“Cervello di gallina”. “Sei proprio un asino!”. “Essere il capro espiatorio”. “Trattato come un cane”. Questi sono solo alcuni esempi di espressioni radicate nel linguaggio comune e che utilizziamo senza pensarci troppo, ma che custodiscono un modo preciso di guardare agli animali: strumenti, risorse, simboli al servizio dell’essere umano.
Il linguaggio quotidiano è pieno di riferimenti al mondo animale. In apparenza innocui, in realtà riflettono e tramandano una visione gerarchica dei rapporti tra persone e animali, in cui questi ultimi vengono spesso ridotti a metafore negative, a “oggetti” o a termini di paragone poco lusinghieri, in riferimento a presunte loro caratteristiche negative.
Ecco quindi che pollo diventa sinonimo di ingenuità, maiale di sporcizia, asino di stupidità, oca di superficialità e frivolezza. Eppure polli, maiali, asini e oche, se guardati con occhi liberi dai pregiudizi, sono individui con sensibilità, intelligenza e relazioni sociali complesse.
Ogni volta che diciamo “fare una vita da cani” stiamo rafforzando l’idea che il cane sia destinato a sofferenza e degrado. Ogni volta che un insulto prende il nome di un animale, non stiamo solo offendendo una persona, ma ribadendo implicitamente che quegli animali siano poco intelligenti, sporchi o indegni di rispetto.
Il linguaggio come specchio e strumento della realtà
Il linguaggio è uno specchio della realtà e porta con sé credenze, valori e abitudini di un’epoca. Per questo i proverbi e i modi di dire popolari, nati in un contesto contadino, parlano di animali in funzione della loro utilità o delle caratteristiche osservate dall’uomo. Non sorprende quindi che ci restituiscano una visione antropocentrica.
Ma non bisogna dimenticare che il linguaggio non è solo specchio, è anche strumento in continua evoluzione. Parlare plasma il modo in cui pensiamo e agiamo, mentre il linguaggio cambia e si evolve – e questo vale in ogni contesto: se tutti i parlanti decidessero per esempio di smettere di usare un’espressione che associa il maiale alla sporcizia, presto o tardi quel giudizio di disvalore, che si riflette sul modo in cui l’animale reale viene percepito, andrebbe a scomparire.
La domanda è: cambiando il linguaggio, possiamo cambiare anche la realtà? In parte sì. Le parole non bastano da sole a trasformare i rapporti sociali, ma sono uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione. Basti pensare a come la necessità di un linguaggio più inclusivo abbia acceso i riflettori sulle discriminazioni di genere.
Anche nel rapporto con gli animali, modificare il linguaggio significa aprire una breccia nel modo in cui li consideriamo. Smettere di associare le oche alla frivolezza o gli asini alla stupidità, può diventare indirettamente un atto di giustizia nei loro confronti.
È importante riconoscere che le parole hanno un peso, e che cambiare modo di dire può significare, a lungo termine, cambiare modo di pensare.
a cura di Laura Di Cintio