Ricordate Srebrenica - Azione Cattolica Italiana

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È una distesa di lapidi bianche il Memoriale di Potočari. Il complesso monumentale che commemora il genocidio di Srebrenica, il massacro più grave avvenuto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale di cui oggi, 11 luglio, si ricorda il trentesimo anniversario. Su una lapide all’ingresso c’è scritto 8372. È il numero dei maschi musulmani bosniaci tra gli 8 e gli 80 anni uccisi nel giro di tre giorni dalle milizie serbe agli ordini di Ratko Mladić e gettati nelle fosse comuni sotto gli occhi dei caschi blu olandesi e del mondo.

Nonostante la risoluzione n.819 del 16 aprile 1993 avesse dichiarato Srebrenica “zona protetta”. Benché il generale francese Philippe Morillon dopo aver preteso la consegna delle armi da parte dei bosgnacchi, perché la zona andava smilitarizzata, avesse giurato alla popolazione “Saremo noi a proteggervi”. Malgrado il 10 luglio il generale olandese Karremans avesse garantito il bombardamento delle postazioni serbe da parte degli aerei della Nato.

L’Onu è morta a Sarajevo ed è stata sepolta a Srebrenica

Per questo non è esagerato dire, come fecero nel 1995 i giornalisti Gigi Riva e Zlatko Dizdarevic, che l’Onu è morta a Sarajevo ed è stata sepolta a Srebrenica. Pochi giorni prima Alex Langer, che non sopravvisse al peso della responsabilità che questa guerra portava con sé, era andato a Cannes con una delegazione a protestare davanti ai capi di Stato e di governo contro la neutralità tra aggrediti e aggressori. E a proporre un’adesione immediata della Repubblica di Bosnia-Erzegovina all’Unione europea, perché – dissero – “l’Europa rinasce o muore a Sarajevo”.

Così è accaduto: Srebrenica ha decretato l’eclissi della convivenza, la cristallizzazione della separazione etnica, il trionfo del metodo “separare i vivi o contare i morti”. Ciò che si è consumato nella ex Jugoslavia non è stato un rigurgito medievale né una guerra fratricida tra i litigiosi slavi del Sud, come qualcuno continua a voler far credere, ma un’anticipazione dell’oggi, di ciò che è avvenuto e avviene in Ucraina e a Gaza, dove l’irrilevanza delle Nazioni Unite, ma al tempo stesso la sua necessità, viene certificata giorno dopo giorno.

È finito un modo di stare al mondo come l’avevamo immaginato in Europa dopo il 1945

A Srebrenica – la cui colpa era quella di essere un territorio a maggioranza musulmana in una zona della Bosnia abitata in maggioranza dai serbi a pochi chilometri dalla Drina che segna il confine tra Bosnia e Serbia, un ostacolo dunque a un’eventuale annessione dei serbi alla madre patria – è finito, meglio è stato distrutto, un modo di stare al mondo come l’avevamo immaginato in Europa dopo il 1945.
Un mondo dove i ponti si costruivano e non si facevano saltare. Dove non c’erano morti di serie A e morti di serie B, dove le vite contavano e il dolore trovava spazio.

A Srebrenica è morto il sogno europeo dell’unità nella diversità, a Srebrenica è morta l’umanità. Ma ciò che se possibile è ancora più grave è la rimozione che ne è seguita. Il negazionismo in crescita negli ultimi anni, che come ha scritto la giornalista Azra Nuhefendić «è l’ultima fase del genocidio».

Sono tante le vittime che mancano all’appello perché nessuno le ha reclamate

Per questo è importante ricordare, ricostruire, essere a Potočari ogni 11 luglio. Dare nomi e volti a quel numero inciso sulla lapide – 8372. Sapendo che al momento sono 6765 le vittime che hanno ricevuto sepoltura. Che altre 7 verranno tumulate quest’anno, che altre mancano all’appello perché nessuno le ha reclamate. Sono rappresentate dai tre puntini di sospensione che seguono la cifra totale e sono quelle persone appartenenti a nuclei familiari dove non è sopravvissuto nessuno.

Per questo è importante che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel maggio del 2024 abbia decretato l’11 luglio “Giornata internazionale di riflessione per il Genocidio di Srebrenica”. Una risoluzione che l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani ha dichiarato importante: «ancora più alla luce del persistente revisionismo e della negazione del genocidio di Srebrenica. Ma anche dei discorsi di odio da parte di leader politici di alto livello in Bosnia Erzegovina e nei Paesi vicini».

Riconoscere ciò che è stato e non aggiungere ingiustizia all’orrore

Per riconoscere ciò che è stato e non aggiungere ingiustizia all’orrore. «Quando uscimmo vivi dai boschi della Bosnia orientale, nel luglio del 1995, nessuno ci credette»: ha raccontato un sopravvissuto, Emir Suljagić, attuale direttore del Memoriale di Srebrenica. «Le nostre storie erano troppo orribili per essere accettate. Per anni abbiamo dovuto dimostrare ogni singolo dettaglio, centimetro dopo centimetro, osso dopo osso. Ma l’abbiamo fatto. Non solo per stabilire i fatti, ma per difendere la nostra umanità.»

Per dare parole al dolore e un po’ di conforto a chi è rimasto e ha provato a ricominciare insieme. Alle madri di Srebrenica che non possono dormire, perché come dice il poeta Abdulah Sidran «appena chiude gli occhi, ecco la guerra alla porta, ecco quel secondo nel quale vide, sotto il coltello cetnico, separarsi dal proprio corpo la testa di suo figlio!

E quando il sonno sugli occhi le posa, lei, in sogno, continua a riunire la testa al corpo del Figlio insepolto!
Come possiamo vivere nel presente?
Come possiamo non guardare al passato?

È questa la Pace?
È così che finisce la Guerra?
Quando tacciono le armi di ferro e fino al cielo grida il cuore materno?
Quando il criminale cambia la camicia e con la nuova addosso sotto le nostre case e le nostre finestre nella nostra Srebrenica veglia sulla nostra pace?
Per voi il vostro è trascorso ma per noi il nostro passato non è per nulla passato!

Né passerà né può passare fintanto che il cielo plumbeo la nostra Srebrenica di argento ricopre.
Fintanto che sotto il suo cielo di piombo l’aria plumbea e plumbee d’aria boccate respiriamo e inghiottiamo con quelli che hanno sì cambiato la camicia ma che il cuore sotto la camicia e nel cuore l’odio non hanno cambiato né pensano di cambiare».
(Versi tratti da Le lacrime delle madri di Srebrenica)

Un libro, un podcast, un articolo e un film per approfondire e
ricordare:

Ivica Đikić, Metodo Srebrenica. 1995, il genocidio nel cuore dell’Europa, Bottega Errante Edizioni, 2025.
Roberta Biagiarelli e Paolo Rumiz, Srebrenica. Il genocidio dimenticato, Chora Media, 2025.
Il Post, Quello che successe a Srebrenica, 30 anni fa, 11 luglio 2025.
Quo vadis, Aida?, regia di Jasmila Zbanic, 2020.

Recapiti
Fabiana Martini