“SENZA” non significa più sano - A.I.D.O.

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Spesso si cerca in etichetta l’assenza di un dato ingrediente, pensando di fare bene e orientarci su un prodotto di maggiore qualità. Una tendenza lodevole, ma non sempre con risvolti positivi. Scopriamo i pro e contro

di Vita e Salute

Da alcuni anni i prodotti free-from (cioè senza determinate sostanze, ritenute per i motivi più diversi non salutari) sono in netta ascesa. La parolina “senza” che compare nel packaging dei prodotti alimentari viene ricercata sulle confezioni per capire se quell’articolo fa al proprio caso quando si vuole o si deve escludere qualcosa dalla dieta. Ed ecco alimenti privi di glutine, grassi idrogenati, conservanti, zuccheri aggiunti, olio di palma… Ma prima di optare per un free from occorre farsi qualche domanda, esaminare le etichette e capire se fa proprio al caso nostro. Perché il termine “free from” non è necessariamente sinonimo di sano.

Parla la confezione

“Leggete sempre gli ingredienti in etichetta per conoscere la composizione del prodotto”, raccomanda Michela Trevisan, biologa nutrizionista di Mogliano V. (TV). E chiedetevi: come viene sostituito l’ingrediente mancante? Qual è l’equilibrio complessivo del prodotto? Per esempio la riduzione o l’eliminazione del sale è positiva, ma se per compensare il gusto si usano molti grassi (oltre il 15%), non si ottiene un buon prodotto. Gli snack che rimpiazzano il controverso olio di palma – oggi praticamente al bando – con un altro grasso altrettanto raffinato, o che hanno mantenuto la stessa composizione magari troppo zuccherina, non sono poi così meglio.
In linea di principio, piuttosto che escludere acriticamente qualcosa senza una vera necessità medica, è sempre meglio puntare su una dieta varia ed equilibrata.
Ciò detto, ecco i pro e i contro dei free from più richiesti.

La lista degli assenti

Additivi. Il fatto di usare vari additivi può nascondere la necessità di coprire ingredienti di scarsa qualità. Molti additivi sono poi controversi e potenzialmente rischiosi per la salute; per esempio alcuni coloranti e conservanti sono ritenuti concausa della sindrome da iperattività. Bene quindi propendere per i “senza” additivi, ma ancora meglio per il bio, che ammette poche sostanze e tutte controllate.

Glutine. Non abusare di glutine è una bella cosa, ma se si vuole ridurlo nella dieta o si è allergici è bene prima di tutto controllare le etichette di prodotti dall’aria innocente, come i burger vegetali (ma non solo), spesso compattati con l’aiuto di questa proteina. E poi puntare su una sana alternanza di cereali con e senza glutine, ma pure su prodotti di base come la pasta di cereali privi di glutine piuttosto che su quei preparati e prodotti pronti contenenti molti grassi, addensanti e farine raffinate di riso o mais, che hanno un indice glicemico piuttosto alto.

Grassi idrogenati. Sono oli vegetali per loro natura liquidi, sottoposti a solidificazione per praticità di impiego. Presentano quindi una struttura modificata non esistente in natura e si rivelano nocivi per l’apparato cardiovascolare, ma non solo. “Aumentano la formazione di radicali liberi, alterano la permeabilità delle membrane cellulari e causano obesità. Hanno infatti un’azione diretta sul Dna, dal momento che agiscono sui geni che determinano la produzione di enzimi che bruciano i grassi”, spiega Trevisan. Inoltre aggravano la carenza di acidi grassi essenziali e sono associati a un innalzamento dell’insulina, a una ridotta risposta immunitaria, a malattie degenerative.

Grassi saturi e colesterolo. Un eccesso di entrambi è negativo per il benessere, anche se i grassi saturi hanno conosciuto di recente una certa riabilitazione. Infatti questi lipidi non sono tutti uguali: per esempio quelli del cocco hanno effetti benefici sul microbiota. Ciò non significa però che il consumo sia libero. “Sicuramente è positivo ridurre i grassi saturi nella dieta”, sottolinea Trevisan, “ma se il prodotto contiene tanti zuccheri, si rischia comunque di avere effetti negativi sul colesterolo”.

Grassi trans. Sono lipidi insaturi la cui struttura si è modificata per un intervento esterno (es. riscaldamento e raffinazione). Al pari degli idrogenati, non esistono in natura e sono dannosi per cuore e arterie. Quindi ok a prodotti che non ne contengono.

Lattosio. I latticini delattosati sono oggi molto diffusi e apprezzati, dato che il lattosio (lo zucchero del latte) causa parecchie intolleranze e allergie. Il risultato si raggiunge impiegando un enzima che scinde il lattosio nelle sue componenti (galattosio e glucosio). Si dovrebbe quindi avere un prodotto meglio digeribile, ma spesso non è così: molte persone lamentano problemi digestivi e altri disturbi. In assenza di un’allergia o intolleranza conclamate, meglio rivolgersi a quei latticini che, in modo naturale e senza subire manipolazioni, hanno un ridotto tenore di lattosio e proteine meglio digeribili: si tratta dello yogurt e dei formaggi molto stagionati.

Olio di palma. La scritta “senza olio di palma” (la più ricercata in assoluto) compare quasi ovunque. Nel caso non ci sia, controllare bene l’etichetta.

Uova. Per decenni sono state accusate di ogni male, ma oggi la letteratura scientifica ne riconosce il valore nutrizionale e le assolve dalla colpa di alzare il colesterolo. Non è però il caso di esagerare con le uova. Meglio usarle a tavola come fonte proteica e limitarne il consumo nei prodotti da forno. Scegliere da allevamenti bio.

Zuccheri aggiunti. Ecco un’altra scritta molto ricercata. La dicitura “senza” può comparire solo se lo zucchero è presente nella misura massima di 0,5 g per 100 g o ml di prodotto. L’idea di fare a meno di questo dolcificante è certo allettante: se usato in eccesso può infatti favorire alcune problematiche come il sovrappeso e il diabete. È utile però sapere come viene sostituito. Spesso si utilizza il fruttosio, lo zucchero della frutta: in apparenza, un’alternativa sana. Ma finché si trova nella frutta, insieme ad altri componenti come la fibra, non ci sono grossi problemi. Diverso è il caso quando il fruttosio viene estrapolato; può dare allora alterazioni metaboliche che inducono sovrappeso e obesità, aumento della glicemia e quindi maggior rischio di diabete 2 e tumori. Anche se derivato dalla frutta, lo zucchero di uva o di mela che si trova a volte nelle confetture non è paragonabile a un frutto nella sua interezza: è sostanzialmente uno sciroppo molto concentrato, con un indice glicemico non proprio basso.
E non ha proprio nulla di naturale il tanto diffuso sciroppo di glucosio-fruttosio, un prodotto fortemente lavorato i cui effetti, aggravati, sono paragonabili a quelli del fruttosio. Quanto ai dolcificanti artificiali, vari studi avvertono della loro capacità di alterare il microbiota intestinale e di contribuire alla sindrome metabolica, favorendo l’obesità e la resistenza insulinica.
Ci sono anche le bibite 0 che, avverte la biologa, “secondo alcuni studi aumentano il rischio di diabete 2”.
Quindi, torniamo allo zucchero bianco? No, impariamo piuttosto ad apprezzare le bevande non zuccherate e a scegliere prodotti con pochi zuccheri (sotto il 15%), che facciano ricorso magari a frutta fresca o secca (uvetta ecc.). In ogni caso, bisogna puntare alla moderazione.

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