Sindrome di Skraban-Deardorff: quando famiglie e ricerca camminano insieme per un futuro migliore

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Dott. Marcello Scala (Gaslini): “Il meeting europeo sulla patologia che si è svolto a Genova ha rappresentato un momento di grande valore scientifico e umano”

Dal 31 luglio al 3 agosto scorsi, l’Istituto Giannina Gaslini e l’Università di Genova hanno organizzato il primo meeting europeo dedicato alla sindrome di Skraban-Deardorff, accendendo i riflettori su una rara malattia genetica del neurosviluppo ancora poco conosciuta ma oggetto di crescente interesse scientifico. La patologia è causata da mutazioni nel gene WDR26 e si manifesta con disabilità intellettiva, ritardo del linguaggio, disturbi del comportamento e alterazioni neurologiche. Può comportare, inoltre, ritardi nello sviluppo psicomotorio, dismorfismi facciali, epilessia, disfagia e altre problematiche. Attualmente si stima che colpisca circa 200 persone in tutto il mondo.

“Il meeting di Genova ha rappresentato un momento di grande valore scientifico e umano”, spiega il dott. Marcello Scala, pediatra dell’Istituto Gaslini. “L’evento, promosso dall’associazione SorrisInvincibili, sotto il coordinamento della presidente Elisa Succio, e organizzato in collaborazione con l’Istituto Gaslini e l’Università di Genova, grazie al coordinamento del professor Pasquale Striano (direttore dell’Unità di Neurologia pediatrica e malattie neuromuscolari del Gaslini), ha visto anche la partecipazione delle dottoresse Francesca Faravelli e Valeria Capra (dell’Unità di Genomica e genetica clinica). Il meeting, inoltre, si è avvalso del patrocinio della Fondazione SKDEAS e della Regione Liguria. Per la prima volta in Europa, abbiamo potuto mettere intorno allo stesso tavolo famiglie, medici e ricercatori di tutto il mondo per discutere di una patologia rarissima come la sindrome di Skraban-Deardorff. È stata l’occasione per fare il punto sui progressi scientifici legati al gene WDR26, le cui mutazioni causano la malattia, e condividere esperienze cliniche e di ricerca, rafforzando il dialogo tra comunità scientifica e famiglie”.

“In occasione dell’evento sono stati inoltre presentati i progetti avviati dall’associazione SorrisInvincibili (dal finanziamento di una borsa di ricerca all’Università di Genova fino all’allestimento della nuova stanza multisensoriale del Gaslini), che testimoniano come la collaborazione tra famiglie e istituzioni possa tradursi in azioni concrete di ricerca e cura. Nell’ambito della Skraban-Deardorff, da un lato abbiamo sempre maggiore necessità di disporre di strumenti diagnostici più rapidi e accurati; dall’altro, l’urgenza di sviluppare approcci terapeutici innovativi si pone come il vero motore della nostra attività di ricerca. Infine, concetto non ultimo per importanza, è per noi fondamentale fare tutto il possibile per fornire un sostegno concreto e multidisciplinare alle famiglie. In tal senso, il meeting è stato anche un momento di forte condivisione e collaborazione internazionale. Soltanto condividendo dati e risorse possiamo pensare di compiere dei progressi reali in una malattia complessa e rara come la sindrome di Skraban-Deardorff”.

UNA SINDROME ANCORA POCO CONOSCIUTA: DIFFICOLTÀ NELLA DIAGNOSI E NELLA GESTIONE QUOTIDIANA DELLA MALATTIA

La Skraban-Deardorff è una malattia rarissima, con circa 200 casi noti al mondo, il che rende la diagnosi complessa e spesso tardiva”, prosegue Scala. “In questo ambito, le difficoltà principali che possiamo riscontrare sono due. Innanzitutto, al di là del sospetto clinico, che spesso è limitato a causa della scarsa conoscenza della malattia, la sindrome può essere identificata soltanto attraverso l’utilizzo di test genetici di ultima generazione. Sebbene negli ultimi anni abbiamo assistito a una sempre più ampia diffusione di tali test e ci sia stata una certa riduzione dei costi, questi non sono sempre rapidamente accessibili in tutti i Paesi. Inoltre, i risultati dell’analisi dei dati ottenuti dai test, sia a scopo diagnostico che di ricerca, possono risultare di non immediata interpretazione. Questo significa che molte famiglie affrontano ancora un percorso lungo, spesso fatto di incertezze, una cosiddetta ‘odissea diagnostica’ che può portare a un considerevole ritardo nell’individuazione della patologia”. 

