Francesco Sottile all'Assemblea dell'Onu dei popoli a Perugia

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Il vicepresidente di Slow Food Italia è intervenuto all’Assemblea dell’Onu dei popoli a Perugia: «L’Europa deve ripartire da un patto per il cibo e l’agricoltura che riconosca la terra come bene comune, valorizzi la diversità biologica, culturale e alimentare del continente e faccia dell’equità il pilastro della convivenza».

Il cibo non è soltanto ciò che ci tiene in vita: è ciò che ci unisce. Attorno al cibo si costruiscono relazioni, si scambiano culture, si riconosce l’altro come essere umano. E dove c’è un pasto condiviso, spesso nasce il dialogo, e dove nasce il dialogo, germoglia la pace.

L’agricoltura, allora, non è solo economia: è cultura di pace. Ogni seme che mettiamo nella terra è un atto di fiducia. Fiducia che la natura risponderà, fiducia che ci sarà un domani, fiducia che quel raccolto non servirà solo a noi, ma anche a chi verrà dopo.

L’Europa, con le sue politiche agricole e alimentari, ha una responsabilità immensa. La Politica Agricola Comune, i propositi della “Farm to Fork”, le ambizioni del Green Deal: non sono solo strumenti tecnici o burocratici. Sono scelte di civiltà. Sono la dichiarazione che vogliamo un futuro in cui produrre cibo non significhi distruggere la terra, in cui nutrire le persone non significhi sfruttarne altre. Sono il riconoscimento che la neutralità climatica ci permette di fare pace con il clima, di rendere normale e naturale ciò che avviene nei campi, di garantire un accesso al cibo senza distinzioni.

Abbiamo bisogno di un’Europa che semini pace

Oggi, nel mondo, la fame e i conflitti si rincorrono in un circolo vizioso. Dove c’è fame, spesso nasce la guerra. E dove c’è guerra, la fame ritorna. E nelle zone di guerra il cibo viene usato come arma silenziosa che uccide i più deboli, gli inermi. Ancora peggio quando il cibo diventa strumento di guerra di fronte a un popolo che non può scappare, chiuso da ogni lato.

Rompere questo circolo vizioso è possibile solo se mettiamo il cibo al centro delle nostre politiche di pace. Serve un’Europa capace di accrescere questo sentimento a cominciare dalle sue politiche interne, dalle strategie di sviluppo, dalla capacità di comprendere che gli agricoltori vanno rispettati e non usati quando serve. Serve saper ascoltare i contadini, sostenere le comunità rurali, difendere il diritto al cibo come diritto umano fondamentale. Difendere la biodiversità come strumento per rafforzare le politiche di equità sociale e ambientale. E serve farlo in Europa e trasferire questo sentimento in ogni parte del pianeta. Serve un’Europa che investa nella cooperazione agricola con i paesi più fragili, che insegni, condivida, accompagni. Perché la pace non si impone: si semina.

Il cibo come strumento di dialogo, giustizia e unione

Quando guardiamo un campo di grano, ricordiamoci che non vediamo solo spighe: vediamo speranza e futuro. Quando vediamo un campo di olivi, non pensiamo solo all’olio come alimento ma alla sua capacità di tenere accesa la fiamma della comunità, del dialogo. Non possiamo accettare di vedere bruciare campi di grano o alberi di olivo solo come strumento per creare dipendenza e sofferenza. Quando spezziamo il pane, ricordiamoci che quel gesto semplice può essere un atto rivoluzionario di fratellanza. Dentro quel pane c’è la biodiversità, ci sono i territori, ci sono le comunità e c’è il saper condividere tutto questo. E quando costruiamo politiche, ricordiamoci che ogni decisione agricola, ogni scelta alimentare, è anche una scelta di pace.

L’Europa deve recuperare la sua capacità di essere un continente che nutre, non solo nel corpo, ma anche nell’anima. E la terra, il lavoro e il pane devono tornare ad a essere linguaggi universali di dialogo e di pace. Cosa c’è più del cibo per unire i popoli europei ed essere un unico popolo europeo? Quale cibo ci unisce? Quale cibo e quale agricoltura può essere capace di alimentare il senso di comunità del popolo europeo. Come comprendere che per essere comunità bisogna essere in pace, pace con l’ambiente, pace sociale, giustizia ambientale e giustizia sociale? Equità.

Serve un’agricoltura giusta e sostenibile per garantire equità e dignità

L’Unione europea sta attraversando una crisi profonda. Le motivazioni della sua genesi sembrano oggi tradite da un modello che privilegia interessi di parte, logiche di potere e competizione armata. La resa della politica allo schema della guerra e alla folle corsa al riarmo non mette soltanto a rischio la pace, ma erode le basi stesse della democrazia. Il vero progetto europeo appare smarrito, incapace di rispondere ai bisogni reali delle persone. Eppure, è proprio nei bisogni quotidiani che si gioca il senso più autentico di un’Europa dei popoli. Tra questi, nessuno è più fondamentale del diritto al cibo. Il cibo non è soltanto nutrimento: è cultura, identità, memoria condivisa.

In un’Europa che ha dimenticato i propri ideali di giustizia, il cibo diventa lo specchio delle contraddizioni: da un lato iperproduzione e filiere dominate da grandi industrie; dall’altro precarietà dei piccoli produttori, impoverimento delle aree rurali, sfruttamento dei lavoratori agricoli, spesso migranti ridotti a condizioni di semi-schiavitù.

Le risorse pubbliche destinate al riarmo potrebbero invece finanziare un’agricoltura di pace: sostenere la transizione ecologica, valorizzare le produzioni locali, promuovere la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza da logiche speculative e mercati globali instabili. Un’agricoltura europea giusta e sostenibile non è un sogno, ma una necessità. È la condizione per assicurare cibo sano a tutti, garantire dignità ai lavoratori, preservare i territori e combattere la crisi climatica. Il cibo può e deve diventare il simbolo di questa nuova Europa.

Un’Europa capace di nutrire non solo i suoi cittadini, ma anche la speranza di un mondo più giusto e più umano. Per questo, una nuova visione di futuro europeo deve partire anche da qui: da un patto per il cibo e l’agricoltura che riconosca la terra come bene comune, valorizzi la diversità biologica, culturale e alimentare del continente e faccia dell’equità il pilastro della convivenza.

Rifare dell’Europa uno strumento di pace significa ridare priorità a ciò che tiene insieme le comunità: il nutrimento, la terra, il lavoro dignitoso, la giustizia. Significa opporsi alla logica della guerra e del profitto illimitato per costruire un modello diverso, fondato sulla solidarietà, sulla sostenibilità e sull’equità.

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Press Slow Food