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Workout Magazine - Studio Chiesa communication

Business di famiglia: Workout magazine incontra Fabrizio Pavan, CEO di Cuneo Inox Srl

Ve la ricordate? È stato un tormentone degli anni Ottanta, cantato dalle Sister Sledge, quattro scatenate sorelle che con questa canzone gridavano al mondo la forza e l’importanza di essere famiglia. Mi è tornato alla mente ascoltando Fabrizio Pavan, CEO di Cuneo Inox Srl, raccontare della sua azienda, sede di 25.000 metri quadrati a Castelletto Stura, 60 dipendenti, una cinquantina di milioni di fatturato, business incentrato sull’acciaio inossidabile, anzi «unici in Italia ad affiancare a un’attività di commercializzazione di materiali in acciaio inox, oggi prevalente, la produzione di semilavorati e anche una piccola parte di prodotto finito». Impresa famigliare senza se e senza ma, inossidabile come il metallo di cui si occupano, nella quale, oltre a lui e al fratello Davide, lavorano i suoi tre figli e la nipote, opportunamente ripartiti tra produzione, commerciale e amministrazione: «A ciascuno di loro ho detto loro la stessa cosa che mio padre a suo tempo aveva detto a me: devi scegliere un lavoro che ti piaccia, non un lavoro che ti porti quattrini. Quelli sono importanti e ti arriveranno, ma nel frattempo devi alzarti ogni mattina con la voglia di lavorare, di dedicarti con passione all’attività che hai scelto. Qui da noi potresti fare una prova, non ti costa nulla, se non ti piacerà, valuterai altre strade”. L’esperimento è stato positivo per tutti e quattro, proprio come era accaduto a me e a Davide, e quindi adesso abbiamo la fortuna di avere in azienda la quarta generazione Pavan».

La famiglia Pavan al completo: da sinistra, Fabrizio, Alessandro, il Presidente Pier Ottavio, Davide, Federico, Cristian e Martina.

Fabrizio non ha esitazioni: la famiglia è la grande forza della sua impresa. Forse non è una legge universale, ammette, ci possono essere anche dei rischi e forse anche qualche svantaggio, ma per Cuneo Inox non li teme. La chiave di volta di tutto per lui è l’armonia, l’andare d’accordo: «E noi andiamo molto d’accordo, tutte le decisioni che abbiamo preso nella nostra storia ci hanno sempre visti concordi, anche adesso che i nostri figli sono entrati in società». Un profondo affiatamento testimoniato, ma ancora di più, forse cementato, dal piacere reciproco dello stare insieme: «Un tempo era mia nonna l’architrave della famiglia. Tutte le sante domeniche e le feste comandate ci riuniva attorno al tavolo, lei era una grande cuoca, soprattutto di selvaggina, quella che portava a casa mio nonno, cacciatore accanito. Non mancava mai la pasta fresca, c’erano ravioli, gnocchi, capitava che cominciasse a preparare due giorni prima perché talvolta ci siamo ritrovati anche in 20 a mangiare, tra un piatto e l’altro si discuteva di tutto – tranne che di lavoro perché il nonno proibiva di parlarne in casa – a volte si litigava per tifo calcistico e partivano urla. Ma alla fine del pasto eravamo tutti bell’e che riappacificati. Era divertentissimo. Adesso è diverso, però noi ci ritroviamo sempre volentieri approfittando di compleanni, battesimi, anniversari. Abbiamo anche molte passioni extra lavoro in comune. Senza contare che i nostri figli vivono molto vicini e lo stesso io e mio fratello, quindi è facile tenerci tutti insieme».

La sede di Cuneo Inox a Castelletto Stura.

Dal punto di vista della governance Cuneo Inox non è certo una mosca bianca, anzi. Secondo il recentissimo rapporto strategico Radici nel futuro, presentato alla prima edizione del Family Business Sustainability Summit organizzata da TEHA Group e Chiomenti, le imprese famigliari rappresentano l’81% delle imprese italiane di cui, come evidenziano i dati raccolti invece da AIDAF, circa i due terzi delle più grandi, per arrivare al 78,8% delle piccole, ha una leadership interamente concentrata nelle mani della famiglia stessa. Ma quello che colpisce nelle parole di Fabrizio è soprattutto la genuina soddisfazione per questa scelta, la naturalezza scevra da esitazioni con cui la si è mantenuta generazione dopo generazione. Un atteggiamento che si allarga a comprendere dipendenti, ma anche fornitori e clienti. Una grande famiglia, appunto.

