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Il fallimento del quorum nel referendum dell’8 e 9 giugno segna un passaggio politico importante, con implicazioni che vanno ben oltre l’esito delle urne. Dalla mobilitazione delle opposizioni al dibattito sul futuro degli strumenti referendari, ecco cosa è successo e cosa potrebbe accadere.
Referendum dell’8 e 9 giugno: il quorum non è stato raggiunto
L’affluenza alle urne per la consultazione referendaria dell’8 e 9 giugno si è attestata poco sopra il 30% degli aventi diritto. Una partecipazione insufficiente a raggiungere il quorum, che sancisce di fatto la sconfitta per i promotori della mobilitazione: in prima linea la CGIL, sostenuta dalle principali forze del centro-sinistra.
Un obiettivo ambizioso fin dall’inizio
Dal 1997 a oggi, soltanto una delle otto consultazioni abrogative ha superato il quorum: quella del 2011. I promotori confidavano nel “traino” del quesito sull’autonomia differenziata, poi bocciato dalla Corte costituzionale, che avrebbe potuto polarizzare il dibattito politico e geografico, contrapponendo gli elettori del sud a quelli del centro-nord, nonché creando frizioni all’interno della stessa maggioranza di governo.
Ampio consenso tra i votanti, ma affluenza bassa
Come prevedibile, tra coloro che si sono recati alle urne il consenso all’abrogazione delle cinque misure oggetto del referendum è stato molto alto. In particolare, molti elettori hanno manifestato la volontà di una riforma della disciplina del lavoro volta ad ampliare le tutele per i lavoratori. Più contenuto, ma comunque maggioritario, il sostegno ai quesiti riguardanti il diritto alla cittadinanza italiana per i residenti stranieri.
Prime tracce di un programma d’opposizione
Sotto il profilo politico sembra delinearsi un primo nocciolo programmatico della futura proposta di governo dell’opposizione. A meno di svolte repentine proprio nella maggiore tutela dei lavoratori sembra potersi rintracciare un primo collante politico tra le principali forze. All’interno del cosiddetto “campo largo”, in altre parole, la cosiddetta area riformista appare minoritaria.
La maggioranza rinfrancata, si torna a parlare di riforma referendaria
Il Governo e le forze di “maggioranza”, dal canto loro, sono rinfrancati dall’esito del voto. La modesta affluenza elettorale è l’occasione, infine, per riaccende il dibattito su possibili correttivi alla normativa referendaria vigente. Il vice-presidente del Consiglio, Antonio Tajani, ha auspicato un innalzamento della soglia delle firme necessarie per richiedere un referendum, una proposta che, secondo altri esponenti politici, dovrebbe essere bilanciata da una contestuale riduzione del quorum richiesto per la validità del voto.