Energia in transizione. Il contributo di EP Produzione nella trasformazione del sistema italiano - EP Produzione

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La transizione energetica è una delle grandi sfide del nostro tempo. In gioco ci sono obiettivi ambientali, strategie industriali, la stabilità della rete e, soprattutto, il futuro energetico del Paese. In questo scenario, EP Produzione – uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia – si muove lungo un doppio binario: da una parte deve garantire l’affidabilità della fornitura energetica, dall’altra promuovere un futuro sostenibile attraverso investimenti in nuove tecnologie.

Per approfondire questi temi abbiamo coinvolto Matteo Mazzarini, Head of HSE (Salute, Sicurezza e Ambiente) di EP Produzione, Arturo Lorenzoni, Professore Associato di Economia dell’Energia presso l’Università degli Studi di Padova, e Anna Mazzi, Professore Associato di Sistemi di Gestione Ambiente e Sicurezza presso lo stesso ateneo, con i quali  abbiamo approfondito il significato della transizione energetica nel nostro Paese, dove le Centrali di EP Produzione, in particolare la nuova unità a ciclo combinato di ultima generazione avviata nel 2024 a Tavazzano e Montanaso e quella in realizzazione ad Ostiglia, giocano un ruolo strategico per accompagnare il Paese verso un futuro a basse emissioni.

Matteo Mazzarini, Head of HSE di EP Produzione

Come spiega Mazzarini, EP Produzione si riconosce in questo ruolo: “Come azienda siamo da un lato il quinto produttore energetico nazionale, e attraverso le nostre Centrali garantiamo la stabilità del sistema elettrico; dall’altro, vogliamo confermarci come innovatore tecnologico, con impianti sempre più efficienti e progetti all’avanguardia come Fiume Santo Energy Park, in Sardegna, in grado di integrare soluzioni tecnologiche, energie e competenze al servizio di una transizione equilibrata. Una trasformazione ambiziosa, che potrebbe rappresentare un modello anche per altri siti industriali”.

Arturo Lorenzoni inquadra immediatamente il contesto del nostro Paese: “In Italia abbiamo iniziato il percorso di transizione energetica, ma la strada per renderla efficace è ancora in salita. Manca una strategia industriale chiara, capace di valorizzare l’enorme potenziale delle rinnovabili, integrandole in un sistema energetico che funzioni realmente“.

Lorenzoni fotografa il disallineamento tra ambizione e governance per sottolineare come molto venga oggi demandato alle imprese, più che ai regolatori e ai legislatori. “Pensiamo allo stato del fotovoltaico. A inizio 2025, abbiamo 340 gigawatt di richieste di connessione alla rete, ma se saremo bravi, ne realizzeremo forse un terzo. Il resto è solo entropia: congestione per Terna, stress per le amministrazioni locali, grandi rischi di inefficienza. In questa situazione, le stesse imprese che vogliono investire si trovano in difficoltà, perché non hanno di fronte uno scenario chiaro“.

Interviene Matteo Mazzarini: “In un momento come questo, crediamo che il nostro ruolo sia garantire la stabilità del sistema, investendo sull’efficientamento degli impianti, utilizzando il gas come vettore di transizione. Sotto questo aspetto, stiamo rinnovando il parco produttivo attraverso due grandi investimenti, con l’installazione di turbine di classe H presso le Centrali lombarde di Tavazzano e Montanaso e di Ostiglia, capaci di un rendimento superiore al 62% e quindi di produrre più energia con meno emissioni”.

Arturo Lorenzoni, Professore Associato di Economia dell’Energia presso l’Università degli Studi di Padova

Nel contesto attuale, l’approccio di EP Produzione è dunque strategico e pragmatico: continuare a essere affidabili, ma con una traiettoria di transizione netta e misurabile. Lorenzoni riconosce il valore di questa posizione, rilanciando sull’importanza di fare sistema: “Non c’è dubbio, il gas oggi è ancora indispensabile, ma occorre distinguere tra usi civili e industriali. Per il sistema elettrico può ancora essere un vettore utile, anche grazie a tecnologie di power-to-gas, ma è cruciale che questa funzione sia inserita in una visione più ampia, nella quale ogni tecnologia energetica viene utilizzata per l’applicazione in cui si rivela più efficiente, aumentando progressivamente la componente rinnovabile“.

Prende la parola Mazzarini: “Il progetto di Fiume Santo Energy Park, in Sardegna, è un caso molto interessante nell’ottica della transizione energetica, e il nostro obiettivo, oltre alla decarbonizzazione, è quello di generare valore anche per il territorio“.

Anna Mazzi, Professore Associato di Sistemi di Gestione Ambiente e Sicurezza Università degli Studi di Padova

Anna Mazzi valorizza il progetto, riconoscendone la complessità: “È un bell’esempio di sistema integrato. Diversificare le fonti vuol dire anche aumentare la resilienza: se una risorsa scarseggia o viene meno, l’intero sistema regge comunque. E poi c’è un impatto positivo sul piano sociale: si crea lavoro e si attivano nuove competenze“.

