C'è un gran bisogno di ASSIF - Assif

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Oggettivamente mi sarei potuto fermare al titolo; che tra l’altro, da persona non dedita alla scrittura narrativa quale sono, forse dice anche troppo e funge da spoiler tremendo.

Sì, vero. Però non dice tutto.

Per raccontarvi il mio Fundraising To Say “Limited Edition” mi ritrovo a partire dalla Cappella degli Scrovegni, sia narrativamente che fisicamente. Appena arrivato giovedì a Padova avevo del tempo a disposizione prima del treno per Camposampiero, e quindi sono andato di corsa (letteralmente, perché il treno da Roma è arrivato in ritardo) a visitarla.
Non l’avevo mai vista.

Sarà stata l’indescrivibile bellezza di quel luogo, oppure l’essere avvolto da quei colori, oppure ancora essere, di fatto, in un luogo rivoluzionario, perché Giotto con la Cappella degli Scrovegni ha deciso di cambiare il corso dell’arte. Non lo so, ma so che lì ho avuto un mio primo e personalissimo assaggio di Fundraising To Say.

Sottolineo il personalissimo, perché se tra voi c’è qualcunƏ che davvero si intende di arte e di allegorie religiose, oppure che in quel luogo vede anche e soprattutto un luogo di Dio, il rischio che mi mandiate a quel paese alla prima occasione utile è altissimo.

Senza voler neanche lontanamente provare a lanciarmi in un esercizio di “albertangelismo”, nella fascia inferiore delle pareti della cappella sono raffigurate due serie che rappresentano allegoricamente da una parte 7 virtù e dall’altra i vizi che le negano e che gli si oppongono. In fondo a queste due pareti c’è un (incredibile) Giudizio Universale: ovviamente seguendo la parete delle virtù si arriva in Paradiso, seguendo quella dei vizi all’Inferno.

Tra tutte le virtù rappresentate, da fundraiser mi è caduto l’occhio in particolar modo sulla karitas, la carità, rappresentata come una bellissima donna che calpesta i sacchi di denaro e di altri beni mondani che sono a terra, mentre con una mano porge al prossimo un cesto pieno di frutti e fiori, e con l’altra offre il suo cuore a Dio, che sembra restituirglielo. Sappiamo che il concetto cristiano di karitas è diverso dal nostro dono. Ma quest’ultimo dettaglio mi ha impressionato e colpito davvero: la tensione tra i due soggetti intorno al cuore non rende possibile, almeno ai miei occhi, capire chi sta dando a chi; c’è reciprocità, c’è relazione…su queste due parole ci torneremo.

A questo punto mi è venuto automatico pensare che sulla parete opposta sarebbe stata rappresentata l’avarizia. E invece eccola lì: l’invidia, rappresenta come un’anziana diabolica che stringe con forza in una mano un sacco mentre con l’altra sembra voler prendere qualcosa, dalla cui bocca esce un serpente che le si ritorce contro, mordendole gli occhi, e ai cui piedi bruciano delle fiamme. Marcosplaining forse non necessario: l’invidia arde del desiderio delle cose altrui, facendo brulicare malelingue che si ritorcono contro chi le proferisce, impedendogli di vedere la realtà. D’altronde la parola invidia significa proprio questo: in-videre, non-vedere, o meglio ancora guardare contro o storto, con ostilità.

Ora, gli hater diranno che questa scelta è dettata dal fatto che Enrico degli Scrovegni, committente, fosse un banchiere e figlio di usuraio (Dante il papà lo mise nell’Inferno…) e che quindi sull’avarizia era meglio soprassedere. Ma haters gonna hate, e quindi io sono salito sul treno per Camposampiero con gli occhi e il cuore pieno di questo ragionamento: la negazione della karitas è l’invidia, ovvero la negazione della relazione che il dono crea e a cui il dono obbedisce, lo sparlare, il non-vedere o il vedere di cattivo occhio.

Fundraising To Say “Limited Edition” è iniziato con l’illuminante intervento del Prof. Lorenzo Biagi. Ammetto che, essendomi avvicinato a questa nostra professione da un punto di vista “tecnico”, raramente mi ero spinto così a fondo nel valore antropologico, sociologico e politico del nostro mestiere. Grazie al professor Biagi mi ci sono immerso occhi, orecchie, anima e mente. Nella sua presentazione il professor Biagi ha anche riportato e analizzato il pensiero di Mauss sul dono, che volendo sintetizzare estremamente (mi perdoni professore!) è che nel dono ciò che rileva principalmente non sono tanto le cose scambiate bensì il legame che, grazie alle pratiche del donare, si va a generare, a coltivare e a rafforzare. La relazione. E questa relazione si coltiva e si rafforza anche grazie al riconoscimento dell’altro, alla reciprocità che si genera con il dono e che è alla base di ogni legame sociale.

