Malattie infiammatorie croniche intestinali: quando la cura dipende dalla relazione medico-paziente

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Dottor David Lazzari (Terni) “Un medico non può limitarsi a prescrivere farmaci; deve costruire con il malato un'alleanza terapeutica fondata sull'ascolto attivo, sull'empatia”

L’aderenza terapeutica è una delle principali criticità nella gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): un dato che emerge con forza dal documento di consenso "Therapeutic adherence in inflammatory bowel disease", presentato lo scorso 17 settembre a Milano. Le cifre parlano chiaro: in Italia le MICI colpiscono circa 250.000 persone, con tassi di non aderenza che oscillano tra il 30% e il 60%. "La scarsa aderenza terapeutica è una problematica spesso sottovalutata, ma con conseguenze cliniche e sociali estremamente rilevanti", spiega il Professor Alessandro Armuzzi, Responsabile dell'Unità Operativa Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell'IRCCS Istituto Clinico Humanitas. "È strettamente correlata alla progressione della malattia, all'aumento delle riacutizzazioni e, di conseguenza, a un peggioramento significativo della qualità della vita dei pazienti."

I numeri confermano questa preoccupazione: nelle MICI la scarsa aderenza aumenta di cinque volte il rischio di recidiva della malattia e comporta un 30% in più di rischio di ospedalizzazione. "Fino al 50% dei pazienti sono poco aderenti, cioè assumono meno dell’80% del regime terapeutico consigliato", sottolinea Armuzzi, evidenziando come questo comporti un aumento della spesa sanitaria e una bassa qualità di vita, che rende difficoltoso persino portare avanti l'attività lavorativa.

LA COMUNICAZIONE COME CHIAVE DI VOLTA

La letteratura scientifica dimostra che una comunicazione efficace tra medico e paziente rappresenta uno dei principali determinanti dell'aderenza: la chiarezza delle informazioni, il coinvolgimento attivo del paziente nelle decisioni e il supporto emotivo sono associati a una maggiore compliance e a migliori esiti clinici.

Salvo Leone, Direttore Generale di AMICI Italia (Associazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali), sottolinea che "spesso i pazienti interrompono il trattamento per gli effetti collaterali. Il paziente deve imparare a fidarsi del medico ed è importante che le decisioni vengano prese insieme: il sapere scientifico del medico deve unirsi al vissuto esperienziale del paziente."

Ma la fiducia si costruisce anche attraverso la continuità delle cure. "Ciò che può far piacere a una persona in cura è sapere che in quel determinato centro c'è lo stesso dottore che si occupa di lui. Sapere che vedrà spesso lo stesso medico, o che comunque esiste una persona di riferimento a cui rivolgersi, è molto importante", spiega Leone.

È fondamentale anche coinvolgere il caregiver familiare nella decisione terapeutica, perché spesso l'aderenza dipende anche da quanto è coinvolto il caregiver”, aggiunge il Direttore Generale di AMICI Italia. Infatti, la decisione condivisa (shared decision-making) e il coinvolgimento attivo del paziente nelle scelte terapeutiche aumentano la soddisfazione, la fiducia nel medico e la probabilità di seguire correttamente la terapia. Gli studi dimostrano che approcci di cura personalizzati, comprendenti un processo decisionale condiviso, sono associati a un miglioramento del 30-50% dell'aderenza al trattamento nelle MICI.

LE BARRIERE CHE OSTACOLANO LA COMUNICAZIONE

Armuzzi identifica le ragioni profonde della scarsa comunicazione tra medici e pazienti. "Le persone affette da MICI non comunicano soprattutto perché non si fidano. Un'altra motivazione è che non accettano la malattia, e questo provoca ansia. Nei grandi centri, inoltre, può succedere che non si venga visitati sempre dallo stesso medico: tutte le volte bisogna ricominciare da zero a raccontare la propria patologia e questo disorienta il paziente, anche perché poi capita che si ricevano informazioni e suggerimenti diversi rispetto alle visite precedenti."

I principali ostacoli all'aderenza terapeutica includono scarsa conoscenza della malattia, preoccupazioni sugli effetti collaterali dei farmaci, difficoltà pratiche e psicologiche e mancanza di accesso alle terapie o di continuità assistenziale. La soluzione? "È fondamentale che l'équipe medica sia coesa", continua Armuzzi. "Può anche capitare che il paziente incontri dottori diversi a ogni visita, ma la cosa importante è che ci sia scambio di informazioni lineari all'interno dell'équipe, in maniera tale che i medici si approccino nello stesso modo e non diano informazioni diverse."

IL SILENZIO DEI PAZIENTI 

Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda il “silenzio terapeutico”: molti pazienti smettono di assumere i farmaci senza informare il medico. Spesso il paziente non aderisce alla terapia e non lo dice per paura. Alcuni aderiscono all’inizio, poi, appena vedono di stare un po' meglio, smettono, senza avvisare il medico. Come spiega David Lazzari, Direttore UOC Psicologia dell'Azienda Ospedaliera di Terni, le motivazioni sono molteplici: "L’interruzione della terapia può essere dovuta agli effetti collaterali, che non sono ‘allineati’ allo stile di vita del paziente. Caso ancor più delicato è quello dei giovani, che accettano meno l’idea di malattia cronica: il paziente giovane vuole guarire, non accetta il fatto di dover convivere con una patologia per tutta la vita." 

L'APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE

"Il comportamento del paziente, il suo stile di vita e la percezione soggettiva della malattia rappresentano elementi chiave nel percorso terapeutico", prosegue il dottor Lazzari. "Per questo motivo, il medico non può limitarsi a prescrivere cure ma deve costruire, insieme col team sanitario, un'alleanza terapeutica fondata sull'ascolto attivo, sull'empatia e su una comunicazione personalizzata."

Il supporto psicologico è fondamentale: quando il paziente riceve una diagnosi di MICI comincia a chiedersi cosa possa mangiare, o chi possa sostenerlo se si sente a disagio, se soffre. Includere il supporto psicologico fin da subito significa mettere al centro non solo l'efficacia del farmaco, ma l'intera esperienza del paziente nel suo percorso di cura.

I dati, infatti, mostrano che i pazienti con MICI che ricevono supporto psicologico presentano un'aderenza alla terapia fino al 30% più elevata e una riduzione del 40% delle riacutizzazioni di malattia rispetto a coloro che non usufruiscono di tale supporto. Per Lazzari la comunicazione è la chiave di tutto, perché è ciò che costruisce la relazione tra medico e paziente: “Se non si crea questa relazione, se non si ha una buona comunicazione, non si arriva alla fiducia, e non si arriva, quindi, all'aderenza terapeutica”.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Angelica Giambelluca)