Chiacchierata con Filippo Drago, mugnaio di Molini del Ponte a Castelvetrano, che più di vent’anni fa ha scommesso sui grani tradizionali, creando una filiera insieme a coltivatori e trasformatori
Novembre, nel sud Italia, è tempo di semina: è il mese del grano, la materia prima simbolo, forse più di ogni altra, della tradizione gastronomica del nostro Paese. E proprio in queste settimane di grano si sta parlando tanto. Il motivo è noto: chi coltiva il grano lamenta prezzi troppo bassi – il duro oscilla tra i 280 e i 295 euro a tonnellata, cioè meno di trenta centesimi di euro al chilo, il tenero anche meno – che in molti casi costringono a lavorare in perdita. Sembra un paradosso, visto che pane, pizza e pasta hanno reso l’Italia famosa nel mondo e che siamo il secondo produttore al mondo di grano duro (circa 4 milioni di tonnellate all’anno, meno soltanto del Canada).
Eppure è proprio così: il prezzo del grano viene stabilito a livello internazionale, scambiato nelle borse merci a cominciare da quella di Chicago, e la materia prima che è alla base delle diete di tutto il mondo è ormai trattata come una commodity, cioè come un prodotto che ha lo scopo di essere venduto, anziché di essere mangiato. Una globalizzazione dell’economia che fa sì, ad esempio, che un’annata particolarmente positiva in Canada costringa i coltivatori del sud Italia ad abbassare il prezzo del proprio grano, che altrimenti rimarrebbe invenduto.
Ma c’è un modo per mettersi al riparo da queste oscillazioni? Lo abbiamo chiesto a Filippo Drago, mugnaio di Molini del Ponte (Castelvetrano, Trapani), imprenditore che da quasi trentacinque anni lavora nel settore del grano e delle farine.
«Ricordo che nel 1982, quando avevo tredici anni e iniziavo a seguire quel che succedeva nell’azienda di mio padre, il grano duro costava 480 lire al chilo. Basta fare una conversione con il valore attuale per rendersi conto che oggi il grano viene pagato molto meno di allora» racconta Drago. «Da quando sono entrato in azienda, nel ‘91, il grano si è mantenuto stabile intorno alle 400 lire, poi è passato a 20 centesimi di euro con l’inizio del nuovo millennio. Soltanto due o tre anni fa il grano ha superato i 50 centesimi al chilo, ma era una situazione particolare e i prezzi erano cresciuti lungo tutta la filiera. Il clamore di quest’anno è dovuto al fatto che gli agricoltori davvero non ce la fanno: a volte ormai si semina per amore, non per denaro».
Oggi, spiega Drago, un chilo di grano duro convenzionale lo si può trovare anche a 23 centesimi: «Di fronte a certi numeri, non credo che il verbo corretto sia pagare, ma rubare: con una resa di 40 quintali per ettaro e un prezzo di 20 centesimi al chilo, l’agricoltore si porta a casa 800 euro. Ma siccome lavorare quell’ettaro gli costa 1200 euro, ha una perdita netta di 400 euro».
La situazione la conosce bene, perché da un grano che costa poco anche il mulino ottiene poco utile. «Nel 2002 ero sul punto di chiudere l’azienda: avrei fatto di tutto per uscire dal sistema nel quale mi trovavo, cioè lavorare grani generici e produrre farine sottocosto» ricorda. La svolta fu conoscere Giulia Gallo, l’allora direttrice della Stazione consorziale sperimentale di granicoltura di Caltagirone. «La incontrai la prima volta in un evento organizzato da Slow Food a Caltanissetta: scoprii che in quella struttura erano, e sono tuttora, conservati i semi di 54 varietà tradizionali siciliane, grani che da decenni non venivano più seminati e commercializzati. Le chiesi se potessi averne qualche sacco, ho coinvolto quattro o cinque agricoltori pagandoli più di quaranta centesimi al chilo, e così abbiamo cominciato». Era una scommessa: «Di me si diceva che ero un pazzo a pagare il grano quelle cifre, che sarei durato il tempo di qualche mese e poi sarei fallito. E invece più pagavo quel grano al prezzo che secondo me era giusto, più cresceva il mio lavoro. A che serve fare l’imprenditore se rubi le cose agli altri?».
Un modello che funziona, basato su farine buone e sane
A distanza di quasi venticinque anni da quell’incontro fortunato, le cose continuano a funzionare. Drago si rifornisce da un centinaio di produttori siciliani, che coltivano circa tremila ettari di terra: «Lavoro circa 30 mila quintali di grano, di cui 15 mila di varietà tradizionali, tra cui Tumminìa, Perciasacchi, Russello, Bidì, Maiorca, e altrettanti di varietà moderne». Anno dopo anno ha aumentato i clienti, seguendo quel filo rosso che lega varietà tradizionali, equo compenso a chi coltiva, lavorazione di qualità in mulino. Oggi esporta in tutto il mondo: «Vendiamo principalmente ai panifici, seguiti a distanza dai produttori di pasta fresca o secca e dalle pizzerie. Negli ultimi tempi si sta avvicinando anche il mondo della pasticceria, ma siamo ancora all’anno zero. Il mercato siciliano conta soltanto per il 5% del mio fatturato, il 70% riguarda il centro-nord dell’Italia e il 25% arriva dai clienti all’estero».
Il suo modello funziona, spiega, perché puntando su grani e farine «buone e sane» è riuscito a creare una filiera di qualità dal campo al prodotto finale, rendendosi indipendente dall’andamento del mercato. «L’agricoltura italiana dovrebbe essere protetta da ciò che accade dall’altra parte del mondo – conclude –. Non è che il prezzo di un’auto di lusso crolla perché le immatricolazioni diminuiscono. Io continuo a credere che la fascia corretta di prezzo riconosciuto a chi coltiva va dai 35 ai 50 centesimi al chilo».
Di grani, farine, cereali tradizionali e filiere corte che difendono la biodiversità agricola si parlerà a Slow Grains – Dialoghi per coltivare il futuro, a Reggio Calabria da venerdì 7 a domenica 9 novembre 2025. L’evento, organizzato da Città Metropolitana di Reggio Calabria con Slow Food Italia e Slow Food Grains, si svolge tra la Sala Biblioteca di Palazzo Alvaro – Città Metropolitana di Reggio Calabria, che ospita incontri e conferenze, e Piazza Italia, animata da Laboratori del Gusto e da una mostra mercato che vede protagonisti i Presìdi Slow Food calabresi e numerose varietà tradizionali di grani, pani, paste e altri prodotti. Il programma è disponibile qui. Tutte le iniziative sono gratuite e senza necessità di prenotazione.