«Per farle comprendere come siamo vissuti dalle nostre persone, le racconto un aneddoto. Eravamo nel nostro sessantesimo anniversario quando una sera, già ben oltre l’orario di chiusura, ho visto arrivare a casa mia (ma poi ho scoperto che la stessa cosa era accaduta a mio fratello e a mio padre) alcuni nostri dipendenti. Sono stato caricato su un’auto che ha cominciato a fare dei giri complicati tanto che alla fine avevo perso l’orientamento e non sapevo nemmeno più dove fossi. Quando ci siamo alla fine fermati ero davanti ai cancelli sbarrati dell’azienda e lì c’erano anche i miei famigliari, come me un po’ attoniti. Ed è a quel punto che le porte si sono spalancate e abbiamo visto all’interno un grande tavolo con al centro una torta con la scritta: 1953-2013. C’erano tutte le nostre persone con le loro famiglie e ci avevano perfino preparato la cena. Abbiamo mangiato là tutti insieme». Fabrizio dice di essersi emozionato in quel momento, lo stesso sentimento che per un istante gli incrina quasi impercettibilmente la voce. «D’altra parte – continua – tra i nostri dipendenti abbiamo avuto persone che hanno cominciato a 16 anni con mio padre e sono andate in pensione che ancora erano con noi, questo vorrà dire qualcosa, no? Altri nostri pensionati passano a trovarci regolarmente anche se magari hanno smesso da anni di lavorare. Questo per sottolineare che tra noi c’è un affetto che va oltre la vicinanza che il lavoro comporta, d’altra parte se non ci fossero state le nostre persone ad affiancarci, a sposare, diciamo così, i nostri progetti, non saremmo arrivati dove siamo oggi».

Il magazzino.

E come in tutte le famiglie – almeno in quelle felici, si potrebbe dire, prendendo in prestito il celebre incipit di Tolstoj – ci si diverte insieme: Fabrizio mi racconta con entusiasmo delle grigliate estive, della tradizionale cena di Natale, come momenti di reale condivisione, non dettati da motivi di paternalismo imprenditoriale, «e visto che a tutti noi piace qualche volta fare festa, abbiamo costruito da poco su un terreno qua accanto una foresteria attrezzata, a disposizione gratuita di tutti i dipendenti anche per le loro ricorrenze private. E poi c’è un campo da padel, un campo da bocce, un parco giochi per i più piccoli, sempre a uso libero. Infine, visto che sponsorizziamo una squadra di pallavolo, distribuiamo biglietti gratuiti per andare alle partite domenicali».

Anche nei confronti di clienti e fornitori, dice Fabrizio, prevale un approccio più «affettivo» che utilitaristico: «Non ci interessano i rapporti occasionali, ovvio che se ci arrivano degli ordini diciamo “fini a se stessi” li accettiamo e li portiamo a termine nel migliore dei modi, ma quello che noi davvero vogliamo è creare relazioni continuative e importanti che abbiano la fiducia reciproca alla base, insieme al piacere di ritrovarci ogni volta a lavorare fianco a fianco. Oggi possiamo contare su circa 5000 clienti e posso dire con orgoglio che non mi è mai capitato di essere rifiutato da qualcuno che in precedenza ci aveva scelti».

L’area produzione.

Qual è l’altra faccia della medaglia di questo approccio famigliare all’organizzazione? Che chi entra in Cuneo Inox sa già che la sua crescita a un certo punto si fermerà, che non potrà mai ambire a posizioni da top manager, «ma in compenso entrerà in un ambiente sano dove verrà comunque gratificato economicamente, dove troverà la mia porta sempre aperta per qualsiasi necessità, dove incontrerà attenzione per le  esigenze della sua famiglia grazie per esempio all’orario flessibile perché tutti, e non solo le donne, abbiamo bisogno di distribuire il nostro tempo tra il lavoro, la cura dei figli e degli anziani e noi stessi».

