessarie. Un risultato reso possibile dall'appello di PFIC Italia Network, raccolto da OMaR e da una rete di solidarietà che ha coinvolto istituzioni e centri specialistici.
In questo contesto, gli sforzi dell'Associazione non si fermano: tante altre famiglie che convivono con la PFIC stanno arrivando in Italia in cerca di quei trattamenti che nei loro Paesi d'origine non sono disponibili. “Le realtà ospedaliere nazionali stanno cominciando a mettere in contatto i pazienti con la nostra associazione”, spiega la presidente, Francesca Lombardozzi. “Questo è molto importante per noi, perché significa che i centri specialistici riconoscono il nostro lavoro nell'agevolare il percorso di cura delle famiglie. È un rapporto di fiducia che sta crescendo e, di fatto, una cooperazione che salva delle vite”.
Cresce anche la rete di collaborazione che l’Associazione sta intessendo a livello globale: dopo l'ingresso nell'Alleanza Internazionale PFIC (di cui avevamo dato notizia nel febbraio 2024), PFIC Italia Network è entrata a far parte anche di un gruppo europeo che si chiama ELDAA (European Liver Disease Advocacy Association), un'organizzazione che si occupa di malattie epatiche, pediatriche e non.
Un'altra novità è la pubblicazione del libro per bambini “La primavera del lupo farfalla”, scritto da Federica Ortolan, illustrato da Giulia Orecchia ed edito da Carthusia. Il tenero racconto parla di un legame fraterno molto speciale per dar voce a tutti i “rare sibling”, i fratelli e le sorelle di pazienti affetti da malattie rare. L'iniziativa è stata realizzata da PFIC Italia Network, Alagille Italia e AITC (Associazione Italiana Tumori Cerebrali), con il contributo incondizionato di Ipsen e il patrocinio di OMaR e del progetto Rare Sibling. Anche l'anno scorso l'Associazione aveva realizzato un albo illustrato, intitolato “Il drago ruba bellezza” e dedicato ai bambini con PFIC.
“Nel frattempo vanno avanti i nostri programmi di supporto”, prosegue Lombardozzi. “Quest'anno c'è stato un forte investimento economico sul programma di sostegno psicologico per i genitori, perché abbiamo visto che c'è una richiesta altissima di questo servizio, che l'Associazione offre gratuitamente alle famiglie rivolgendosi a degli specialisti. Stiamo seguendo le famiglie anche per quanto concerne alcuni aspetti legali: ad esempio, i nostri avvocati hanno recentemente aiutato una mamma senegalese nella richiesta dei benefici previsti dalla Legge 104. Quest'estate, poi, c'è stato un momento bellissimo: con un gran numero di famiglie PFIC abbiamo fatto l'esperienza del “Dynamo Camp”, che ripeteremo a breve. È stato davvero utile ed emozionante: molti genitori sono tornati a casa con una prospettiva diversa rispetto alla patologia”.
Per la PFIC, d'altra parte, negli ultimi anni c'è stata una vera e propria rivoluzione, con l’avvento degli inibitori del trasportatore ileale degli acidi biliari, i farmaci maralixibat e odevixibat: entrambi disponibili in Italia, negli studi clinici hanno dimostrato di poter ridurre i livelli sierici di acidi biliari e la gravità del prurito. “Siamo entusiasti del fatto che finalmente ci siano delle opzioni terapeutiche per gestire il sintomo peggiore della nostra malattia, che è appunto il prurito”, dichiara Francesca Lombardozzi. “Siamo molto grati alla scienza per essere arrivati a questo risultato. Prima, la nostra unica opzione era il trapianto di fegato. Nei casi più gravi di PFIC, purtroppo, questo intervento si rende ancora necessario, non solo per la progressione della malattia verso la cirrosi epatica, ma anche per la scarsa qualità di vita data dal prurito e, in alcune circostanze, per lo scarso accrescimento e il deficit vitaminico”.
“I nuovi farmaci hanno migliorato incredibilmente la qualità di vita delle famiglie, anche se purtroppo non sono efficaci su tutti i pazienti. Ci sono ancora alcuni sottotipi di colestasi intraepatica familiare progressiva che sono orfani di qualsiasi opzione terapeutica – è il caso di mia figlia – e noi, come associazione, dobbiamo tenere i riflettori accesi sulla necessità che la ricerca vada avanti anche per questi pazienti”, conclude la presidente di PFIC Italia Network.