«Una volta c’era il Mediterraneo. Questo mare incastonato tra le terre, culla di civiltà millenarie e centro di fiorenti scambi culturali e commerciali. Un mare che è una somma di mari tutti diversi tra loro e che esiste in virtù di una piccola fessura di 13 chilometri, quello stretto di Gibilterra che lo alimenta con le acque dell’Atlantico».
«Una volta c’era il popolo mediterraneo, che questo mare attraversava e navigava, guardandolo con timore e reverenza. Un popolo di naviganti ed esploratori, pirati e avventurieri, che sapeva che il mare dà e toglie, e che pertanto lo ascoltava e lo rispettava».
«Una volta c’era il clima mediterraneo. Un’alternanza di inverni miti ed estati temperate, che non c’è in nessun altro posto al mondo…».
L’apertura delle conferenze di Mediterraneo Slow è stata affidata a Stefano Liberti con il suo “Tropico Mediterraneo”, un monologo in musica accompagnato da Pasquale Filastò al violoncello e Alessio Potestà alla fisarmonica.
E l’inizio dello spettacolo è come una fiaba malinconica, che racconta di un mondo in parte perduto, e in cui molto sta cambiando.
Tunisia, Kerkennah
Le Isole Kerkennah, raggiungono un’altezza massima di 12 metri. I pescatori manco escono in mare a pescare il pesce. Semplicemente, aspettano che entri nelle loro reti, nelle loro nasse. La loro è una pesca super-sostenibile, super-selettiva.
I pescatori lasciano il mare a riposo nel periodo di riproduzione dei pesci. Oggi questo sistema si chiama fermo pesca, ma loro lo mettono in pratica da secoli. Nel 2020 l’Unesco ha inserito questa pratica, la sharfiya, nel patrimonio immateriale dell’umanità.
Paradossalmente, proprio nel momento in cui ha ottenuto il riconoscimento, questo sistema è entrato in crisi. Nelle Kerkennah, infatti, è arrivato il granchio blu indiano, che localmente chiamano daesh.
Ramdhane
Liberti racconta la storia di Ramdhane Megdiche, che con il mare ha un rapporto ambivalente, mentre adora la madre, la prima pescatrice delle Kerkennah. Rabdane si confronta con il granchio blu da 5-7 anni a questa parte. Da quando è arrivato il granchio blu, i pescatori non riescono più a fare reddito. Stanno pensando di mollare.
Hanno iniziato a vendere le loro barche, che vengono utilizzate per altro: oggi le Kerkennah sono l’hub delle partenze degli immigrati irregolari attraverso il Canale di Sicilia. Questo sta a dimostrare che nel Mediterraneo ci sono profonde interconnessioni tra la riva sud e la riva nord. Tra Africa e Italia.
Jamila
Oggi Jamila Ben Souissi è la massima esperta di specie aliene a Tunisi. Era vista come una studiosa stravagante, mentre oggi è una star. Per lei, il cambiamento climatico è un acceleratore di crisi.
Il cambiamento climatico accelera delle crisi preesistenti. In uno studio comparativo Ben Souissi ha visto che in tutta la Tunisia c’è una preponderanza del granchio daesh, mentre in Libia il granchio non c’è. Perché? Perché i libici non pescano, il loro ecosistema è intatto, mentre in Tunisia negli ultimi anni si è iniziato a pescare moltissimo, in modo molto impattante e invasivo.
L’Unione Europea ha imposto molte restrizioni alla pesca industriale, alla pesca a strascico, regolamentandola fortemente. La richiesta di pesce, però ha continuato a crescere con la conseguenza che si è esternalizzato lo sforzo di pesca: non si pesca più tanto nelle acque europee, ma si è iniziato a pescare tantissimo in Tunisia ed Egitto. La pesca invasiva in Tunisia ha di fatto deteriorato gli ecosistemi e svuotato le nicchie ecologiche, prontamente occupate da nuove specie.
La morale di tutto questo è che esiste una fortissima interconnessione in tutto quel che accade nel Mediterraneo, e se si prende una decisione da una parte si hanno conseguenze dall’altra. Per riassumere: noi nel nord del Mediterraneo vogliamo il pesce. Ma non arriva solo il pesce. Arrivano anche migranti ambientali, persone che nella loro terra non possono più avere una vita dignitosa.
Il senso del limite
Ma c’è una via di uscita: pescatori, politici e studiosi hanno elaborato una strategia, creando una filiera di trasformazione del granchio. Oggi in Tunisia ci sono 52 impianti di lavorazione del granchio blu, che viene trasformato in migliaia di modi, compreso il caviale.
Il granchio blu sta dando lavoro, i pescatori hanno ricomprato le proprie barche, e chiedono al governo di regolamentare la pesca, perché questa risorsa possa avere un futuro. I pescatori hanno introiettato il concetto di limite. Hanno ripreso un approccio sano, di tutela dell’ecosistema.
Il senso del limite torna anche nell’origine dell’arrivo della specie del granchio daesh nel Mediterraneo. Tra il 2012 e il 2015 il Canale di Suez è stato allargato, raddoppiato, e oggi al suo interno passano ogni anno 20.000 navi cargo.