Solo che trovare manodopera, e trattenerla, è sempre più difficile: «Una volta, ai tempi di mio padre, chi entrava in azienda ci restava, ma non solo, cercava di crescere insieme a essa. E se qualcuno a un certo punto decideva di andarsene, in genere lo faceva per mettersi in proprio e sostituirlo era un dispiacere, ma non un problema, come diceva mio padre “è sufficiente che ti guardi attorno, c’è sempre gente che cerca un’assunzione”. Oggi il mondo è cambiato, i giovani entrano, ma dopo tre-quattro anni cercano nuove esperienze. Forse è giusto così, anche se talvolta i lavori a cui vanno incontro sono già in partenza in contesti più brutti. Certo che per noi significa ricominciare tutto da capo perché impieghiamo giusto quel tempo per portare un neoassunto ai livelli qualitativi a cui aspiriamo». Anche la modalità di ricerca del personale è diversa: Fabrizio confessa che i canali social, oggi largamente usati nel recruiting, non sono nelle sue corde, ma che fortunatamente i suoi figli vi si muovono scioltamente e quindi se ne occupano loro. Lui ha invece sperimentato di recente gli incontri nella scuola e ne è rimasto entusiasta: «Sono sincero, non avevo mai preso in considerazione questo tramite, ma l’anno scorso ho voluto provare in un istituto tecnico, non lontano da qui, da cui escono periti, mi dicevano, molto preparati: le aziende sono invitate a presentare la propria realtà e in un secondo tempo vengono organizzati colloqui singoli con i ragazzi dell’ultimo anno, quelli che a luglio si devono diplomare». Il primo approccio è positivo e scioccante al tempo stesso: Fabrizio si ritrova nell’aula magna dell’istituto con 120 diplomandi e… 330 altre aziende affamate di personale – «questo già vi dice che bisogno di manodopera ci sia» – però i pregiudizi che aveva su chi si sarebbe trovato davanti cadono alle prime interviste, tutti i giovani sono seri e consapevoli, hanno le idee chiare, dimostrano preparazione e concretezza, insomma gli piacciono. C’è un «ma», che è la concorrenza spietata da parte delle tante altre imprese e allora decide una piccola astuzia: «Dei 120 ragazzi dell’ultimo anno, un terzo circa era venuto ai colloqui solo per capirne le dinamiche perché tanto avevano già deciso di iscriversi all’Università. Degli altri ero riuscito a parlare con una decina mal contata visto l’affollamento delle due giornate di incontro e a loro ho inviato una mail di invito per una visita in azienda. Bene, dei 5-6 che hanno risposto positivamente sono riuscito ad assumerne uno, che da un paio di mesi lavora nel nostro ufficio tecnico ed è contentissimo, come lo siamo noi di lui».  Fabrizio è più pessimista sulle assunzioni in officina che è un ambiente lavorativo spesso rifiutato: «È un peccato perché, lo dico sempre ai miei figli, tra una manciata di anni chi avrà una professionalità artigianale, che sia un idraulico, un meccanico, un saldatore, sarà pagato tanto oro quanto pesa. Tutti i lavori manuali oggi vedono una montagna di offerta da parte delle aziende senza una risposta sufficiente. Anche per questo motivo poi le aziende delocalizzano in altri Paesi».

L’Ufficio Tecnico.

Problemi che non esistevano in Italia all’inizio della storia di Cuneo Inox, una delle tante di cui è costellata la nostra imprenditoria. È il 1935, una manciata di anni prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando un ragazzo ventunenne con la sua valigia di cartone d’ordinanza parte dalle campagne padovane alla volta di Verzuolo, nel lontano Piemonte: è stato assunto alle Cartiere Burgo, che già dal 1918 è il maggior produttore di carta nel nostro Paese, ha superato senza scossoni la crisi del ’29 e nella sua espansione continua cerca personale specializzato, in particolare saldatori autogeni su tubi di rame. Elio Pavan, questo il nome del giovane, lo è. Anzi, ha addirittura un diploma che lo attesta, ma soprattutto ha nelle mani la finezza dell’arte fabrile, è andato a bottega presto e si è appassionato alla lavorazione del ferro battuto e della saldatura nelle qua

Recapiti
Anna Brasca