Uno studio turco su 1.553 pazienti, tra i più vasti sulla patologia, rivela il peso dei fattori sociali e genetici nella diagnosi precoce
Uno tra i più vasti studi osservazionali, condotto in Turchia su oltre 1.500 pazienti con fenilchetonuria (PKU), fotografa 40 anni di diagnosi e mostra come lo screening neonatale abbia ridotto drasticamente l’età media della diagnosi, ma non elimini i ritardi. La ricerca evidenzia anche il peso dei fattori sociali e della consanguineità, che rendono la malattia più grave e la diagnosi meno tempestiva.
La fenilchetonuria è una rara malattia genetica ereditaria che colpisce il metabolismo della fenilalanina, un aminoacido presente in molti alimenti proteici. In assenza dell’enzima necessario a smaltirla, questa sostanza si accumula nel sangue e diventa altamente tossica per il cervello in via di sviluppo. Se non diagnosticata subito dopo la nascita, la PKU può causare gravi danni neurologici permanenti, con disabilità intellettiva e disturbi motori.
Oggi, grazie allo screening neonatale, la PKU può essere individuata nei primissimi giorni di vita e controllata con una dieta specifica a basso contenuto di fenilalanina, permettendo una crescita pressoché normale. Ma quanto funziona davvero questo sistema su vasta scala?
Lo studio turco, che ha seguito 1.553 pazienti dal 1981 al 2022 in tre centri pediatrici, offre una risposta concreta: lo screening neonatale ha ridotto l’età mediana della diagnosi a 21 giorni, un tempo compatibile con la prevenzione dei danni neurologici. Tuttavia, quasi un terzo dei bambini continua a ricevere la diagnosi oltre il primo mese di vita, segnalando che il sistema, pur salvavita, non è ancora pienamente efficace.
I RISULTATI PRINCIPALI
Circa il 37% dei pazienti presentava la forma classica di PKU, la più grave. Un dato particolarmente rilevante riguarda la consanguineità: nel 43,5% dei casi i genitori erano consanguinei, spesso cugini. Questo aumenta in modo significativo il rischio che il bambino erediti la mutazione genetica responsabile della malattia in forma più severa.
Dal punto di vista genetico, la mutazione più frequente del gene PAH è risultata c.1066-11G>A. Nei figli di coppie consanguinee la probabilità di essere omozigoti per la mutazione – quindi con manifestazioni più gravi – era molto più alta rispetto agli altri.
Lo studio mostra in modo chiaro l’impatto positivo dello screening neonatale, introdotto in Turchia nel 2006: dopo la sua attivazione, l’età mediana alla diagnosi è scesa a 21 giorni di vita, un tempo compatibile con la prevenzione dei danni neurologici.
Tuttavia emerge anche un limite importante: quasi il 30% dei bambini ha ottenuto la diagnosi dopo il primo mese di vita, nonostante lo screening sia attivo. Un ritardo che può compromettere seriamente l’efficacia del trattamento.
IL PESO DEI FATTORI SOCIALI
Un altro dato rilevante riguarda il livello di istruzione delle madri. I figli di madri con basso livello scolastico presentavano una maggiore probabilità di diagnosi tardiva. Questo indica che lo screening, per quanto disponibile, non sempre raggiunge tutte le famiglie in modo uniforme. Barriere culturali, informative e organizzative possono ancora ostacolare l’accesso tempestivo alle cure.
UNA LEZIONE DI SANITÀ PUBBLICA
Lo studio dimostra che lo screening neonatale è uno strumento salvavita fondamentale, ma da solo non è sufficiente. Nei Paesi con alta consanguineità sono indispensabili anche programmi di consulenza genetica, campagne di informazione sanitaria, un’organizzazione efficiente dei servizi di diagnosi e follow-up.
La fenilchetonuria è oggi una malattia i cui effetti più devastanti possono essere prevenuti grazie a una corretta presa in carico terapeutica. Ogni diagnosi tardiva, però, rappresenta una disabilità evitabile. Ed è proprio questo il messaggio più forte che emerge da questa ampia ricerca: la prevenzione funziona solo se è davvero accessibile a tutti.
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