Tropico Mediterraneo: il monologo multimediale di Stefano Liberti a Mediterraneo Slow - Slow Food - Buono, Pulito e Giusto.

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Il Mediterraneo, il nostro oceano in miniatura, così piccolo e così diverso nei paesaggi, sta attraversando una trasformazione vorticosa per effetto del surriscaldamento globale e dell’impatto delle attività antropiche. 

Oggi in questo nostro mare si intrecciano e si evidenziano tutti i nodi problematici della contemporaneità: cambiamento climatico, sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, inquinamento e collasso degli ecosistemi. Questi temi sono al centro di Tropico Mediterraneo (2024, Laterza), l’ultimo libro del giornalista Stefano Liberti che da Linosa a Cipro, da Tunisi alle Kerkennah ci porta alla scoperta di un mare in profonda trasformazione.

A Mediterraneo Slow abbiamo il piacere e l’onore di ospitare una delle date del monologo multimediale che da questo libro trae origine. Con Stefano Liberti, il 13 giugno alle 21:00, nei Giardini di Piazza Garibaldi, saranno sul palco Pasquale Filastò (violoncello) e Stefano Indino (fisarmonica). Lo spettacolo è un’immersione emozionante e riflessiva in un mare che cambia, un invito a guardare con occhi nuovi le sfide e le opportunità del nostro tempo. Siete tutti invitati a partecipare. 

Qui di seguito, riportiamo un estratto dell’intervento di Stefano Liberti alla Food To Action Academy, focalizzandoci in particolare sulle specie aliene.

Stefano Liberti, autore di Tropico Mediterraneo, noto per le sue inchieste puntuali ma ancor di più per il suo sguardo sia lucido sia critico, soprattutto sui temi della giustizia ambientale, della tutela degli ecosistemi, e della filiera della pesca, nodo centrale del suo ultimo libro.

Quali sono le specie tropicali, dove le troviamo e quali sono gli effetti che dovremo affrontare

L’anno scorso ho fatto un viaggio lungo il bacino mediterraneo, tra le coste e il mare, attraverso il mare e con le persone che sono sul mare, i pescatori. L’ho fatto per cercare di capire cosa sta succedendo nel Mare Mediterraneo, perché noi effettivamente parliamo spesso di Mediterraneo come di un hotspot climatico, dove gli effetti della crisi climatica sono più evidenti che altrove, ma poi ci concentriamo su quel che avviene sulla terra.

In verità nel mare stanno succedendo un sacco di cose e quel che succede nel mare si ripercuote poi anche sulla terra. Il mare si riscalda, libera una maggiore energia sulla terra, con un conseguente enorme incremento di fenomeni atmosferici estremi. E il Mediterraneo è uno dei luoghi in cui maggiormente si misurano questi cambiamenti, ma effettivamente quello che si vede in modo pazzesco è il cambiamento della composizione dell’ecosistema, della flora e della fauna mediterranea.

In tutto il bacino mediterraneo – in alcuni luoghi più che in altri – c’è stata una proliferazione, negli ultimi 10/15 anni delle cosiddette specie alloctone: pesci o anche piante o alghe che non sono originarie del Mediterraneo ma che sono arrivate nel Mediterraneo, e che poi si sono stabilizzate. Stabilizzandosi o hanno cacciato delle specie autoctone o comunque si sono rivelate come particolarmente invasive.

Dal granchio blu al pesce scorpione al pesce palla maculato

La specie che conosciamo di più è il granchio blu dell’Atlantico che è venuto a stabilizzarsi nel Delta del Po distruggendo le coltivazioni di vongole. Ma se noi in realtà ci spostiamo verso il Mediterraneo orientale, vediamo come la quantità di specie aliene è straordinariamente rilevante.

Mentre lavoravo al libro, per diversi giorni ho fatto battute di pesca con piccoli pescatori dell’isola di Cipro. In quei giorni abbiamo pescato quasi soltanto pesci di origine tropicale: il pesce scorpione, ad esempio, originario dell’Oceano Indiano. Oppure il pesce palla maculato, diffuso nel Mediterraneo da 10/15 anni, che si trova in cima alla catena alimentare poiché nessuno lo può mangiare. Le sue carni sono velenose, e quindi, non avendo predatori si diffonde in modo molto pervasivo. I pescatori ciprioti dicono che a maggio giugno ne pescano addirittura 100 chili al giorno!

Nelle acque del Mediterraneo orientale le specie aliene sono moltissime, e sono arrivate sostanzialmente attraverso il Canale di Suez, e anche come conseguenza del trasformarsi dei commerci globali. Sono state trasportate dalle navi e, sostanzialmente, sono il risultato di una scelta fatta negli ultimi decenni: intensificare il commercio globale, fare arrivare navi sempre più grandi che, per stabilizzarsi, negli scafi vuoti caricano milioni di metri cubi di acqua, dove ci sono ovviamente degli organismi, che vengono trasportati insieme alle navi. Oggi, peraltro, il Mediterraneo è più caldo e presenta perciò le caratteristiche ideali per la stabilizzazione di queste specie alloctone.

Il caso delle Kerkennah

Un caso interessante ed emblematico l’ho incontrato nell’arcipelago delle isole Kerkennah, in Tunisia. Rispetto alle isole a cui siamo abituati nel Mediterraneo le Kerkennah sono diverse. Sono isole piatte, senza rilievi: il punto più alto nell’arcipelago è di 12 metri sul livello del mare e per questo i loro abitanti non possono fare altro che pescare. E pescano da secoli. Quelle acque sono talmente pescose e ricche che hanno sempre offerto una grandissima abbondanza. La charfia – così si chiama il loro metodo – è una pesca molto selettiva, che ha un’enorme attenzione per la rigenerazione del mare, e rappresenta un esempio luminoso di una tecnica di pesca che non nuoce all’ambiente. Nel 2020 l’Unesco ha inserito questa tecnica nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità.

