Un secolo di Treccani. Intervista a Massimo Bray.
di Paolo Soraci
L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, la Treccani, compie cent’anni. Nacque nel pieno del ventennio fascista per la congiunta decisione di Giovanni Treccani, imprenditore e mecenate, e di Giovanni Gentile, illustre filosofo e ministro dell’istruzione. L’intenzione era dotare l’Italia di un’opera che contribuisse alla modernizzazione della nazione e al consolidamento dell’ancor giovane regime. L’Enciclopedia riscosse un notevole successo, coinvolgendo intellettuali e studiosi di diverse origini, discipline e generazioni, mantenendo, al netto dei dovuti “omaggi” all’ideologia dominante e della fedeltà all’impostazione idealistica del fondatore, una sua indiscutibile autonomia. Tant’è che, sopravvissuta al fascismo, ha saputo accompagnare la società e la cultura italiane attraverso i dieci decenni a seguire.
Al direttore generale Massimo Bray vogliamo chiedere qual è il ruolo dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana a cento anni dalla nascita e alla luce di tutti i cambiamenti che cultura e società hanno conosciuto.
Confesso che sono ancora meravigliato e felice di quanti inviti stiamo ricevendo in tante città italiane ed europee, per raccontare la storia di questi cent’anni. Perché mi dà l’idea di quanto il pubblico sia affezionato alla Treccani, fin dai tempi della fondazione: l’Istituto nasce in primo luogo per rispondere all’ideale di una grande Enciclopedia italiana sul modello delle enciclopedie che erano state sviluppate da quasi tutti gli Stati europei, opere “nazionali” concepite nel momento in cui si configurano gli Stati nazionali. Gli istituti come Treccani sono molti, più di dieci nel mondo occidentale, ma noi abbiamo da un lato una configurazione privatistica, davvero quasi un unicum, e dall’altra una missione pubblica, un’idea di tutela e valorizzazione della cultura nazionale. L’Enciclopedia è lo strumento di questa missione: portare la cultura nelle case di tutti i cittadini, disponendo di uno strumento che sia allo stesso tempo attendibile e accessibile. L’attendibilità è per fortuna la categoria che ancora oggi ci caratterizza: «Se lo dice la Treccani è vero».
Questa capacità di certificare il sapere è uno dei grandi punti di forza dell’Istituto, che nello stesso tempo resta attento all’accessibilità e all’adeguatezza a un sapere in continuo movimento. Se un tempo l’Enciclopedia veniva regolarmente tenuta al passo con i volumi di aggiornamento, oggi trova nel portale Treccani la capacità di aggiornarsi quotidianamente. Grazie a questa scelta, anche negli anni di crisi degli altri grandi istituti nazionali abbiamo saputo mantenere viva la missione fondativa, che trova concreta realizzazione nell’Enciclopedia ma anche nei cantieri che nel tempo sono andati affiancandosi all’impresa principale. Penso alle grandi opere dedicate all’arte e al patrimonio storico culturale, come la grandissima Enciclopedia dell’arte antica, anche lì con una configurazione, voluta sin dall’inizio, che comprende tanto l’arte occidentale quanto l’orientale, in una di quelle felici contraddizioni che sempre distinguono il mondo della cultura: difendi l’identità italiana ma nello stesso tempo cogli l’importanza di aprirti ad altri mondi. Penso poi all’Osservatorio della lingua italiana, immane cantiere sulla lingua vista non solo per la sua grandissima ricchezza storica, ma per la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti, di aderire al presente. Quando oggi realizziamo il Festival della lingua italiana, non facciamo altro che portare avanti quello che era uno dei cantieri iniziali.
Possiamo affermare che la grande biografia degli italiani, cioè la Treccani, prende su di sé la responsabilità di raccontare le donne e gli uomini che in qualche misura hanno lasciato un segno, non solo nelle vicende storiche e politiche, nelle scienze e nelle discipline umanistiche, ma nella cultura diffusa, fin nell’artigianato, per esempio, o nello sport. E anche qui secondo me c’è un’importante scelta di modernità: davvero un’opera che possiamo definire l’autobiografia del Paese. Tutto questo si è cercato di portarlo avanti nell’oggi, nella contemporaneità che abbiamo di fronte, con tutte le sfide che rappresenta. Vogliamo essere, dobbiamo essere, e fondamentalmente siamo un punto di riferimento capace di orientare il lettore, cosa che riteniamo di avere un po’ sempre fatto, ma che oggi si rivela il necessario antidoto alla dilagante disinformazione, un’alternativa anche digitale rispetto a quel che vediamo ogni giorno, all’emergere cioè di un sapere troppo spesso non certificato e manipolato.
