Il quasi trentenne Schubert diede ufficialmente alle stampe la sua prima Sonata per pianoforte nel 1826: in realtà ne aveva già composte almeno sedici, ma aveva deciso di tenerle nel cassetto. Dall’editore Pennauer di Vienna uscì dunque la sua Première Grande Sonate in la minore, contrassegnata dal numero d’opera 42 (oggi nota anche con il numero di catalogo D845). Si trattava di un’operazione promozionale importante, poiché l’arciduca e cardinale Rodolfo d’Austria, allievo e mecenate di Beethoven, aveva accettato di comparire nell’edizione come dedicatario. Non sappiamo se il buon Rodolfo, che era anche un pianista provetto, si sia davvero cimentato nello studio di questo pezzo. Se così avvenne, forse si stupì di quanto fosse poco beethoveniana la Sonata di Schubert. Che, in effetti, abbonda di tratti inconsueti e talora bizzarri. Certamente l’autore prediligeva il secondo movimento in forma di tema con variazioni: come scrisse in una lettera ai genitori, lo eseguì personalmente durante una visita al monastero di Kremsmünster. Tanto il primo movimento quanto in Rondò finale esordiscono con idee musicali che sembrerebbero ben poco adatte al genere della sonata, ma l’impegno costruttivo è assolto egregiamente. Non c’è dubbio: questa è una ‘Grande Sonata’, ma elabora strategie di sviluppo molto personali. Vi possiamo dunque scorgere un ideale punto d’incontro tra l’incomparabile compositore di Lieder (si pensi al tema dell’Andante o al Trio dello Scherzo) e il magistrale autore della Sinfonia n.9 ‘La Grande’.
Davidsbündlertänze, che significa letteralmente Danze della Lega di Davide, è il titolo di un ciclo di diciotto brevi pezzi pianistici composti da Schumann nel 1837. Anche se qua e là si riconoscono i tratti di un valzer o di una polka, queste miniature hanno più la parvenza di annotazioni musicali di un diario intimo piuttosto che di danze vere e proprie.
Nella fervida immaginazione di Schumann, nutrita di letture bibliche, come si conveniva a ogni buon fedele luterano, la Lega di Davide avrebbe dovuto sconfiggere i Filistei: fuor di metafora, si trattava della lotta dei veri artisti, in cui Schumann ovviamente si riconosceva, contro il cattivo gusto e il conformismo piccolo-borghese.
La raccolta si apre con la citazione di un vecchio detto tedesco che, tradotto in italiano, così recita: «In ogni tempo e luogo, piacere e dolore si intrecciano; rimanete devoti nella gioia e siate pronti ad affrontare il dolore con coraggio». Le battute iniziali della prima danza recano anche la citazione di un motto musicale derivato dalla Mazurka op.6 n.5 di Clara Wieck, futura moglie del compositore. Diario privato, si diceva: quasi di autoanalisi psicoanalitica, molti anni prima di Freud… E infatti l’autore stesso attribuisce alcune pagine della raccolta alla sua natura contemplativa (rappresentata dal personaggio immaginario di Eusebius, che etimologicamente significa ‘uomo pio’), altre invece al suo temperamento impulsivo (Florestan, ovvero uomo dei fiori, dunque legato alla vitalità della natura). Ogni danza rappresenta un mondo a sé, ma con un’eccezione significativa: i numeri 2 e 17 si rispecchiano a distanza, condividendo la stessa idea musicale, assai espressiva, nella tonalità di si minore. Altra singolarità: il primo e l’ultimo brano sono in due tonalità diverse, quasi per sottolineare che l’insieme degli umori contrastanti è più importante dell’organicità del ciclo. Anche se reca il 6 come numero d’opera, la raccolta venne composta e pubblicata dopo il Carnaval op.9 con cui condivide alcuni tratti stilistici, seppur declinati all’insegna di un più pronunciato intimismo. Le danze vennero dedicate a Walther von Goethe, pianista e compositore pronipote di Wolfgang Goethe (incredibilmente, la fallace Wikipedia indica invece proprio il grande poeta, scomparso nel 1832, quale destinatario dell’opera schumanniana).
Liszt pubblicò la Rapsodia ungherese n.13 nel 1853 ricavando buona parte dei temi da antologie di musica popolare. Una di queste melodie sarà citata e rielaborata anche nel celebre pezzo violinistico Zigeunerweisen (Melodie zingaresche) di Pablo de Sarasate. Come nelle altre Rapsodie, a una parte introduttiva di carattere malinconico, fa seguito una sezione veloce di travolgente virtuosismo.