Ora voi capirete che, essendo andato a dormire con l’immagine della karitas giottesca nella mente, risvegliarmi con questo intervento del professor Biagi ha chiuso un cerchio nella mia testa e ha dato vita ad una piccola e personale epifania. Un inizio migliore possibile per questi due giorni non me lo sarei neanche riuscito ad immaginare.

L’indomani mattina, di buon’ora (pure troppo, visto che la notte precedente abbiamo assaggiato molte delle birre di un ottimo pub nelle vicinanze), scendo a fumare una sigaretta nel bellissimo chiostro dell’Oasi di Sant’Antonio che ci ha ospitato. Di lì a poco arriva un altro collega fumatore e ci mettiamo a chiacchierare sull’evento, su come sta andando, sugli spunti della prima giornata e via dicendo.

Si tratta di un collega di lungo (lunghissimo) corso, uno di quelli che ha contribuito in maniera determinante a rendere il nostro mestiere quello che è e che ha cristallizzato e reso comuni molte delle pratiche che quotidianamente portiamo avanti nelle nostre organizzazioni.

Ad un certo punto mi dice: “Marco, la verità è che c’è un gran bisogno di ASSIF. Perché io altrimenti di momenti come questi, durante l’anno, non ne vivrei neanche uno. Momenti in cui stare insieme, conoscerci, scambiarci idee ed ascoltare interventi interessanti. Sono momenti che mi servono e che ci servono”.

E qui ho avuto la seconda, personale, epifania di questi due giorni.

ASSIF e Fundraising To Say rispondono a un bisogno comune a tuttƏ noi, a prescindere dagli anni di esperienza, dal volume della raccolta fondi della nostra organizzazione o dalla nostra specializzazione: il bisogno di comunità, di relazioni, di legami sociali e di reciprocità che sono alla base della nostra professione ma che spesso riserviamo ai nostri donatori, mentre sono di fondamentale importanza anche tra di noi. Ed è vero: a parte ASSIF e momenti come Fundraising To Say o come gli incontri dei gruppi territoriali non esiste niente, in Italia, che possa anche solo lontanamente provare a rispondere a questo bisogno.

Anche questa giornata è iniziata benone” mi sono detto.

Finito l’evento saluto i colleghi e le colleghe, che già non vedo l’ora di rivedere, e con i superstiti che devono prendere il treno ce ne andiamo a mangiare una pizza in una locanda non troppo lontana dalla stazione.

Lì, dopo aver rischiato la mia incolumità per mano di un collega milanese al quale avevo appena detto che i risotti fatti con il Bimby sono molto buoni (ma lui fa la carbonara con la pancetta), arriva la terza epifania.

Una collega dice: “Ma lo sapete che non ho partecipato alle prime due edizioni di Fundraising To Say perché pensavo che fosse un evento come tanti altri, in cui si parlasse solo di fundraising?

Devo ammetterlo: qui, in me, oltre all’epifania si è manifestato anche un senso di colpa, perché sin dalla prima edizione ho dato una mano con la comunicazione per l’evento e adesso sono anche consigliere di ASSIF. Quindi se non siamo riusciti a far passare, a maggior ragione verso i nostri soci e le nostre socie, il “perché” di Fundraising To Say, c’è anche da fare mea culpa.

Ecco…da Fundraising To Say sono tornato a casa con tante cose: ispirazioni, motivazioni, sorrisi, abbracci, emozioni, nuove conoscenze e rinnovate amicizie. E un rosario di Sant’Antonio, perché altrimenti mia madre mi avrebbe negato il saluto per diversi anni.

Però poi, mentre ero in treno, mi sono rivenuti in mente la collega in pizzeria, il collega di lungo corso, il professor Biagi e la Cappella degli Scrovegni. E quindi ho capito che stavo tornando a casa con un’altra cosa, altrettanto importante (senza offesa per Sant’Antonio che, da bravo francescano, era un uomo umile): sono tornato a casa anche con un impegno personale.

Fare tutto ciò che mi è possibile per far crescere e rafforzare l’Associazione Italiana Fundraiser. Perché c’è un gran bisogno di ASSIF.

Marco Principia

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