Si dice Treccani e si pensa subito ai grandi tomi dalla costa verde, ai fregi oro dei volumi che compongono l’Enciclopedia nella sua tradizionale veste fisica. Ma, appunto, la Treccani ha dovuto affrontare molto per tempo le sfide e le occasioni poste dal web. Quale risposta avete dato a queste sfide e come avete colto queste occasioni?
Si torna sempre alla capacità di Treccani di leggere i cambiamenti oltre che al diretto contributo di alcune grandi figure. C’è un periodo, che definirei del ripensamento e della rigenerazione della missione, che coincide con la presidenza di Rita Levi-Montalcini, parliamo quindi nei primi anni ‘90. La Professoressa volle da subito due grandi opere: la prima derivava dal fatto che lei, prima di tutti, aveva capito che nel mondo della ricerca stava emergendo una grande attenzione alle neuroscienze. Da qui un’opera francamente straordinaria, Frontiere della vita: per la prima volta vengono fissati alcuni temi che diventeranno cruciali negli anni successivi. L’opera viene tradotta in inglese quasi in contemporanea alla pubblicazione in italiano. Ci scrivono, se ricordo bene, sedici premi Nobel e altri contributori diventeranno premi Nobel mentre quest’opera è in corso di pubblicazione. Un successo enorme.
La seconda grande opera è l’apertura del sito Treccani.it. Avviene nel 1995 ed è una storia molto divertente: credo fosse in piena estate, io spesso approfittavo di quel periodo in cui i ritmi sono meno intensi per preparare nuovi progetti e anche un po’ per lavorare più da presso con la professoressa Levi-Montalcini. Un giorno lei mi dice: «Ma questo sito web che vedo, questo mondo web che incomincia… di che si tratta?», voleva capire bene cos’era e se poteva esserci utile. Come sappiamo, la sua è una storia fortemente segnata dal periodo americano. Costretta ad andar via dall’Italia nel ’38 a seguito delle leggi razziali, la sua formazione e i suoi studi erano continuati e si erano stabilizzati nei grandi centri di ricerca negli Stati Uniti. Ma torniamo a quell’estate romana: con quel suo modo di fare che ti colpiva sempre, lei dice: «Va beh, non ti preoccupare, faccio io due telefonate e vedo di capire come possiamo fare per far avere un sito alla Treccani». E chiama un responsabile della IBM e quello di un’altra società che all’epoca era ancora davvero poco conosciuta, Apple. A partire da quelle telefonate, due gruppi di lavoro metteranno in piedi il primo sito Treccani, nel 1995! Le prime riunioni pongono alcuni punti fermi – ricordiamo che non molto dopo prenderà l’avvio il famoso dibattito se il web avrebbe distrutto la carta, il libro – e insomma negli appunti delle mappe concettuali preparatorie, proprio lei dice chiaramente, da quella appassionata lettrice che era, che libro e sito sono due strumenti che dovranno convivere. E così è stato: il sito Treccani.it, come la app venuta molto dopo, sono in costante dialogo con la produzione cartacea, con i famosi grandi tomi.
Al contempo, colpisce come l’ultimo aggiornamento dell’Enciclopedia, tre volumi pubblicati tra fine ‘24 e primi giorni del ‘25, abbia trovato un pubblico tanto folto quanto attento. Nei volumi degli aggiornamenti cerchiamo di pensare e ripensare le categorie di base che i profondi cambiamenti che stiamo affrontando mettono in discussione. Penso a una voce che abbiamo riscritto tante volte in un secolo, quella dedicata a “Famiglia”, e che oggi presentiamo al plurale: “Famiglie”. Penso a una voce come “Disconnessione”, perché sempre più ragazze e ragazzi, donne e uomini a un certo punto delle loro vite sentono questo bisogno di disconnettersi. E a fianco di “Disconnessione” hanno fatto il loro ingresso tutti i temi legati alla solitudine digitale, riflessioni che affidiamo a grandi studiosi. Tutto questo poi apparirà con alcuni percorsi di significato e di approfondimento sul portale Treccani.it. Dal portale Treccani è peraltro nata una piattaforma che lavora con le scuole, Edulia, che crea materiali rivolti sia al corpo docente che agli studenti, i quali possono usarli e a loro volta arricchirli, personalizzando quella che sarà una lezione o un percorso didattico.
