Lipodistrofia: una malattia complicata da gestire, in particolare nell'adolescenza

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La prof.ssa Flavia Prodam (Novara) descrive i campanelli d'allarme della patologia in questa fascia d'età e le figure mediche necessarie per una presa incarico multidisciplinare dei pazienti 

Nella fase dell'adolescenza il rapporto fra tessuto adiposo e ormoni sessuali è molto complesso, e questo fattore può favorire l'insorgenza di una patologia rara, la lipodistrofia. In realtà, con questo termine si definisce un gruppo di malattie accomunate da una perdita di tessuto adiposo sottocutaneo, fra le quali si distinguono, a seconda dell'entità di questa perdita, due forme: generalizzate e parziali. “Le lipodistrofie generalizzate solitamente vengono diagnosticate molto prima dell'adolescenza, mentre le lipodistrofie parziali iniziano a dare i primi segni e sintomi proprio in questa fascia d'età e possono rappresentare una sfida diagnostica”, spiega la prof.ssa Flavia Prodam, della SCDU Endocrinologia e Diabetologia dell'Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara.

La causa della lipodistrofia può essere genetica o acquisita. “Le forme genetiche sono le più note e più frequentemente riconosciute nei database nazionali e internazionali, compreso il registro del consorzio europeo ECLIP (European Consortium of Lipodystrophies), che proprio in questi mesi sta rivalutando tutta la letteratura scientifica per aggiornare la classificazione delle forme di malattia e dei geni implicati. Negli adolescenti si manifestano prevalentemente le forme genetiche di lipodistrofia, come quella parziale familiare; esiste però anche una forma parziale poligenica, la lipodistrofia di tipo Köbberling, che di solito viene riconosciuta più tardivamente, verso l'età adulta”, prosegue l'endocrinologa, professore associato presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell'Università del Piemonte Orientale.

Le lipodistrofie acquisite (sia di tipo generalizzato che di tipo parziale) possono avere una base autoimmune – anche se non si è ancora compreso quale sia il fattore scatenante che le determina – e spesso si associano ad altre patologie dovute a disfunzione del sistema immunitario. Nelle forme acquisite parziali la causa più frequente è legata alla presenza dell’autoanticorpo noto come “fattore nefritico C3”: sono pazienti che possono presentare delle insufficienze renali più o meno severe, che possono anche condurre alla necessità di dialisi e trapianto. Tra le lipodistrofie acquisite c'è anche una forma che si associa a trapianto midollare allogenico con radioterapia total body”.

Prof.ssa Prodam, quali sono i segni clinici più comuni che possono far sospettare la malattia in un adolescente?

La manifestazione più evidente è l'alterazione della composizione corporea, e quindi la perdita di tessuto adiposo sottocutaneo, che nelle forme generalizzate di lipodistrofia, sia congenite che acquisite, sarà completa, tranne di solito nel palmo delle mani e nei piedi. Nelle forme parziali la perdita di tessuto adiposo avviene prevalentemente negli arti e inizia a manifestarsi dall'età pediatrica; il tessuto adiposo si accumula invece a livello del volto, dando al paziente un aspetto pseudo-cushingoide. Questa alterazione della composizione corporea si associa anche a un aspetto atletico: in alcune persone osserviamo degli arti inferiori con dei polpacci che sembrano molto muscolosi, come se il paziente facesse un'attività sportiva agonistica. Possono esserci anche delle alterazioni metaboliche, come dislipidemia, pre-diabete o diabete con insulino-resistenza. Un altro segno fenotipico è l'acanthosis nigricans, ovvero delle zone più scure a livello della pelle del collo, delle ascelle e delle pieghe inguinali. Infine, nella femmina possiamo avere una sindrome dell'ovaio policistico, un'assenza del menarca e quindi un ritardo di sviluppo. Ricordiamo, infatti, che la lipodistrofia ha un fenotipo più facilmente riconoscibile nel sesso femminile, tanto che nei registri la maggior parte dei pazienti sono femmine, mentre i maschi diagnosticati sono perlopiù parenti di femmine già riconosciute”.

Una volta individuati questi campanelli d'allarme, quali sono gli esami che bisogna eseguire per arrivare alla diagnosi?