Il grande paradosso oggi è che questo metodo che ha sempre funzionato per secoli, proprio nel momento in cui è arrivato il riconoscimento Unesco ha smesso di funzionare.

Oggi quando i pescatori delle Kerkennah vanno a vedere cosa c’è nelle loro nasse non trovano più spigole, orate, polpi e i calamari che hanno sempre trovato. Oggi trovano un’unica specie: un enorme granchio dalle chele blu – diverso da quello che abbiamo in Italia – che arriva dall’Oceano Indiano, che i tunisini hanno soprannominato daesh. Questo granchio ha distrutto tutto, gettando sul lastrico i pescatori, al punto che è successa una cosa molto significativa: non sapendo più che fare a un certo punto i pescatori hanno iniziato a vendere le loro barche, che sono state comprate per soddisfare altri scopi, cioè il trasferimento di persone dalla Tunisia all’Italia.

Crisi ambientale, crisi sociale, frattura generazionale

Quelle isole, che erano un avamposto di pesca sostenibile sono diventate punto di partenza delle rotte migratorie dalla Tunisia verso l’Italia. Non essendo più praticabile la pesca, quelle isole si sono svuotate dei giovani. Nei porti delle Kerkennah non ci sono più i giovani, e i pescatori dicono che i loro figli e le loro figlie sono tutti andati dall’altra parte.

Una crisi ambientale diventa quindi una crisi sociale e una frattura generazionale molto importante.

Una grande studiosa di specie aliene in Tunisia, Jamila Ben Souissi sostiene che le specie aliene arrivano e si stabilizzano anche come conseguenza del cambiamento climatico, che va visto come un acceleratore di crisi. Il cambiamento climatico accelera delle crisi preesistenti. In uno studio comparativo Ben Souissi ha visto che in tutta la Tunisia c’è una preponderanza del granchio daesh, mentre in Libia il granchio non c’è. Perché? Perché i libici non pescano, il loro ecosistema è intatto, mentre in Tunisia negli ultimi anni si è iniziato a pescare moltissimo, in modo molto impattante e invasivo.

Il Mediterraneo è tutto interconnesso

L’Unione Europea ha imposto molte restrizioni alla pesca industriale, alla pesca a strascico, regolamentandola fortemente. La richiesta di pesce, però ha continuato a crescere con la conseguenza che si è esternalizzato lo sforzo di pesca: non si pesca più tanto nelle acque europee, ma si è iniziato a pescare tantissimo in Tunisia ed Egitto. La pesca invasiva in Tunisia ha di fatto deteriorato gli ecosistemi e svuotato le nicchie ecologiche, prontamente occupate da nuove specie.

La morale di tutto questo è che esiste una fortissima interconnessione in tutto quel che accade nel Mediterraneo, e se si prende una decisione da una parte si hanno conseguenze dall’altra. Per riassumere: noi nel nord del Mediterraneo vogliamo il pesce. Ma non arriva solo il pesce. Arrivano anche migranti ambientali, persone che nella loro terra non possono più avere una vita dignitosa. Le giovani e i giovani arrivati negli ultimi anni sono anche il risultato della mancanza di una vera e propria politica mediterranea che miri alla conservazione e alla tutela degli ecosistemi in tutto il bacino.

Si può creare un’alternativa sostenibile?

Di fronte a questa crisi, nel 2020 il governo tunisino ha iniziato a interrogarsi su una possibile soluzione. Ragionandone con i pescatori, biologi e studiosi ha elaborato una strategia, promuovendo incentivi per tutti coloro che volessero investire nella messa a punto di impianti di trasformazione del granchio daesh. Ha poi fornito reti speciali ai pescatori e ha garantito loro un surplus di guadagno. Il risultato è che oggi in Tunisia ci sono 52 impianti di trasformazione del granchio blu: congelato, bollito, tagliato a pezzi, in polpa, come caviale… I pescatori che avevano venduto le loro barche hanno iniziato a ricomprarle. Si è ricreata una filiera.

I pescatori inoltre – e questo è molto significativo – chiedono al governo che regolamenti la pesca del granchio blu, stabilendo dimensioni minime degli esemplari pescati e imponendo dei periodi di fermo pesca, per consentire alla risorsa di rigenerarsi. La grande crisi che ha attraversato in modo straordinario il settore ittico in Tunisia ha introiettato nei pescatori tunisini il concetto di limite. Possiamo e dobbiamo utilizzare le risorse a nostra disposizione, ma dobbiamo farlo consapevoli dei limiti, e con grande attenzione alla loro rigenerazione.

Ora in Italia siamo di fronte a una crisi speculare. Il granchio blu ha messo in crisi in primis le colture di vongole in posti come Goro o Scardovari… Io credo che anche in questo caso la soluzione da mettere in campo sia la creazione di una filiera, elaborare una strategia di portata nazionale come si è fatto in Tunisia. Per coinvolgere i consumatori, per investire in una nuova filiera, sono necessari investimenti importanti, investimenti pubblici, che coinvolgano come si è fatto in Tunisia tutti i portatori di interesse. Oggi nel Delta del Po ci sono alcuni esempi, ancora timidi, di trasformazione del granchio blu.

La strada da fare deve tener conto della necessità di adattamento. Dobbiamo capire come far diventare il granchio blu parte delle nostre diete, come trasformarlo in risorsa. Per farlo, sono necessari inventiva, energia, tempo e risorse.

Mediterraneo Slow si svolge dal 13 al 15 giugno nelle vie e nelle piazze del centro di Taranto: ti aspettiamo! #MediterraneoSlow2025

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