Al centro c’è la forza di una comunità, costituitasi sin dalle origini, fatta da chi è stato intorno a Treccani, ha scritto per noi, ha dato un contributo di pensiero. C’è questa idea che l’essere al servizio dei cittadini, del Paese – il che giustifica il fatto che il Presidente della Treccani è eletto e scelto dal Presidente della Repubblica – fa di noi una felice anomalia. Ecco, credo che tutto questo vada davvero tutelato, come dice la nostra Costituzione rispetto ai beni culturali, e che è una bella anomalia quella che abbiamo di fronte. Io lavoro da molti anni in Treccani e credo si capisca quanto bene voglio a Treccani e quanto Treccani mi ha dato.
Nuovamente, si dice Treccani e si pensa alle grandi opere, diciamo pure alle grandi rateali. Ma da un po’ di anni e con crescente attenzione, la Treccani ha iniziato a guardare attivamente all’editoria di varia saggistica, a un’editoria che nella libreria trova il suo ambiente naturale. A che esigenze ha risposto questa apertura?
Ovviamente abbiamo preso atto delle difficoltà che opere come l’Enciclopedia incontrano nelle attuali condizioni sociali e di mercato. D’altronde, siamo ormai tra gli ultimi che continuano a presidiare questa attenzione per un sapere organizzato e di lungo respiro, così necessario in un’epoca di caos cognitivo come l’attuale. Consapevoli delle difficoltà delle grandi opere, cinque anni fa abbiamo deciso di immaginare una nostra presenza in libreria, che oggi è arrivata a oltre centoventi titoli. Ci siamo concentrati sulla saggistica, con l’idea di definire un progetto editoriale capace di porsi come punto di riferimento di alcune tendenze e come repertorio di risposte ad alcuni punti di domanda che un pubblico tendenzialmente giovane ci pone, soprattutto attraverso il portale. Di questi frequentatori del portale, che in alcuni giorni arrivano a settecentomila, la maggior parte, oltre il sessanta percento, sono ragazze e ragazzi tra i diciotto e i vent’anni. Il web è uno straordinario strumento di dialogo con questo pubblico: è con loro, per esempio, che testiamo la parola dell’anno con cui poi organizzeremo il Festival della lingua italiana e con cui realizziamo il Libro dell’anno. Ricordo che l’anno scorso la parola scelta era “Rispetto” e che abbiamo avuto il grandissimo onore che il Capo dello Stato la citasse nel discorso di fine anno.
Ora, abbiamo pensato che tutte queste suggestioni, queste domande di sapere, che vanno dalla letteratura alla sociologia, dalla scienza alla tecnologia, potessero trovare risposte in una serie di libri, di saggi, organizzati in poche collane molto chiaramente definite. Da una parte quindi, “Voci”, che ripesca per l’appunto alcune voci storiche dell’Enciclopedia e le attualizza con prefazioni affidate a grandi nomi di specialisti, e dall’altra “Visioni”, che affronta i grandi cambiamenti sociali, politici e quelli che definirei i nostri timori di fronte alla contemporaneità. Prendiamo il tempo: quello che abbiamo di fronte non è sicuramente il tempo con cui eravamo abituati a misurarci nel Novecento e questo ci pone di fronte a numerosi interrogativi, per affrontare i quali abbiamo pubblicato un libro meraviglioso, Avere tempo di Pascal Chabot, che ci spiega come siamo stati privati di quel tempo di cui abbiamo avuto percezione fino al Novecento, e come oggi abbiamo un tempo in cui siamo sempre connessi e non ci sono più pause.
Ricordo un dibattito al quale ho partecipato con Tullio De Mauro: si discuteva della fine della noia, un sentimento, uno stato legato al tempo e legata al libro, sosteneva De Mauro. La lettura è qualcosa che esperiamo in solitudine, sembra lineare, e infatti leggendo andiamo avanti, ma torniamo anche indietro, poi facciamo un segno in una pagina, ci appisoliamo… questo è il modo in cui sappiamo leggere un libro. Oggi tutto questo rischiamo di perderlo, e Chabot ci spiega che forse dobbiamo fermarci, che il libro e la lettura hanno ancora una centralità, soprattutto nella formazione di chi è più giovane.