Credo che su questo siamo perfettamente d’accordo“, replica Mazzarini. “Il nostro approccio parte proprio da un’analisi del contesto: il Fiume Santo Energy Park punta a realizzare un mix energetico integrato ed equilibrato che contribuirà ad attuare la transizione energetica basata su impianti e tecnologie adeguate ai tempi “.

Anche Lorenzoni condivide l’impostazione: “Non esiste un’energia buona in assoluto. Ogni tecnologia ha senso solo se è usata in modo coerente con i suoi punti di forza. Il geotermico, ad esempio, sfrutta il calore già disponibile nel sottosuolo ed è perfetto per applicazioni continuative, come il riscaldamento domestico. Il fotovoltaico, invece, può essere impiegato per alimentare direttamente i consumi elettrici, magari all’interno di una comunità energetica. In futuro l’idrogeno sarà sicuramente un vettore, ma oggi assistiamo ad alcune strane derive: perché utilizzare il fotovoltaico per produrre idrogeno verde con cui alimentare autobus a H2, quando possiamo usare direttamente il fotovoltaico per caricare le batterie di autobus elettrici?”.

Questo approfondimento fotografa bene la situazione non solo italiana nella quale ci muoviamo come impresa”, riprende Mazzarini, “Per questo abbiamo investito in turbine già predisposte per l’utilizzo dell’idrogeno in miscela con il gas naturale. È una tecnologia che può giocare un ruolo importante nel mix energetico del futuro“.

Lorenzoni invita alla cautela: “Anche io credo che in futuro la possibilità di utilizzare quote crescenti di idrogeno come combustibile sarà determinante. Ma ad oggi non è la panacea, perché è costoso e competitivo solo grazie a sussidi. Per molte applicazioni, come i trasporti leggeri, l’elettrico diretto ha rendimenti di gran lunga migliori. Nella generazione elettrica, qualora si creasse una vera filiera dell’idrogeno verde, sarebbe invece una possibilità interessante“.

Mazzi chiude il cerchio: “Credo che questo ci riporti sul tema per cui ogni scelta deve essere guidata da analisi sistemiche. Serve valutare costi, benefici, rischi e impatti a lungo termine. E un approccio sistemico non può prescindere da una visione integrata. L’Italia ha le competenze per guidare questa transizione, ma per riuscire a farlo deve mettere a sistema i suoi punti di forza. Imprese, istituzioni, università: tutti devono lavorare insieme. La sostenibilità non è un lusso, ma una necessità“.

Sai, Matteo”, interviene Lorenzoni, “io ricordo quando le turbine avevano un’efficienza del 40% e lo Stato incentivava chi riusciva ad arrivare al 50%. Avere un’efficienza al 62% dimostra che oggi le turbine hanno raggiunto un livello tecnologico incredibile“.

A questo punto, la discussione si apre a temi più trasversali, poiché la transizione non è solo un tema di rinnovamento tecnologico e mix energetico, ma anche di progettazione e previsione delle evoluzioni future delle scelte odierne. Anna Mazzi richiama l’attenzione sul calcolo del ciclo di vita delle tecnologie: “Una visione a lungo termine è altrettanto fondamentale. Non basta che una tecnologia sia ‘verde’ nella fase d’uso, che corrisponde all’oggi, ma anche la realizzazione degli impianti deve essere ‘sostenibile’. Per questo occorre adottare una prospettiva più ampia e includere tutte le attività necessarie per realizzare la tecnologia e gestirla nel tempo fino alla sua dismissione: è l’approccio ‘from cradle to grave’. Per fare un esempio, se per costruire un pannello servono terre rare estratte in modo insostenibile, non stiamo ottenendo una reale transizione sostenibile, ma piuttosto rischiamo di spostare la dipendenza da alcune fonti non rinnovabili (il petrolio e il gas) ad altre (le materie prime critiche)”. Un approccio sistemico è dunque indispensabile, anche per valutare le dipendenze geopolitiche legate alle materie prime. “L’Unione Europea sta giustamente puntando su un piano strategico per ridurre la dipendenza da risorse prime critiche, ovvero materie prime di cui i Paesi Europei hanno fortemente bisogno per la transizione energetica, che tuttavia sono sostanzialmente immesse da altri Paesi extra-UE, spesso caratterizzati da situazioni politiche interne instabili. E quindi il tema della transizione non è solo ambientale, ma anche economico e di sicurezza“.

Come emerso dal dibattito tra i nostri ospiti, il successo della sfida della transizione energetica e ambientale richiede una strategia chiara e una visione a lungo termine, in grado di bilanciare innovazione tecnologica, rispetto per l’ambiente e collaborazione tra tutti gli attori coinvolti. Guardando al 2030 e al 2050, EP Produzione continua a operare come protagonista nel panorama energetico italiano ed è pronta a fare la sua parte affinché vengano raggiunti gli obiettivi nazionali e internazionali di sostenibilità e decarbonizzazione.

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