“Sul piano della gestione quotidiana, invece, la complessità è rilevante in quanto le manifestazioni cliniche della sindrome richiedono un lavoro costante di équipe multidisciplinari, con neurologi, genetisti, fisioterapisti, logopedisti e terapisti occupazionali. Ad oggi non esistono linee guida specifiche per la malattia e questo è sicuramente qualcosa su cui lavorare per il prossimo futuro, dal momento che ogni bambino ha bisogno di un percorso personalizzato”.

DIAGNOSI E STRATEGIE TERAPEUTICHE: A CHE PUNTO È LA RICERCA?

“Negli ultimi mesi, al Gaslini e all’Università di Genova abbiamo messo in piedi un programma integrato con l’obiettivo di fare passi avanti nella sindrome di Skraban-Deardorff, sia sul piano della diagnosi che su quello della ricerca”, spiega il dottor Scala. “Il fine è di migliorare la gestione clinica dei pazienti e offrire spunti per il futuro sviluppo di terapie innovative. Con il coordinamento del professor Federico Zara, direttore di Genetica medica dell’Istituto Gaslini e docente dell’Università di Genova, stiamo potenziando progetti di ricerca in corso e avviando nuove linee di studio. I punti che stiamo sviluppando sono diversi. Da un lato, ci stiamo concentrando su strumenti diagnostici più accurati, basati su sequenziamento avanzato di esoma e genoma e su analisi bioinformatiche approfondite, che ci permetteranno di individuare e caratterizzare in maniera ancora più efficace le mutazioni nel gene WDR26. Nei casi più complessi, è possibile affiancare allo studio genetico anche dei test funzionali di base, che permettono di definire meglio l’effetto della specifica mutazione, confermandone il ruolo patogenetico e permettendoci di fornire risposte più precise alle famiglie. Dall’altro lato, abbiamo avviato lo studio dei meccanismi cellulari e molecolari che sono alla base della malattia, utilizzando modelli sperimentali che possono aiutarci a capire come le mutazioni del gene WDR26 alterino il normale sviluppo neuronale. È un lavoro complesso e ancora in fase iniziale, ma d’importanza essenziale. Infatti, solo conoscendo a fondo i meccanismi che causano la sindrome potremo aprire la strada a future terapie mirate e non solo sintomatiche”.

Un altro punto che stiamo sviluppando è quello di costruire un registro clinico-naturalistico che raccolga dati neurologici, neuropsicologici e strumentali omogenei da diversi pazienti in tutto il mondo. L’obiettivo di tale registro è sia di aiutarci a definire meglio le correlazioni genotipo-fenotipo (vale a dire di studiare come una determinata mutazione può associarsi a determinati sintomi nel paziente), sia di creare indicatori di outcome condivisi (cioè dei parametri per predire il decorso clinico del paziente), indispensabili per valutare, in futuro, eventuali interventi terapeutici mirati”.

 “Per quanto riguarda le prospettive di trattamento, è chiaro che siamo ancora in una fase molto preliminare, ma i dati funzionali potrebbero aprire scenari interessanti”, aggiunge Scala. “Non parliamo ancora di terapie pronte all’uso ma di segnali che ci incoraggiano a investire su screening farmacologici mirati, con l’idea di identificare molecole in grado di correggere, almeno in parte, i difetti cellulari tipici della Skraban-Deardorff. Nel frattempo, continuiamo a lavorare anche sul versante clinico-riabilitativo, strutturando percorsi personalizzati per la gestione dei sintomi e raccogliendo misure di outcome riportate dalle famiglie, che sono fondamentali per la ricerca futura. È proprio questo ecosistema che ci permetterà di trasformare le conoscenze di base in prospettive concrete per i bambini affetti dalla patologia e le loro famiglie”.

