Milano alzi lo sguardo verso la montagna dei piccoli borghi - Consorzio AASTER

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Ripensare il locale per ripensare il globale vale anche per le città snodo di reti in quell’intreccio tra prossimità e simultaneità del vivere e dell’abitare. Vale anche per Milano a cui forse oggi, farebbe bene alzare lo sguardo dal proprio ombelico e guardare verso le montagne, non fosse altro per seguire la fiumana dei suoi abitanti che hanno risalito vallate alpine in fuga feriale dalla cappa metropolitana. Quindi non sembri irriverente la presentazione anche a Milano presso le Acli del Rapporto sulla montagna dell’Uncem, unione dei Comuni e Comunità montane. Certo, luoghi di prossimità orizzontale di reti corte spesso invisibili rispetto alla verticalità spettacolare dello Sky Line a reti lunghe della metropoli in divenire. Sono lì a ricordarci di questi tempi da negazionismo tuonante, che seguendo la fiumana dei turismi si vedrà la risalita della vigna e dell’Ulivo, il venir meno dei ghiacciai nell’inverno liquido e che lì, memento Covid, ci stanno le nostre terre rare: aria, verde ed acqua. Risorsa quotata in quelle dighe da fordismo alpino delle multiutility dell’energia bianca in metamorfosi dal municipalismo al capitalismo delle reti. Cambia Milano come cambia la municipale Aem in A2A che illumina imprese, l’abitare e la città degli eventi. E qui, partendo dal margine, siamo arrivati al centro di una riflessione necessaria alla città Premium che ragiona su come raddrizzare il legno storto dell’eventologia da dopo Expo, accingendosi a lanciare e ospitare nell’anno che viene le Olimpiadi invernali Milano-Cortina. Alzare lo sguardo serve alla città degli eventi a mitigare e cambiare postura da città-stato europea e globale, direbbero i più critici, a città-regione o città nella regione guardando al territorio. Assumendo come spazio di posizione, direbbe Dematteis, «una geografia metro-montana come descrizione ragionata di possibili relazioni virtuose tra centri metropolitani e territori montani». Guardare alle montagne può essere anche una traccia di percorso possibile di riposizionamento, purché non si assuma come spazio da percorrere solo un tracciato di connessione per balzi dalla metropoli alle località premium dove sempre più in alto e con grande artificio resta la neve olimpica. Per arrivare a Bormio e Livigno occorre attraversare le Brianze della manifattura in metamorfosi, poi Lecco in quel ramo del lago di Como che fa Lake District da overturismo sino alla città retica Valtellina e Valchiavenna dei borghi e dei piccoli comuni sino alle piste ed alle dighe su in alto.
Percorso interrogante non solo per logistica di treni ed auto, ma anche per capire quali “possibili relazioni virtuose” può tessere la grande Milano a cui guardano economie, dalla manifattura ai turismi al vivere borghi e paesi montani. Il pendolo della metro-montagna batte i suoni del cambiamento scandendo il tempo dell’antico adagio tra città e contado. Che accelera di molto andando da Milano a Cortina. Bergamo, Brescia, Verona, città snodo per arrivare in quel nord est dove si incontrano le piattaforme produttive lombarde e venete che assieme a quella emiliana disegnano il nuovo triangolo industriale. Che aveva una volta in Torino l’epicentro fordista, a cui anche oggi bisogna guardare sia per la transizione industriale, ma anche assumendo la categoria metro-montagna che li è nata e sperimentata ai tempi delle precedenti Olimpiadi della neve per capire cosa è rimasto di quell’evento per la città e per la montagna. Il rapporto segue anche quella dorsale appenninica che fa da invaso malato a quella pianura che va da Milano a Bologna, terra della logistica di un pullulare di imprese in metamorfosi, in un ciclo di transizione dove ragionare di transizione del ciclo dell’auto ha implicazioni non da poco per la cappa padana che si vede dalle terre alte. Nel suo raccontare numeri e racconti delle “vite minuscole” che fanno “comunità montane” con presunzione istituzionale, ricordano a Milano e non solo, che il 55% del nostro territorio è montano. Dai Comuni polvere dell’abbandono si arriva al disagio metropolitano seguendo le economie fondamentali del vivere, abitare, lavorare, interroganti il fare città e il fare paese, distretti e città medie nell’urbano regionale. Pendolo di un margine che si fa centro nel suo essere avanguardia della crisi climatica e dello spopolamento interrogante il neopopolamento di territori e città. Alzando lo sguardo centro metro-montano ci si interroga sul comune destino e sull’antico rapporto tra città e campagna che declinato nella ipermodernità pare dire a Milano che non c’è smart city senza smart land. Ne tenga conto Milano, città snodo nella macroregione alpina, dove si incontrano l’Europa del burro e l’Europa dell’olio.

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