Paciello (FNOVI): “Mancano registri, definizioni chiare e incentivi. Siamo 50 anni indietro rispetto alla normativa umana”
A partire dagli anni '90, sia a livello nazionale che comunitario, il mondo delle malattie rare ha iniziato a prendere forma: è stata data loro una definizione chiara, sono nati i registri e le prime normative a supporto dello sviluppo di farmaci specifici, i farmaci orfani. Se molti di questi sono oggi disponibili è anche grazie allo studio di patologie analoghe presenti naturalmente negli animali, o indotte creando modelli animali. Gli animali, inclusi quelli da compagnia, e con loro la scienza veterinaria, fino ad oggi hanno tratto però ben poco beneficio dal contributo dato alla ricerca. Nel mondo della medicina veterinaria non esiste ancora nemmeno una definizione normativa condivisa di “malattia rara” analoga a quella umana (in Europa, meno di 1 caso su 2.000 persone).
Ma anche in mancanza di una definizione netta, in ambito scientifico e clinico si tendono a considerare “rare” quelle patologie che presentano una bassa prevalenza nella popolazione di una determinata specie e che spesso richiedono competenze specialistiche per la diagnosi. Le malattie rare degli animali, insomma, sono una realtà in cerca di definizione e la strada verso terapie mirate è ancora davvero lunga. Ne parliamo su Osservatorio Malattie Rare insieme a Orlando Paciello, vicepresidente della Federazione Nazionale degli Ordini Veterinari Italiani (FNOVI) e professore ordinario di Anatomia Patologica Veterinaria presso l'Università di Napoli Federico II.
“Il tema delle malattie rare animali ha una grande rilevanza scientifica, sanitaria e sociale, che si inserisce perfettamente nella prospettiva 'One Health', oggi imprescindibile”, spiega il prof. Paciello. Ma proviamo a capire meglio insieme la situazione attuale.
Prof. Paciello, a che punto siamo con lo sviluppo di farmaci specifici per gli animali?
“Il panorama terapeutico delle malattie rare negli animali è ancora molto limitato rispetto a quello umano. Non esistono normative analoghe al regolamento europeo sui farmaci orfani (orphan drugs) e mancano incentivi economici per lo sviluppo di medicinali destinati a un numero ristretto di pazienti veterinari. Di conseguenza, la maggior parte dei trattamenti disponibili è sintomatica o di supporto, mentre le terapie mirate sono rare ed emergono quasi esclusivamente nell’ambito della ricerca comparata. I motivi sono legati principalmente al mercato ristretto: la popolazione di pazienti animali con una specifica malattia rara è infatti estremamente ridotta. Inoltre, la scarsità di registri e dati epidemiologici e la limitata raccolta sistematica di casi ostacolano studi clinici multicentrici e trial controllati. I costi per sviluppare un farmaco (anche veterinario) sono molto elevati e richiedono investimenti ingenti, difficilmente sostenibili senza ritorno economico per le aziende. Numeri bassi e costi alti comportano uno scarso interesse per l’industria farmaceutica. Mancano inoltre normative specifiche: non esistono percorsi regolatori dedicati a farmaci orfani veterinari (a differenza dell’uomo con EMA e FDA). Spesso i farmaci veterinari per malattie rare derivano da adattamenti di molecole già sviluppate per pazienti umani, con tutte le difficoltà regolatorie e pratiche che questo comporta”.
Pochi ‘pazienti’, ricerca costosa e nessun incentivo. Sembra la situazione delle malattie rare negli anni '70-'80, quasi mezzo secolo fa. Però non è detto che, grazie anche a una nuova sensibilità e all’approccio One Health, le cose non debbano cambiare. FNOVI cosa sta facendo?
“La FNOVI considera le malattie rare negli animali un ambito emergente di interesse clinico e scientifico. Il nostro impegno si articola su più livelli, che comprendono la promozione e la consapevolezza tra i medici veterinari sulla rilevanza di queste patologie e il sostegno alla ricerca comparata e traslazionale in collaborazione con le università, i centri di ricerca e le istituzioni sanitarie. Incentiviamo inoltre la creazione di registri nazionali delle malattie rare veterinarie, per avere dati epidemiologici solidi e supportare lo sviluppo di nuovi farmaci e protocolli terapeutici per curare sia gli animali che gli uomini. Crediamo che, così come avviene per le malattie rare umane, anche per quelle animali sia necessario un approccio integrato, che coinvolga ricerca, clinica, istituzioni e società civile”.