Prima, nel canale esisteva la zona dei Laghi Amari, una zona in cui c’era un tasso di salinità elevatissimo, che non faceva passare i pesci che provavano ad attraversarlo da sud. Oggi, con questo allargamento, il passaggio per i pesci è diventato facilissimo, e nel Mediterraneo ne arrivano a milioni.
Cipro, Larnaka
Il protagonista della storia di cipro è Fotis Gaetanos 60 anni. Greco cipriota fuggito dal nord, dove era nato, a Larnaka a sud. Quando è tornato a casa, l’ha trovata occupata dai turchi e si è come rassegnato alla sua condizione di profugo, in cui vive da almeno 50 anni.
Liberti è andato a pescare con lui, e il primo pesce pescato è stato il pesce scorpione, quello che in inglese viene chiamato lion fish, e che a Cipro è stato inizialmente chiamato pesce Fotis.
Il pesce scorpione in mare ha pochissimi predatori. E, come e più di lui, nelle acque di Cipro è sono attestate molte altre specie aliene – come se i suoi mari fossero un acquario tropicale – tra cuic anche il pesce palla maculato, che viene pescato in abbondanza e che, a differenza del pesce scorpione, non è adatto al consumo umano e non ha predatori in natura poiché le sue carni sono velenose.
A Cipro, il governo paga i pescatori per pescare i pesci palla, ma li paga solo nei periodi di massima espansione e diffusione della specie per poi buttarli in discarica. Fuori stagione, tutti stoccano i pesci palla nei loro frigoriferi, in attesa di poterli consegnare
Cosa ci racconta questa storia, sul nostro futuro? Quanto è prossimo un tempo in cui le nostre acque saranno letteralmente invase di specie aliene?
Italia, Goro
A Goro, e altrove in Italia, tutto questo sembra già essere realtà. Da qualche anno, infatti, il granchio blu atlantico si è diffuso nelle acque di tante lagune in Italia. Nel 2023, in particolare, la quantità di granchi blu nel delta del Po è cresciuta a dismisura, distruggendo tutte le vongole.
Ma, a ben guardare, anche le vongole del delta sono aliene. Il nome della specie, infatti, è Tapes philippinarum, e racconta di un’origine lontane. Ad averle “importate”, scommettendo sul loro successo è stato un biologo di Goro, Francesco Paesanti, che è riuscito a far sviluppare il seme di vongola e a determinarne l’esplosione della specie nell’area.
Grazie alla sua intuizione quei villaggi di pescatori sono diventati luoghi di benessere, la cui economia ruotava intorno alle vongole. Ma anche in quel caso, come in Tunisia, si è forse perso il senso del limite.
E quando superiamo il limite, arrivano segnali: sono i nostri ecosistemi a raccontarcelo. Ora, a Goro, tutto sembra perduto. Non c’è più un’economia delle vongole, e sembrano non esserci soluzioni. A meno di non fare come in Tunisia e ragionare, anche in Italia, sulla possibilità di sviluppare una filiera fondata sul granchio.
Spagna, Mar Menor
Infine il Mar Menor. La più grande laguna salata nel sud della Spagna. Una volta, era un’area selvaggia, mentre oggi è intensamente costruito. Nel 2019 il Mar Menor è collassato su se stesso diventando una zuppa verde a causa della Caulerpa taxifolia, una pianta aliena, arrivata dall’Oceano Indiano. Oggi questa specie ha invaso il Mediterraneo.
E, negli ultimi anni, questa invasione è stata aggravata dal fatto che il Mar Menor è diventato l’orto d’Europa: il fertilizzante usato per gli orti ha fertilizzato anche la caulerpa, che si è fertilizzata a tal punto da morire per anossia. Il Mar Menor è il primo caso di un ecosistema di cui abbiamo potuto vedere la morte.
Quello del Mar Menor è diventato un caso nazionale. Teresa Vicente, una giurista di Murcia, ha però avuto l’idea di trasformarlo in un soggetto giuridico. Coi suoi collaboratori si è impegnata in tal senso, creando un’iniziativa popolare di grandissimo impatto, che ha portato alla raccolta di 640.000 firme fisiche, e poi alla discussione e approvazione di una legge che lo riconoscesse come tale nel 2021.
Quella del Mar Menor è stata una sorta di rivoluzione copernicana, un cambiamento di paradigma, il primo di tanti possibili casi analoghi. Nel caso del Mar Menor, la giurisprudenza si è messa al servizio dell’ecosistema.
Tutelare, essere parte della soluzione
Il Mar Menor presenta in piccolo tutti i fattori presenti anche nel Mediterraneo. Oggi il Mediterraneo sta lanciando un grido di allarme, che dobbiamo essere in grado di cogliere. La strada giusta è la strada della tutela, della conservazione, di sentirsi parte della soluzione. Il Mediterraneo è una parte di noi e lo dobbiamo difendere perché dal suo benessere dipende anche il nostro benessere.