L’esperienza di vita e il mio ultimo romanzo

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Quando la vita diventa materia narrativa: un viaggio nell’intimità creativa di uno scrittore

L’arte di nascondere se stessi nella finzione

Ogni romanzo è, in qualche misura, un’autobiografia mascherata. Non nel senso banale di raccontare episodi realmente accaduti, ma nella capacità di trasformare emozioni vissute, paure autentiche e interrogativi esistenziali in materia narrativa. “Il deserto di Carcosa” non fa eccezione: dietro le vicende fantastiche dei giovani protagonisti si celano frammenti della mia esperienza personale, rielaborati e trasfigurati dall’immaginazione.

L’adolescenza è un territorio di confine

La scelta di ambientare la storia nell’adolescenza non è casuale. Quegli anni rappresentano per tutti noi il momento in cui il mondo infantile, fatto di certezze e protezioni, comincia a sgretolarsi per lasciare spazio a una realtà più complessa e spesso inquietante.

Ricordo perfettamente quella sensazione di trovarmi sospeso tra due mondi: non più bambino, ma non ancora adulto, con il mio gruppo di amici. Molto del vissuto dei protagonisti è parte del mio vissuto personale. È in questo limbo adolescenziale che nascono le domande più profonde sull’esistenza, ed è proprio questa dimensione che ho voluto catturare attraverso l’esperienza di Stefano e dei suoi amici.

Uno degli elementi più autobiografici del romanzo è il rapporto complesso tra le generazioni. Roberto Luschi, padre di Stefano, porta sulle spalle il peso di responsabilità ereditate dal passato familiare. Una dinamica che riflette indubbiamente la mia esperienza personale di crescere in una famiglia con radici profonde e tradizioni consolidate.

L’albero genealogico che ho sempre avuto davanti agli occhi fin da bambino – quello dei Valenza che risale come minimo fino al Rinascimento – mi ha sempre fatto percepire il peso della storia familiare come qualcosa di tangibile. Non nel senso di un fardello opprimente, ma come la consapevolezza che le nostre azioni si inseriscono in una catena di eventi che ci precedono e ci seguiranno.

La geografia dell’anima

La cittadina di Verulengo, pur essendo immaginaria, affonda le radici nella mia conoscenza intima del territorio veronese. Crescere in una provincia tanto varia e ricca (sebbene io sia della città) significa sviluppare un rapporto particolare con lo spazio: ogni angolo, ogni strada, ogni edificio abbandonato diventa parte del proprio immaginario.

Ricordo le lunghe passeggiate nei dintorni di casa, quando da bambino esploravo quei luoghi che agli occhi di un adulto sarebbero apparsi banali, ma che per me erano carichi di mistero e possibilità narrative. La “palude” del romanzo è nata da questi ricordi: quegli spazi periferici e abbandonati che ogni città o paese custodisce, dove la fantasia può correre libera. A partire dalla cosiddetta “casa dei fantasmi”, un rudere abbandonato a margine del mio quartiere, che io e i miei amici visitavamo (rigorosamente da lontano) con timore e tremore.

Il fascino dell’archeologia locale

L’ipogeo retico che nel romanzo gioca un ruolo centrale nella storia di Verulengo nasce dalla mia fascinazione per l’archeologia locale. Il Veneto è una terra stratificata, dove ogni scavo può rivelare tracce di civiltà antiche. Da bambino, la scoperta di frammenti di epoca romana o di mura medievali mi aveva sempre colpito profondamente.

L’idea che sotto i nostri piedi si celino storie antiche, che il presente sia solo lo strato più superficiale di una realtà molto più complessa, è diventata una delle chiavi interpretative del mio modo di vedere il mondo e, di conseguenza, di scrivere.

Le amicizie formative

Il gruppo dei B.R.A.V.I. nasce dall’osservazione diretta di come le amicizie adolescenziali diventino il primo vero laboratorio di identità. Nelle dinamiche tra Stefano, Marco, Yaheya, Nadia e Virginia ho riversato memorie delle mie amicizie importanti, di quei rapporti che durante l’adolescenza assumono un’intensità quasi familiare.

Ricordo quanto fosse importante, a quell’età, il senso di appartenenza a un gruppo. La necessità di definirsi attraverso il confronto con gli altri, di testare i propri limiti e le proprie convinzioni attraverso la condivisione con i coetanei. Tutto questo ho cercato di trasmetterlo nella costruzione del gruppo protagonista del romanzo.

