“Lezioni di giornalismo culturale”, da Flaiano a noi, per conoscere e riconoscere | Ordine dei Giornalisti del Lazio

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18 Luglio 2025

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di Patrizia Renzetti

Le lezioni di “giornalismo culturale” non sono solo formazione professionale, non sono solo approfondimento tematico, ma un’esperienza viva, capace di restituire voci, visioni, fragilità e talento di coloro che — con la scrittura — hanno inciso sulla pelle della storia. È accaduto anche stavolta, tra le pareti alte e silenziose della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, dove il corso dedicato a Ennio Flaiano, che rientra nel progetto di lezioni di “Giornalismo Culturale” dell’Odg del Lazio, si è trasformato in un viaggio emotivo, lucido e insieme struggente. Perché parlare di Flaiano non è solo studiarne la forma, ma riconoscere il battito ancora presente di un pensiero che non ha mai voluto mettersi in posa.

Le lezioni di giornalismo culturale, fortemente volute dal presidente dell’Odg del Lazio Guido D’Ubaldo, oggi, servono a tratteggiare colleghi d’un tempo passato, ma mai superati. Figure che sembrano appartenere a un altro mondo — magari in bianco e nero — e che invece sono ancora lì, nei toni secchi di un titolo ben scritto, in una battuta affilata, in una riflessione che sa ridere e insieme accusare. Flaiano è questo: l’osservatore laterale che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce per farsi sentire.

Fu ex ragioniere, architetto mancato, romano per amore e per insofferenza. Irriverente, malinconico, elitario, ironico. Aveva in sé tutte le contraddizioni necessarie per raccontare il Paese. Non spiegava l’Italia: la smascherava. Non commentava Roma: la viveva a denti stretti, tra adorazione e disincanto. Scriveva per ridere e per resistere. Per sconfiggere la morte.

E se oggi ci si chiede cosa significhi davvero “fare giornalismo”, forse la risposta sta proprio nella forza di evocare chi, come lui, ha saputo parlare a partire dal piccolo per arrivare all’universale.

Non solo giornalista. I suoi film — quelli firmati con Fellini, con Monicelli — erano sogni di una grande città pensati da un ragazzo di provincia. Il suo sguardo non era mai quello del regista che impone, ma dello scrittore che osserva, affila, registra, soffre. Flaiano, lui che ha inventato il termine “paparazzo”. Flaiano, che annotava battute su tovaglioli di carta da Cesaretto, “tra una coscia di pollo e la cicoria, in attesa della gloria”. Flaiano, che amava i registi capaci di leggere e scrivere. Un uomo che portava dentro sé una tristezza grande, quella per la figlia malata, ma che continuava a vivere nella vitalità più estrema, sempre pronto a ridere di sé e degli altri.

La sua era una scrittura che partiva dalla spigolatura per scavare nell’identità profonda degli italiani. E non aveva paura di dire la verità attraverso il paradosso, la satira, il gusto dell’aforisma. In ogni suo pezzo, l’eco di un’Italia che cercava sé stessa, che fingeva certezze ma nascondeva inquietudine. Lui, intellettuale di carta e penna, mai riconciliato con il successo, un liberale per vocazione, snob per autodifesa, antiretorico per amore della semplicità.

A cinquant’anni dalla sua scomparsa, il docufilm “Ennio Flaiano, straniero in patria” — proiettato durante il corso — ha restituito la potenza del suo sguardo, il passo lieve e feroce di chi cammina fuori dalla moda e dal tempo. Lì dove tanti si fermano alle immagini, lui preferiva le parole. Quelle giuste. Quelle necessarie.

La verità è che Flaiano non ha mai voluto essere beatificato. Non l’avrebbe gradito da vivo, non l’avrebbe tollerato da morto. Eppure è stato maestro per generazioni di intellettuali, rimasto spesso solo, senza padrini. E proprio per questo, più libero. Più universale.

Il giornalismo, oggi, ha bisogno di queste voci. Di queste ombre dense, ironiche, spietate. Perché raccontare chi siamo stati, attraverso chi ci ha raccontati, è il primo passo per capire chi siamo diventati.

E Flaiano, con il suo talento che non si lascia corrodere dal tempo, è ancora qui. Tra le righe, nelle pause, nei sorrisi a metà. Flaiano è ancora il nostro contemporaneo.

Non ci resta che attendere la prossima lezione di “Giornalismo Culturale”.

Recapiti
Patrizia Renzetti