COMPRENDERE IL GENE WDR26 PER OFFRIRE PROSPETTIVE CONCRETE AI PAZIENTI

Oggi sappiamo che WDR26 non è un gene ‘isolato’, in quanto codifica per una proteina omonima che funge da vero e proprio hub regolatorio, ossia da una specie di crocevia molecolare che interagisce con diverse vie di segnalazione, tra cui PI3K/AKT, MAPK e WNT/beta-catenina, le quali hanno un ruolo chiave nello sviluppo del sistema nervoso e nella maturazione dei neuroni”, illustra il dottor Scala. “Alterazioni in queste vie molecolari sono già state implicate in altre forme di disabilità intellettiva ed epilessia, e questo ci conferma che ci stiamo muovendo in una direzione solida dal punto di vista biologico. Le mutazioni nella sequenza genetica di WDR26 determinano un’alterazione dei circuiti neuronali fin dalle prime fasi dello sviluppo, alterazione che risulta poi nei quadri clinici che osserviamo nei pazienti. In particolare, le prime evidenze sperimentali suggeriscono che le mutazioni in questo gene riducono drasticamente i livelli cellulari della proteina WDR26, compromettendone la sintesi e la funzione, oppure accelerandone la degradazione. Negli ultimi anni, la ricerca ha fatto passi avanti importanti nel chiarire il ruolo di WDR26 nel sistema nervoso in via di sviluppo e nel collegare questo gene ai meccanismi che portano alla sindrome di Skraban-Deardorff. Comprendere questi meccanismi è il primo passo per pensare, in prospettiva, a strategie terapeutiche efficaci”.

“Nell’immediato, invece, il progresso più concreto per i pazienti sarà una diagnosi più tempestiva e una miglior definizione del quadro clinico, che ci consentirà di costruire percorsi di cura più mirati”, spiega l’esperto. “Stiamo lavorando per tradurre le osservazioni scientifiche finora raccolte in modelli cellulari avanzati della Skraban-Deardorff, con l’obiettivo di capire quali aspetti della sindrome siano potenzialmente reversibili. In concreto, questi progressi si stanno già riflettendo in una diagnosi più precisa e nello sviluppo di prime ipotesi terapeutiche. Sebbene siamo ancora lontani da un trattamento specifico, il fatto di aver identificato delle vie cellulari alterate nei pazienti ci offre punti di ingresso per testare farmaci già esistenti che modulano quelle stesse vie (un procedimento noto come “drug repurposing”). In parallelo, stiamo esplorando strategie innovative che potrebbero diventare realizzabili nel prossimo futuro. In sintesi, la comprensione del ruolo del gene WDR26 sta gettando le basi per trasformare la diagnosi di una malattia rara e poco conosciuta in un ambito dove sia possibile pensare a strumenti diagnostici affidabili, a biomarcatori di monitoraggio e, un domani, a trattamenti mirati. È un percorso ancora lungo, ma oggi possiamo dire che ci sono prospettive reali per i pazienti e le loro famiglie”.

QUANDO FAMIGLIE E SCIENZA COLLABORANO: IL DIALOGO CHE ACCELERA LA RICERCA E MIGLIORA LE CURE

Il contributo delle famiglie che convivono con la sindrome di Skraban-Deardorff è chiaramente insostituibile”, sottolinea il dottor Scala. “Sono loro, con le loro esperienze quotidiane, a fornirci indicazioni preziose su aspetti che spesso la medicina tende a trascurare: la qualità della vita, le difficoltà nella comunicazione, i bisogni educativi e riabilitativi, le sfide legate all’autonomia. Questi elementi, quando vengono condivisi in modo sistematico, diventano parte integrante della ricerca clinica e ci aiutano a definire obiettivi più concreti. Le famiglie dei pazienti, inoltre, hanno un ruolo fondamentale nel sostenere la ricerca: attraverso associazioni come SorrisInvincibili, riescono non solo a sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica, ma anche a raccogliere fondi che rendono possibile l’avvio di nuovi progetti di studio. Senza questa sinergia sarebbe molto più difficile portare avanti linee di ricerca innovative su una malattia così rara. Quando famiglie e ricercatori parlano la stessa lingua, quando c’è ascolto reciproco, possiamo davvero lavorare al meglio per accorciare il più possibile i tempi che separano una scoperta scientifica dalla sua applicazione pratica, migliorando la presa in carico dei bambini e aprendo prospettive più concrete per il futuro. È questo, a mio avviso, il vero significato del meeting che si è svolto a Genova: una comunità che si stringe attorno a un obiettivo comune, trasformando la fragilità in forza e la rarità in un motore di innovazione. In un contesto come quello delle malattie rare – conclude Scala – la collaborazione tra famiglie e ricerca non è solo auspicabile ma diventa un modello da cui l’intera comunità scientifica dovrebbe trarre ispirazione. È la dimostrazione che solo unendo le competenze dei medici con la voce dei pazienti possiamo davvero costruire un futuro diverso”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Ivana Barberini)