Una resa “immaginata” del gruppo dei B.R.A.V.I.

La diversità come ricchezza

La composizione multiculturale del gruppo – con Marco di origini rumene e Yaheya di famiglia marocchina –- riflette la realtà dell’Italia contemporanea che ho sempre vissuto come normalità. Crescere soprattutto a livello lavorativo in un contesto dove la diversità culturale è parte della quotidianità mi ha insegnato quanto sia importante guardare oltre le etichette per cogliere l’umanità profonda delle persone. Una sensibilità verso la diversità come fonte di arricchimento reciproco che è diventata una costante del mio approccio alla vita e alla scrittura.

Il rapporto con il soprannaturale

La dimensione fantastica del romanzo nasce da una curiosità verso l’inspiegabile che mi accompagna fin dall’infanzia. Non si tratta di credenze superstiziose, ma di un’apertura verso quelle zone d’ombra dell’esperienza umana che la razionalità non riesce a illuminare completamente. Ricordo l’impressione che mi facevano, da bambino, certi luoghi o certe situazioni che sembravano carichi di un’energia particolare. La capacità di percepire “l’atmosfera” di un posto – quella sensazione indefinibile che ci fa sentire a nostro agio o, al contrario, a disagio in determinati ambienti – è qualcosa che ho sempre coltivato e che ha trovato espressione narrativa nel romanzo.

Il “lupo nel cielo” che tormenta i sogni di Stefano nasce dalla mia attenzione verso il mondo onirico come spazio di elaborazione inconscia. Ho sempre tenuto un quaderno per annotare i sogni più significativi, convinto che il nostro inconscio ci parli attraverso simboli e immagini che meritano di essere ascoltati.

Molte delle atmosfere più intense del romanzo sono nate proprio da sogni o da quella zona di confine tra veglia e sonno dove l’immaginazione si fa più libera e audace.

La ricerca della propria identità

Uno degli aspetti più personali del romanzo è il tema della ricerca dell’identità autentica. Stefano, come ogni adolescente, si trova a dover rispondere alla domanda fondamentale: “Chi sono io veramente?”. Questa ricerca rispecchia il mio percorso personale di scrittore e di uomo.

Ricordo il periodo in cui, giovane aspirante scrittore, cercavo disperatamente la mia “voce” narrativa, imitando altri autori e sperimentando stili diversi. La consapevolezza che l’autenticità è più importante del successo è maturata lentamente, attraverso errori e delusioni che però si sono rivelati fondamentali per la mia crescita.

La struttura narrativa del romanzo – con Matilde adulta che ripercorre gli eventi dell’adolescenza – riflette il mio rapporto privilegiato con la memoria come strumento di comprensione. Ho sempre creduto che solo il tempo permetta di cogliere il vero significato di certi eventi vissuti. Rivedere il passato con gli occhi del presente non è nostalgia, ma ricerca di senso. Ogni esperienza vissuta diventa più chiara quando la osserviamo dalla giusta distanza temporale, quando possiamo coglierne le connessioni con tutto ciò che è venuto dopo.

Il vero lavoro dello scrittore non consiste nel raccontare i propri fatti privati, ma nel trasformare esperienze personali in storie che parlino a tutti. Ogni dettaglio autobiografico presente in “Il deserto di Carcosa” è stato filtrato, rielaborato e universalizzato perché potesse risuonare nell’esperienza di qualsiasi lettore.

Questo processo di trasformazione è forse la parte più delicata e affascinante del lavoro narrativo: prendere il particolare della propria vita e farne emergere l’universale dell’esperienza umana.

Un invito alla riflessione

Infine: perché condividere questi elementi autobiografici? Non significa svelare i “segreti” del romanzo, tanto meno mostrarsi in modo narcisistico, ma è un invito che rivolgo ai nuovi lettori del romanzo, un invito a riflettere su come anche la loro esperienza personale sia ricca di potenziale narrativo. Ognuno di noi porta dentro storie che meritano di essere raccontate, paure che possono diventare personaggi, sogni che possono trasformarsi in mondi fantastici.

La letteratura nasce proprio da questa alchimia tra esperienza vissuta e immaginazione creativa, tra il particolare irripetibile della nostra vita e l’universale dell’esperienza umana che ci accomuna tutti.


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Recapiti
Fabrizio Valenza