Malattia di Crohn: l’intelligenza artificiale svela un mistero genetico e apre a nuovi approcci terapeutici

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Lo studio commentato dall’esperta italiana: “le terapie mirate e l’uso dell’IA nella diagnosi rappresentano strumenti concreti per migliorare la qualità di vita dei pazienti” 

Una nuova ricerca condotta dalla University of California San Diego School of Medicine ha utilizzato l’intelligenza artificiale per contribuire a fare luce sui meccanismi genetici alla base della malattia di Crohn. Lo studio, pubblicato qualche settimana fa sul Journal of Clinical Investigation, ha dimostrato che un’interazione difettosa tra il gene NOD2 e la proteina girdin può scatenare un’infiammazione cronica nell’intestino. La proteina NOD2 è implicata nel sistema di sorveglianza del corpo contro le infezioni: quando si lega a girdin, rileva i patogeni e mantiene l’equilibrio immunitario nell’intestino. Senza questa “partnership”, il sistema crolla.

L’intuizione della ricerca è stata possibile grazie all’uso dell’IA, che ha analizzato migliaia di profili genetici di macrofagi, i globuli bianchi specializzati nella difesa dell’intestino. Questo ha permesso di distinguere chiaramente i macrofagi infiammatori, responsabili dell’attacco ai microbi dannosi, da quelli riparatori, che invece promuovono la guarigione dei tessuti. Nei pazienti con Crohn, l’equilibrio tra questi due tipi di cellule si rompe: i macrofagi infiammatori rimangono attivi, causando danni cronici.

MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI: ENORMI PASSI AVANTI IN POCHI ANNI 

La scoperta apre nuove prospettive terapeutiche, ma non arriva da sola. “Negli ultimi anni, la ricerca sulle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), fra le quali troviamo la Crohn, ha compiuto passi importanti. Oggi abbiamo a disposizione diverse opzioni terapeutiche per i nostri pazienti, come le terapie biologiche (anticorpi monoclonali) e le piccole molecole, che possono agire su punti diversi del processo infiammatorio”, spiega Fabiana Zingone, Docente di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Chirurgia, Oncologia e Gastroenterologia dell’Università di Padova.

Si tratta di farmaci biologici come gli anti-TNF (infliximab e adalimumab), ma anche di vedolizumab, un’anti-integrina, e di anticorpi monoclonali diretti contro le interleuchine IL-12 e IL-23, come ustekinumab, oppure dei più recenti anti-IL23, tra cui risankizumab, che hanno ampliato in modo significativo le opzioni terapeutiche disponibili. 

Negli ultimi anni sono state sviluppate anche piccole molecole per uso orale capaci interferire selettivamente con i pathway dell’infiammazione. “Tra le novità per la malattia di Crohn c’è upadacitinib, una molecola che agisce bloccando i recettori delle Janus chinasi (JAK), i quali svolgono un ruolo chiave nella trasmissione dei segnali di più molecole implicate nell’infiammazione intestinale”.

Nonostante questi progressi, non esiste ancora una terapia efficace per tutti. La ricerca oggi punta a identificare biomarcatori che consentano di abbinare il paziente alla molecola più adatta, riducendo il principio del “trial and error”. “Anche qui, l’IA potrebbe giocare un ruolo cruciale: analizzando database di caratteristiche dei pazienti e risposte ai farmaci, è possibile creare cluster predittivi per terapie personalizzate”.

DIAGNOSI: DALL’OSSERVAZIONE CLINICA ALL’IA

La diagnosi di Crohn non è sempre immediata. Parte sempre da un sospetto clinico e deve essere confermata in centri specializzati. Tra i primi strumenti ci sono i marcatori infiammatori fecali, come la calprotectina, che aiutano a distinguere le MICI, e la malattia di Crohn in particolare, da condizioni funzionali come l’intestino irritabile (IBS). Fondamentale è anche la colonscopia, che permette di studiare il colon e l’ultima parte del piccolo intestino.

L’IBS, dal canto suo, è una patologia dell’asse intestino-cervello, non ha marcatori biologici chiari, ma si basa su dei criteri specifici – i cosiddetti criteri di Roma – per la diagnosi. Sintomi come dolore addominale, alterazioni dell’alvo in senso diarroico possono essere presenti in entrambe le condizioni cliniche, ma caratteristiche come sangue nelle feci, febbricola o sintomi notturni orientano verso le MICI. In diagnosi differenziale con l’IBS vi è anche la celiachia, quindi nell’iter diagnostico è importante la ricerca anche della sierologia specifica per tale patologia.

L’IA sta trovando applicazione anche in campo diagnostico”, continua Zingone. “Vi sono ricerche che mirano al suo utilizzo al fine di supportare i medici nella classificazione della severità della malattia, migliorando il riconoscimento delle lesioni endoscopiche e aiutando nell’interpretazione di esami radiologici e ecografie”.

GUARDARE AL FUTURO CON OTTIMISMO

“Se da un lato le MICI restano patologie complesse e variabili, la combinazione di IA, genetica e possibili nuovi marcatori offre una prospettiva oggi certamente molto più positiva rispetto ad alcuni anni fa”, conclude Zingone. “La capacità di analizzare i dati delle singole cellule ha reso possibile comprendere meccanismi che fino a pochi anni fa sembravano insondabili, come l’interazione NOD2-girdin. Dall’altra parte, le terapie mirate e l’uso dell’IA nella diagnosi rappresentano strumenti concreti per migliorare la qualità di vita dei pazienti e aprire la strada a un futuro sempre più personalizzato e preciso”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Cristina Da Rold)