“Vari esami ci aiutano a identificare la lipodistrofia e, successivamente, la specifica forma di malattia. Il punto di partenza è la visita clinica del paziente, quindi la misurazione di peso e altezza, la valutazione della distribuzione del tessuto sottocutaneo attraverso la plicometria e poi un esame più accurato attraverso la DXA, una metodica a raggi X che è il gold standard per l’analisi della composizione corporea. A questi esami si aggiungono dei dosaggi biochimici di leptina e adiponectina, ormoni tipici del tessuto adiposo che sono ridotti nelle lipodistrofie parziali e quasi assenti nelle forme generalizzate. Poi c'è la valutazione del quadro metabolico (quadro lipidico e metabolismo glico-insulinemico). In caso di ritardo puberale si conduce un esame dell'asse gonadico e una valutazione ecografica per vedere se nelle donne è presente una sindrome dell'ovaio policistico. Nei casi di lipodistrofia più conclamati, poi, bisogna fare un'approfondita valutazione della patologia, perché questi pazienti possono manifestare steatosi o fibrosi epatica, e in forme come quelle da fattore nefritico C3 è necessario anche un esame nefrologico. Tutto questo si accompagna infine al test genetico: alcuni centri hanno implementato dei pannelli NGS (Sequenziamento di Nuova Generazione) per l’analisi dei geni più noti che causano la patologia”.

L'adolescenza è sempre una fase molto delicata, di passaggio. Quali sono le implicazioni psicologiche della lipodistrofia in questo momento della vita?

La lipodistrofia si associa ad alterazioni del tono dell'umore e sono riportate sia ansia che depressione, probabilmente collegate alla carenza di leptina a livello del sistema nervoso centrale ma anche connesse alle difficoltà nella diagnosi e nella cura della patologia, nonché allo stigma sociale. Ad esempio, alcuni pazienti sono costretti a girare tra diversi ospedali e ad eseguire numerosi esami prima che la loro patologia sia riconosciuta; altri possono sentirsi 'accusati' di non seguire le indicazioni dietetiche e terapeutiche dello specialista, con conseguente frustrazione. Ovviamente, poi, pesa tantissimo il cambiamento della composizione corporea, con perdita di tessuto adiposo in alcune zone del corpo e accumulo di grasso in altre parti, come il collo o il volto, o con l'aspetto molto muscoloso nelle gambe di alcune pazienti di sesso femminile. A questo si può aggiungere la presenza di irsutismo, di acanthosis nigricans o, nelle forme generalizzate di lipodistrofia, di un aspetto acromegaloide del viso. Sono tutte stigmate che creano un vissuto doloroso nel paziente, tanto che in Italia si discute sull'ipotesi di inserire nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) gli interventi di medicina estetica che possono migliorare la qualità di vita di questi pazienti”.

Quali sono gli specialisti che dovrebbero essere coinvolti nella gestione multidisciplinare di questa patologia?

Prima di tutto, il paziente con lipodistrofia necessità di indicazioni dietetico-nutrizionali che non sono quelle tipiche della persona in sovrappeso, e di un supporto affinché impari a preparare i piatti nel modo più adeguato, in modo da migliorare gli outcome terapeutici. Ad esempio, lo chef Matia Barciulli, papà di un bambino lipodistrofico e socio dell'Associazione Italiana Lipodistrofie (AILIP), ha recentemente realizzato un ricettario per aiutare i pazienti da questo punto di vista. Di solito, la figura principale nella gestione della lipodistrofia è l’endocrinologo, ma il trattamento delle complicanze associate richiede un'ampia rete di specialisti. I pazienti, infatti, possono richiedere terapie per le alterazioni metaboliche (dislipidemia o diabete) e alcune forme di malattia possono dare luogo a problematiche fisiatriche e ortopediche, come l'instabilità atlanto-epistrofea (un'anomalia della colonna vertebrale) nella lipodistrofia congenita generalizzata di tipo 4. Molto spesso c’è bisogno di trattamenti per il controllo dell'ipertensione o del ritmo cardiaco, perché i pazienti, in certi casi, possono andare incontro a eventi cardiologici e persino a morte improvvisa. A volte sono necessari anche gastroenterologi (in caso di dismotilità gastrica), radiologi esperti, terapisti per la riabilitazione fisiatrica ed esperti del sonno, perché alcuni pazienti possono sviluppare delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS). Infine, abbiamo parlato delle implicazioni psicologiche della malattia: quindi ci sarà bisogno anche di un team di supporto psicologico, non solo per i pazienti, ma anche per genitori e caregiver”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Francesco Fuggetta)