INTERVISTA A STEFANO DISEGNI

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A cura di Arianna Fioravanti

Disegnatore satirico, scrittore, autore TV e musicista. Vincitore di diversi Premi e impegnato con la sua arte anche nella difesa dei più fragili, dai diritti degli animali all’inclusione delle persone con disabilità. Da cosa nasce questa tua sensibilità?

Non credo sia una sensibilità speciale. Penso piuttosto che non solo io, ma ognuno di noi, se si guarda dentro, trova qualcosa che si chiama “empatia”, dal greco “empathos” (scusate, ho fatto il classico), cioè la capacità di “sentire insieme”, sentire le stesse cose che sentono gli altri, umani o animali che siano. Vaghiamo tutti, noi e loro, su questa palletta spersa nell’Universo, stesse emozioni, stesse felicità, stessi dolori, stesse paure, stessi inizi e… stessa fine. Sono consapevole di questo, tutto qua, e per questo voglio bene al mondo, in tutte le sue forme, come vorrei che il mondo volesse bene a me. “Volémose bene che la vita è un mozzico” diceva mia nonna, che non era nata a Bergamo Alta. Un’esortazione piena di verità che non ho mai dimenticato.

Il tuo ultimo successo editoriale, “Al posto loro. Nelle loro pelli, penne, pinne”, racconta, a volte con accenti ironici, come solo i grandi sanno fare, la sofferenza causata agli animali da svariate attività economiche umane. Gli altri animali comandano, sfruttano e uccidono, mentre gli uomini subiscono, in contesti che spaziano dalla caccia, alla pesca, alle corride, agli allevamenti, ecc. Raccontaci da cosa nasce questa idea narrativa…

Questo capovolgimento (umani al posto loro, appunto, degli animali) in ognuno degli otto episodi che costituiscono il libro, nasce… dall’uovo di colombo: siamo tutti bravi a dire “poveri animali” ma vediamo come ci sentiremmo davvero se subissimo i trattamenti che spesso la specie umana infligge ai coinquilini del pianeta, che anche se non parlano hanno gli stessi diritti all’esistenza serena che riserviamo alla nostra specie. Ho voluto cioè rappresentare con gli strumenti che mi sono naturali, umorismo, comicità, satira, quello che accadrebbe se al posto loro, appunto, ci fossimo noi. Il primo spunto venne da un’idea che ebbi insieme a Lillo, il comico: un video con un uomo in una famiglia di gatti. “L’uomo di casa” si doveva chiamare, era comico, persino quando alla fine gli tagliavano, vabbè, avete capito. Non se ne fece nulla, rimase un tentativo, ma a me restò in testa l’idea, approfondii ad altri contesti ed ecco “Al posto loro”.

Quanto tempo hai impiegato per scrivere e disegnare “Al posto loro”? E quale, fra le storie narrate, colpisce di più te? A me hanno colpito in particolare la storia dei fratelli polli e quella del bambino a cui viene fatto mangiare l’agnello di cui era diventato amico…

Ci ho messo quasi un anno. Non potevo lavorarci tutti i giorni come avrei voluto, dovevo anche disegnare per i giornali con cui collaboro e pensare a “O Anche No”, il programma sulla disabilità con cui collaboro (per chi fosse interessato domenica mattina alle 9,30 su RAI3), ma tutti gli scampoli di tempo erano dedicati a questo libro che era diventato la sfida più eccitante, anche perché nessuno me l’aveva chiesto. Ma evidentemente il tema tira e mi piace pensare che sia venuto abbastanza bene, tanto da interessare Becco Giallo Editore che ha immediatamente accolto la proposta. Credo che l’attenzione per gli animali e i loro diritti stia crescendo in modo trasversale, al di là delle posizioni politiche di ciascuno, anche a livello internazionale. Mi piacerebbe infatti che “Al posto loro” varcasse i confini nazionali. Vedremo. L’episodio dell’agnello e del bambino è quello che colpisce di più anche me perché autobiografico: mi regalarono due bei pulcini, mi affezionai, li allevai, diventarono un bel gallo e una gallina, poi un giorno sparirono, mi dissero che li avevano portati in campagna…

Perché, secondo te, le persone mostrano difficoltà nel riuscire a mettersi nei panni degli animali e più in generale di qualcun altro? Gli animali, come sottolinei bene nel libro, sono individui come noi, esseri senzienti, animali appunto, semplicemente con un’altra forma rispetto alla nostra, ma è come se per molte persone fossero solo delle merci o strumenti utili all’uomo…

Come ho detto, non credo che tutte le persone siano indifferenti alla sorte dei nostri amici pelosi, pennuti o pinnuti, tanto per citarmi. Il fatto è che proveniamo da tempi e culture antichi, in cui si è sofferta la fame e non si andava tanto per il sottile, gli animali servivano alla sopravvivenza aiutando l’uomo nel lavoro e fornendogli alimentazione. Ma oggi che il lavoro è automatizzato e il fabbisogno alimentare non scarseggia, almeno nel mondo più abbiente, non c’è più bisogno di sfruttarli e ucciderli. È ora di riconsiderarli nella loro identità di esseri senzienti quindi capaci di soffrire. Non è accettabile fare di loro ciò che vogliamo, magari per divertimento, come nelle corride. O la caccia, che personalmente detesto: non è altro che piacere di abbattere creature viventi (scomodando Freud potremmo persino parlare del fucile, evidente transfert di potenza sessuale. Ma non sono uno psicanalista, mi fermo prima di spararle troppo grosse).

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

La verità? Lavorare meno, dedicando più tempo a guardarmi intorno, conosco un millesimo di questo pianeta. Viaggiare, osservare tutto, animali in primis, nei loro ambienti originali. Sono un maniaco dei documentari, so tutto sui ghepardi e sulle cimici da corteccia che difendono gli alberi dalle termiti e resto sempre a bocca aperta per il livello raggiunto delle riprese sottomarine (foche sotto la calotta artica, ma come fanno?). Come si può restare indifferenti alla meraviglia che gli animali costituiscono, tutti, comprese le pecore sulla via Appia, dietro casa mia? Poi, forse, chissà, magari sfornerò “Al posto loro 2”. Ma è un po’ presto per dirlo, sto a vedere pure io.

E noi ce lo auguriamo e lo auguriamo davvero tanto a tutti gli animali.

Al posto loro.
Nelle loro pelli, penne, pinne

prefazione di Luciano Ligabue

Editore Becco Giallo

€ 21,00

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