Proprio pensando a quanto ci dice Chabot, abbiamo varato un’altra collana, che si chiama “Tessere”, in cui cerchiamo di ricostruire un sapere che magari abbiamo appreso a scuola, ma che rischiamo di dimenticare: a cosa dobbiamo badare se decidiamo di avvicinarci alla grande tradizione della musica classica? Perché le date, le noiose date, sono così importanti per la comprensione della storia? cosa ci dice ancora la poesia di Giovanni Pascoli? Testi veloci, agili nella struttura come nella scrittura. Tutto questo nella speranza di attivare una comunità che crede nella centralità della cultura, nel suo valore, e anche nel puro piacere della conoscenza. Quindi, anche sotto il segno di un diverso approccio e di un diverso modo di affrontare i fatti della cultura, Treccani dimostra di saper celebrare i propri cent’anni dando nuova agilità alla sua proposta culturale e non monumentalizzandosi, come tutto sommato sarebbe lecito a una veneranda signora come l’Istituto dell’Enciclopedia italiana.
Questo sforzo parte da un editore, ma deve arrivare alla libreria, perché il valore delle librerie è inestimabile, le librerie per me sono proprio luoghi sacri, è là dove possiamo contribuire alla formazione delle nuove generazioni. Questo sforzo vede partecipi molti attori: l’editore, dicevamo, ma anche chi i libri li promuove, deve convincere il libraio e deve avere dentro di sé il valore del libro. Ora tutto questo è diventato un po’ il tema sottostante ai festeggiamenti del centenario: la domanda era come fare arrivare il messaggio di ciò che Treccani sta realizzando. Per esempio, abbiamo deciso che la mostra dei cent’anni sarebbe stata una mostra multimediale, tra l’altro affidata nella realizzazione digitale a una eccellenza italiana come dotdotdot. E quando abbiamo fatto la mappa delle iniziative avviate ero quasi impaurito perché sono quasi sessanta le attività e dobbiamo essere sicuramente più bravi a comunicare tanta ricchezza e complessità. Penso all’altra grande mostra, dedicata a Marco Polo, firmata anche da Treccani e realizzata a Pechino, visitata dal Presidente della Repubblica nel suo viaggio di Stato in Cina. O penso a un’altra grande mostra che faremo sempre in Cina col Ministero degli esteri, la nostra ambasciata e l’Istituto italiano di cultura di Pechino, dedicata a Palladio.
Grandi eventi, ma nello stesso tempo, Treccani dedica tanta attenzione alla formazione: ho detto di Edulia ma abbiamo un’altra start up che si chiama Treccani Accademia. Il portale ospita quattro magazines digitali, uno è dedicato all’attualità e alla geopolitica, “Atlante”; un altro è, credo, l’unico magazine long form, si chiama “Il tascabile” ed è anche una piccola scuola di scrittura; ce n’è uno rivolto a tutti gli studenti degli istituti universitari superiori, che si chiama “Il chiasmo”, e ce n’è uno dedicato alla “Lingua italiana”, che è anche il più letto. Tra le iniziative più recenti c’è un laboratorio sull’arte contemporanea, perché siamo consapevoli che è uno dei grandi linguaggi che abbiamo di fronte, ma nello stesso tempo portiamo avanti il progetto “Ti leggo”, per far conoscere il valore del libro e della lettura nelle zone del Paese dove si legge di meno, in parallelo a un progetto per le carceri minorili e a un altro con il Piccolo Teatro di Milano, tutti centrati sul cruciale tema della povertà educativa.
Questa mole di lavoro e di iniziative è il nostro modo di attualizzare il ruolo che l’istituto si era posto a inizio del Novecento e, come il nostro Presidente Carlo Ossola ha detto in una bella e lunga intervista, di portare avanti un compito sicuramente gravoso e però affascinante, che è quello di scegliere e ordinare il sapere, anche grazie a una comunità che crede nel valore del pensiero e della conoscenza, e che forse per la prima volta in Italia, proprio all’inizio del Novecento, ha capito come bisognasse tenere insieme il pensiero umanistico e quello scientifico. Ecco, io trovo che, soprattutto in un mondo in cui registriamo come l’espressione fake news sia una delle più ricorrenti e che destano più preoccupazione, la presenza di Treccani e il suo quotidiano sforzo di saper leggere, orientare e adattarsi ai cambiamenti sia una delle scommesse che le celebrazioni dei cento anni devono confermare anche per il futuro.
Potete ascoltare la nostra intervista in formato audio nella trentunesima puntata del nostro podcast INDIE – Libri per lettori indipendenti.